Doubt
hai perfettamente descritto derppo
Dipende che tipo di rimozione stai facendo: che tipo di materiale “amiantoso” (% nel materiale, tipo di fibre ecc), se e’ un materiale integro (non si e’ sfaldato), se e’ possibile rimuoverlo tenendo quasi tutto integro oppure se ci sara’ molta polvere/fibre che si sollveranno, ad esempio perche’ collocato sopra un materiale adesivo su cui la polvere rimarrebbe e potrebbe sollversi naturalmente durante i lavori, o magari addirittura si e’ deciso di dover rimuovere l’adesivo/colla e quindi sicuramente ci saranno delle polveri.
A seconda di tutte queste valutazioni, si usano delle tute e mascherine specifiche e soprattutto si opera in “negative pressure” ovvero una cappa che aspira tutto da dentro la stanza verso un contenitore attraverso una unica apertura, tutto il resto e’ coperto e sigillato. Sempre a seconda del fattore di rischio, si ha un rilevatore di fibre a buona tolleranza sempre attivo nella stanza che mostra valori e suona allarmi e, se necessario, ogni tot ore si accende un altro rilevatore a tolleranza inferiore per essere sicuri (queste rilevazioni ad alta accuratezza vengono fatte da una persona terza - che si’, paghi per stare ferma X ore e lavore solo 1 ora qui e la’ - e tendenzialmente proprio da una azienda terza).
Se caso mai qualcheduno avesse inteso che non penso sia pericoloso, la mia idea è che ancora più pericoloso quando lo tolgono perché andrebbero fatte bonifiche serie, con imprese con le palle.
Invece in real life le strade italiane sono piene di amianto abbandonato che come potete immaginare non è stato manipolato correttamente.
Non ci riescono neanche quando sono ditte specializzate, il più delle volte perché è impossibile.
Poi se una singola fibra si deposita nel sangue e sono cazzi la battaglia è persa, si è incominciato a monocolore sull’esposizione, la quantità, gli anni.
sono cosi immaturo che ho paura di trovarti dentro di me
Anche noi giocavamo a saltare sopra le pergole di amianto.
Un amico tempo fà mi disse “E non ci è successo nulla…” e gli ho risposto "O ci è andata di culo… "
C’è anche la 3, considerata che l’incubazione è di 30-40 anni forse è “ancora troppo presto”
Considerata, ne ho 52
Meno male che fitone ci informa di cosa ne pensa. E come sempre, non gliene fotte un cazzo a nessuno.
Non e’ neanche facile non aver mai niente da dire, se non far la figura del pirla.
Avevo smesso di leggere visto che il mio contributo non era apprezzato
Comunque, come in ogni discorso, si finisce per polarizzarsi e non si è più in grado di vedere i grigi. Differentemente da quello che mi pare abbia scritto LiquidSnake, non ho mai detto che se l’amianto è integro si possa prendersela alla leggera o addirittura meglio non toglierlo. Non conosco le normative vigenti, ma se non c’è un obbligo c’è quantomeno un “fortissimo consiglio” di rimuovere tutto l’amianto o di incapsularlo. Quindi niente leggerezza. Semmai ho detto che è paradossalmente () più pericoloso assistere senza protezioni alla rimozione di amianto sano piuttosto starvici a contatto quotidianamente (sempre dando per scontato sia sano).
Poi per la cosa delle inalazioni vs ingerimento, come ha scritto qualcun altro, molto probabile quelle morti da amianto siano volente o nolente derivate comunque da inalazioni. Ma se qualcuno porta materiale a discapito, alzo le mani
Dalla regia mi hanno suggerito di
- farne un podcast, ma non ho una gran voce;
- spostare il testo su wattpad, ma mi sembra una roba da teenager;
- farne un libro, ma forse è presto. Magari aspetterei il giorno 20 (se c’arrivo vivo
)
- vendere i diritti per un film, che mi attira anche come idea soprattutto se pagano in contanti con banconote non tracciate.
ti serve solo un titolo accattivante e qualcuno che lo narra.
magari che fa le voci
Summon @Ravenian
Abbiamo una diapositiva di GNE al lavoro:
a breve la giornata.
