[Università] Più tasse per tutti, non solo per i fuoricorso



bravo bel discorso


Se così fosse allora molta matematica non esisterebbe , ed io non potrei leggerti di conseguenza ( ).

La conoscenza non la paga il mercato, perchè il mercato vede le ricadute a breve termine.


La società, non è solo mercato. Il mercato può essere interssato alla produttività ma si fonda su una base culturale. Ignorando le esigenze extra-economiche finisce per tagliarsi e le gambe. La ragione per cui in tanti si dedicano a lauree non spendibili non è solo perché sono facili, come alcuni pensano, ma perché ci ono distorsioni culturali che poi provocano problemi nel mercato.


Uno può fare quello che gli pare, per me tutti gli studi hanno pari dignità, solo che distinguo in percorsi che si scelgono per passione/cultura ed altri per cercarsi lavoro. Ovviamente se la passione e la scelta lavorativa coincidono è bellissimo per l'individuo e l'auguro a tutti ma sappiamo bene che non potrà essere sempre così ed allora tocca scegliere se puntare sulla passione o crearsi delle buone possibilità lavorative.

Spesso si sceglie la passione (giustamente direi) e fuori si trova terra bruciata, al che è inutile piangersi addosso, tutto qui


Si ma io, forse non troppo esplicitamente, dicevo che percorsi che voi considerate solo per passione devono essere aiutati dallo stato perchè altrimenti non esisterebbero. Esisterebbero, forse, in utopiche società avanzate, non nella società attuale. La mancanza di questi corsi sarebbe un bel colpo all'evoluzione della conoscenza.

Molte scoperte, scientifiche e non, si sono avute per passione mica perchè lo richiedeva il mercato. Il mercato, ad occhio, non finanzierebbe mai roba come i progetti NASA o il Cern, perchè per la gente non c'è interesse e quei pochi che si interessano non hanno abbastanza soldi.

Ripeto, se fossimo in una società di persone lungimiranti, si potrebbe fare. Ma in una società dove la maggior parte delle persone vuole risultati subito, toglieresti le gambe a tantissime cose.


Sì, io concepisco il mestiere di ricercatore (si parla evidentemente di ricerca pura, sia essa scientifica o "umanistica", per la ricerca applicata non ci sono problemi visto che chiunque può comprenderne l'utilità di breve periodo). Ma esso si inscrive necessariamente (in quanto creazione di uno stato razionale) come attività "utile": utile nel lungo periodo, ovviamente, come tu dici più sopra. Oppure utile "socialmente" come alcuni sostengono, ma che è in fondo lo stesso. Esso rimane pertanto un mestiere (come dici tu), quindi un'attività che trova la sua ragion d'essere nell'utilità che porta ai consociati. È dunque un'attività che si inscrive nel "negotium", in opposizione all'otium, la qual cosa è invece l'attività libera da interessi, "pura". E qui nasce il problema: come fa una ricerca "pura" ad essere "utile", che è a dire "impura"? come fa in altre parole un'attività che sembra nascere dalla ricerca disinteressata dell'assoluto (il bello o il vero, per usare nozioni classiche, ed è solo con questo "disinteresse" che si può giungere alle vette della conoscenza e dell'arte) a rientrare nella categoria del mestiere, dell'utilità, dell'interesse (se pur di lungo periodo)? È da questa contraddizione che nascono i conflitti così frequenti tra i ricercatori "puri" e i lavoratori i cui mestieri non presentano un tale paradosso (si immagini la classica domanda ad una cena con i parenti: "cosa fai nella vita?"). Ed è da questa contraddizione che si spiega altresì la personalità spesso antisociale e introversa di chi nella vita fa il mestiere della ricerca pura.
Se si vive tale contraddizione, il modo a mio avviso più coerente per superarla è quello di ammetere che lo stipendio che si riceve è una scommessa - fatta dallo stato, e quindi dai cittadini - sulla "utilità" della propria attività, e che quindi è necessario mettere in luce continuamente che quello che si fa "serve" effettivamente a tutti, cioè va nella direzione del bene sociale. Il ricercatore si trova così costretto a ricordare perennemente all'ambiente sociale che lo circonda, (composto da bottegai e professionisti) l'utilità della sua attività. E questo lavorio di rimembranza è ovviamente pedantissimo, e sono perciò numerosi i ricercatori che si chiudono nell'ambiente accademico, infischiandosene di ciò che il "mondo esterno" pensa di loro. E pure questa polarizzazione sociale è pericolosissima per i ricercatori stessi, poiché in questo modo la società diviene sempre più scettica verso l'utilità della loro attività, e la legittimità del mestiere di ricercatore comincia così a scemare.

Quindi il mio suggerimento è di imparare a controllare la tensione tra la "purezza" (caratteristica intrinseca ad ogni attività di ricerca che vuole andare oltre l'interesse materiale e di breve periodo) e la "utilità" (caratteristica intrinseca alla ricerca in quanto attività utile supportata dallo stato). In questo topic invece si è vista proprio quella radicalizzazione tra utilità di lungo periodo e utilità di breve periodo di cui parlo.

Certo così facendo si accetta l'egemonia discorsiva dell'utilità e dell'interesse, per quanto di lungo periodo. Si accetta perciò che ogni individuo è costretto a fare un mestiere, un'attività utile agli altri, e che non può vivere nell'otium più puro. Questa "egemonia discorsiva" viene oggi spesso associata allo sviluppo del capitalismo (e in particolare alla nostra fase che sarebbe "neoliberista"); in realtà, otium e negotium sono categorie filosofiche classiche (l'otium coincideva con la conversazione filosofica, la musica, la danza etc.), e lo "spirito del capitalismo" può solo implicare, al limite, una loro radicalizzazione. Uscire da questa opposizione classica mi sembra forse difficile, al massimo si possono avvicinare i due estremi, cercando di far coincidere lo svago col lavoro: l'attività di ricerca pura si configura proprio come un tentativo di questo genere. Ma la distinzione tra i due aspetti persiste, a meno di non prospettare scenari radicalmente utopistici (e dunque mai esistiti sino ad oggi)



Immagino che alla fine della frase ci sia un punto interrogativo sottinteso (in caso contrario non ne ho afferrato il senso). Penso di aver risposto con questo post: la felicità è raggiungibile e si configura come un avvicinamento dei due elementi nell'opposizione otium-negotium. L'altra possibilità è una riduzione sensibile del tempo da dedicare al negotium. Una coincidenza totale dei due elementi è sicuramente auspicabile in linea di principio, ma è una prospettiva chimerica nel sistema sociale in cui ci troviamo. In altre parole: non puoi pretenderla (perché non è un tuo diritto naturale), ma puoi sempre lottare per realizzare una società in cui ogni individuo fa il lavoro che gli piace.



Conosco bene le difficoltà legate alla combinazione di lavoro e studio nello stesso giorno. Detto questo, "10 ore di lavoro pesante e sofferenza mentale, se non fisica" mi sembra uno scenario un tantino drammatico per descrivere le condizioni di lavoro dei paesi occidentali nel 2012.
E comunque il mio era un semplice riferimento a Marx, che scriveva nell'ideologia tedesca le cose seguenti:

Ahimé questa società non esiste ancora. Ma a differenza dei tempi in cui scriveva Marx, ora si può vivere dignitosamente lavorando anche solo cinque o sei ore al giorno, e si ha dunque molto più tempo per "oziare". Il problema è poi che questo ozio, se non si configura come lavoro riconosciuto come valido, rischia di non dare alcuna soddisfazione: questo è però un problema diverso e forse opposto a quello di cui si è parlato più sopra.





Ma quindi per te le persone si dedicano a lauree non spendibili spinti dalle esigenze della società (cioè non volontariamente)?
Ok ora hai chiarito alcuni aspetti, su una cosa non concordo. Quando dici che l'utilità della ricerca pura non viene percepita dal resto della società perchè "i ricercatori non rispondono in un modo piuttosto che in un altro (e di conseguenza si chiudono nel loro mondo accademico)", io dico che non è colpa dei ricercatori ma di chi ha formato la società. Perchè se la società avesse consapevolezza dell'utilità della ricerca pura, allora esprimerebbe sentenze meno stupide.

Tuttavia, in questo modo, non faccio altro che richiamarmi ad una società che non esiste e quindi tanto vale prendere una qualsiasi società utopica come soluzione.

Ah, altra cosa su cui non concordo è "dopo 5-6 ore di lavoro è semplice..." dipende che lavoro fai e come lo fai. Se fai il commesso in un negozio semivuoto ok, se lo fai in un negozio pieno poi sei stanco.
Le ragioni che spingono un individuo a fare una determinata scelta sono necessariamente complesse. Ma per semplifcarla, visto che sono al lavoro, l'esplosione per esempio una certa attenzione per la ricerca epistemologica negli usa è spinta anche come reazione al fondamentalismo religioso chesi è rafforzato dopo le promesse tradite di una nuova america reaganiana e così via. Così non sorprende un incremento di immatricolazioni a storia durante I periodi in cui I berlusconiani si dedicavano ad un'opera di falsificazione di questa.