Intanto beccavevi questo update: nothing of interest.
OOOOHHHH perché quando ho fatto la battuta uguale non mi ha cagato nessuno e tu dopo ti becchi due rotflini
- Giorno cinque - parte uno
Quando ero ragazzino giocavo molto a pallone. Mio padre, pur di levarsi dalle scatole la mia presenza rumorosa, mi aveva dotato di un gran quantitativo di palloni diversi: da basket, da pallavolo, da calcio in cuoio. Mi aveva comprato anche dei palloni in materiali diversi, più divertenti, ma meno funzionali come palloni in pastica pesante che erano perfetti per giocare a calcio nel parcheggio condominiale, dove facevano un gran fracasso ma, per lo più, rimbalzavano senza far danno. I miei preferiti, però, erano i palloni in plastica leggera. Avevano una caratteristica che li rendeva particolarmente odiosi a tutti, ovvero erano facevano quello che volevano loro. Se li calciavi con forza, tendevano a volare in direzioni inesplicabili, variando la traiettoria a metà del volo in modo imprevedibile. Quanta più forza davi al pallone e maggiore era la possibilità che questi viaggiasse percorrendo traiettorie fantastiche. Certo: se avevi le idee chiare su come fare goal, il fatto che la palla andasse ovunque tranne dove volevi tu poteva essere un problema; ma per chi, come me, non aveva la minima idea di come tracciare una traiettoria per schivare avversari, portiere e infilarsi tra i pali, il caso era un alleato prezioso, capace di regalare il successo o, nel caso peggiore, sollevarci dalla responsabilità dell’errore.
C’era chi sull’argomento - il volo del pallone leggero - sentiva di dover dire la sua e tirava in ballo ragionamenti sul punto in cui la palla impattava con la scarpa, vettori, momenti angolari, la resistenza dell’aria e l’apporto del vento. Quelli più studiati andavano molto oltre: effetto Magnus o addirittura Coriolis. In realtà a parlare di Coriolis era solo uno della compagnia, ma l’ostinazione con cui poi faceva dipendere da questa sua teoria ogni scelta di gioco era un chiaro segno che lui aveva già capito che le discussioni non si vincono avendo ragione, ma con altri mezzi. Se era il caposquadra, lui sceglieva sempre il campo a ovest e poi si metteva come attaccante, studiando con cura la posizione del campo in cui credeva che l’effetto di Coriolis sarebbe stato un aiutino per i suoi colpi: lì si piazzava e non si spostava nemmeno per difendere quando c’era una punizione per la squadra avversaria.
Poi c’erano quelli a cui non interessava il materiale del pallone, ma solo che fosse di altri, cioè in genere mio. Erano i bulli, ma ai tempi non li chiamavamo così. Erano quelli di “quinta” anche se, a pensarci bene, in quinta erano già da un pò troppi anni. Arrivavano con il motorino e facce arrabbiate e se la palla capitava dalla loro parte la prendevano e lanciavano sul campanile per farsi una bella risata. A volte invece chiedevano di poter giocare, ma non nel senso che volevano giocare con noi: la loro era più una richiesta indeclinabile di cedere il campo da gioco a loro per un lasso di tempo indefinito.
Noi chinavamo il capo e ci allontanavamo.
“No, la palla lasciala lì”, ci dicevano. “Poi ve la restituiamo”.
In genere finiva sul tetto della chiesa, insieme alle altre e mio padre non capì mai come facessi ad essere sempre a corto di palloni.
“Dovresti stare più attento”, mi diceva scocciato e poi me ne comprava un altro.
Dopo qualche “incidente”, iniziai a diffidare dalla promessa della restituzione.
“L’hai detto anche la volta scorsa!”, obiettai.
“Che fai? Non ti fidi?”, ribattevano arrabbiati.