Ti ripeto che nessuno si piange addosso qui. Ma è mio sacrosanto diritto dire quello che penso, ossia che una società che non riesce a premiare un numero sufficiente di laureati (almeno nelle lauree classiche, lasciamo perdere sociologia o scienze della comunicazione, non a caso fino a poco tempo fa definite interfacoltà e non dotate di autonomia), e tanto più se parliamo di una cosa fondamentale per l'uomo come la filologia, la storia, la letteratura o la filosofia, è una società povera.

Ma visto che parliamo di storia, forse qualcuno sa, almeno da ricordi delle superiori, grossomodo come era strutturato il tardo impero romano dopo Diocleziano, con lo stato che IMPONEVA, secondo le sue esigenze di cristallizzazione sociale per avere un budget di entrate prevedibili, che ogni figlio proseguisse il mestiere del padre, senza eccezioni. Addirittura i giuristi "romani" (in realtà ormai di romanità vera c'era ben poco nel IV secolo rimasto), costruirono l'istituto giuridico della "schiavitù" del colono alla terra. PRoprio così, cittadini, ufficialmente, quegli stessi cittadini da un punto di vista puramente formale, che tanto si erano battuti per ottenerla quella cittadinanza (vd. la guerra sociale), ormai ridotti al rango di humiliores, e costretti a rimanere legati al colonato (contadini-servi della gleba), vita natural durante, loro e i loro discendenti.
Un sistema del genere, indubbiamente tendeva a dare lavoro a tutti, tendeva ad essere estremamente produttivo, dati i mezzi dell'epoca, poiché cercava di occupare ogni singola forza lavoro. Eppure, oltre a generare una infelicità di massa (e povertà), con le conseguenti continue rivolte, anche da un punto di vista meramente economico era fallimentare.

La produzione rimaneva sostanzialmente invariata, anno dopo anno, indizione (una specie di censimento dei cespiti produttivi terra-lavoro) dopo indizione (ogni 15 anni si tenevano), ma non si cresceva, la società era immobile. Gli unici che si muovevano nella scala sociale erano i barbari che entravano nell'esercito e lì, con la forza delle armi salivano di grado in grado, fino ad impadronirsi di fatto, e poi di diritto, di tutto quanto.

Una piccola lezioncina, forse pedante, di storia, ma è per significare che non sempre, anzi quasi direi, almeno storicamente, la ricerca forsennata della produttività ha mai portato risultati positivi alla produzione stessa se non nel breve periodo ma con risultati disastrosi nel lungo.
al giorno d' oggi però nessuno ti IMPONE niente .. semplicemente puoi SERVIRE o meno ..
Dubito che il concetto di produttività odierno abbia qualcosa a che fare con quello della roma classica. Senza considerare che la domanda di lavoro deriva dalla domanda libera dei diversi beni, non vi è nessuna "imposizione". Alla gente non piace abbastanza leggere i libri di storia.
parliamo di produttività - come se fosse facilmente misurabile in un mondo con aziende enormi, apparati burocratici elefantiaci, peso dello stato intorno al 50 percento medio...


Non amano leggere i libri di storia, ma non per questo non sentono il bisogno di una storia comune, tanto che spesso se la sono inventata e se la sono inventata con risultati disastrosi. Disastrosi anche per il mercato.
Iroel amore mio ma allora sei vivo.
Ti chiedo un favore, vai su addio a scrivermi qualcosa che mi faccia deprimere, ma in un modo piaceovle.

tvtttttb!
Ok dopo lo faccio, ma c'è la mia nuova storia su libri ed è piena di dolore secondo alcune voci.
Scrivi quello che più gradisci, io leggerò con piacere.



rileggi molte delle pagine addietro, se non ci sono invocazioni ad astratte imposizioni "dall'alto" sul tipo di studi che devi sequire, e conseguentemente il lavoro, non so cosa volessero dire.


Ok, se ti riferisci a opinioni di utenti tipo " servono 1000 , ne laureiamo 1000"
Ma in un contesto generale del mio discorso se certi studi verranno agevolati , e ad altri studi si cercherà di mettere i bastoni tra le ruote togliendo agevolazioni o fondi .. di fatto io non lo considerei un imposizione.
perché cece è stato bannato?
Apri un topic su FF richiedendone lo sban!