È difficile dire a un bullo che non ti fidi. Ti aggrappi alla speranza che, almeno questa volta, magari le cose potrebbero andare diversamente. Oppure rischi e gli dici chiaro e tondo “No, non mi fido” e allora la palla in genere finisce subito sul campanile.
Certo, avrei potuto dire tutta la verità a mio padre e lui forse sarebbe andato dai bulli, ma non avrebbe risolto il problema. Dovevo cavarmela da solo e, con il mio alto senso di giustizia, sentivo che, se avere ragione non era abbastanza, forse sarebbe bastato esprimere meglio il concetto, spiegare perché avessi ragione.
Un giorno affrontai il capo dei bulli che aveva il mio pallone tra i piedi e dissi: “La palla è mia, ridammela.”
Lui rise e la lanciò sul tetto della chiesa.
“Vattela a prendere.”
“Non è giusto”, dissi impulsivamente e lui rise, godendosi il momento.
Pensare che si possa vincere una discussione argomentando le proprie ragioni è un altro errore comune. Non da principianti, ma poco ci manca.
È compiendo questo errore, due o tre volte, che capii di non essere adatto per fare l’RSU.
L’amministrazione aveva deciso unilateralmente di dare un premio ad alcuni dipendenti e ci aveva messi di fronte al fatto compiuto.
“Per il premio di quest’anno abbiamo pensato di distribuire i soldi in questo modo. I fondi non sono tanti, per cui li abbiamo divisi solo su una parte ristretta del personale, così almeno il premio ha una certa consistenza”, aveva spiegato la Dott.ssa J.
Al suo fianco si era materializzato il Dott. X, nella consueta nuvola di zolfo, e aveva fatto il giro del tavolo per portarci il prospetto con le cifre belle chiare e i nomi - pochi - dei fortunati a cui l’Amministrazione aveva deciso di dare i soldi.
“E tutti gli alti?”, avevo chiesto.
Non ci fu una risata da bullo, ma un silenzio istituzionalmente imbarazzato per una domanda che era percepita come inopportuna.
“Vede”, spiegò paziente la Dott.ssa J. “Per legge dobbiamo fare una selezione. Niente più soldi a pioggia per tutti.”
Osservai la parte datoriale sorridere alla parola “selezione” e fare una smorfia quando la Dott.ssa J disse “soldi a pioggia”. Effettivamente la legge era chiara a proposito: niente soldi a pioggia. E per essere sicuri che i soldi non piovessero, avevano chiuso i rubinetti e ristretto i capitoli di spesa. Non si sa mai.
Frugai nella mia mente e qualche cosa venne fuori. Una cosa del tipo “La palla è mia, ridammela.”
“Questo fondo, però, andrebbe impegnato nella contrattazione decentrata. Che non c’è stata, anche perché andavano creati dei progetti l’anno scorso e tutti i lavoratori dovevano avere la possibilità di partecipare. Questo non è avvenuto e ora ci chiedete di avallare ex post la vostra scelta unilaterale.”
Per un attimo pensai di aver ragione. Anzi, avevo sicuramente ragione. Pensai che mi avrebbero riconosciuto la ragione perché avevo spiegato i motivi per cui era inequivocabile che la ragione fosse dalla mia parte. L’attimo, sfortunatamente, passò.
“Si, è vero. È anche un po’ colpa nostra…”
“Solo colpa vostra”, aggiunsi trionfante
“…per cui l’anno prossimo ci impegnamo a creare dei progetti per non trovarci in questa situazione.”
“E quest’anno?”, pensai
I colleghi firmarono. Del resto avevano promesso che avrebbero provveduto per l’anno successivo. Perché dubitare? Io non firmai. Anzi feci mettere a verbale che mi rifiutavo di firmare. I soldi vennero distribuiti comunque e l’anno successivo i progetti non si fecero.
“Ci siamo sbagliati. Abbiamo avuto delle contingenze. Colpa della Vecchia Grande Capa, ma ora si cambia tutto, fidatevi. Intanto firmate qui per quest’anno.”