Nuova serie di attentati in Francia





Guarda che ha solo ragione quando dice che la filosofia è importante nell'analisi della parte etica della scienza, che non fa parte del dominio scientifico.

A parte sfottere i filosofi della scienza ogni tanto, ma io ho l'abitudine solo perché ho molti amici che fanno Ph.D. /postdoc in filosofia della scienza

Invece sul tizio algerino che non può tornare in Algeria perché ateo? Ho amici e colleghi che hanno problemi simili (venendo da Marocco e Algeria), una religione è stata loro imposta da bambini e ora non possono abbandonarla pubblicamente, o nel loro "paese d'origine" è pena di morte/incarcerazione. Si dovrebbe considerare l'imposizione d una religione a dei bambini come un abuso (tra l'altro tagliarti dei pezzi di corpo è un abuso).
Ah fuck I'm outta here


Penso che lui intenda soprattutto la parte epistemologica.

Quello che sottintendo è anche che non hai bisogno di capire cosa intende quando sei d'accordo
No vabbè sul serio, se volete cominciare con le psicoballe filosofiche che non aumentano la conoscenza della situazione di una virgola, fatevi un thread a parte giù in filosofia (che, incindentalmente, è sempre vuoto).

Poi parlate di eziologia, epidemiologia, epistemiologia, epistacchiologia eccetera eccetera.

No, mi riferivo all'etica (appunto, fatti e norme)

Comunque torniamo a parlare del Duce Duce Duce.


Cvd


E io che pensavo ti rifessi a me nell'odio della filosofia



Cosa si voleva dimostrare?

Che non ce ne frega un cazzo di discutere del nulla fino a far crashare il forum?

O vuoi dimostrare che virtualmente siamo più intelligenti se saliamo di qualche scala sulla rarità dei vocaboli scelti e parliamo di giri di parole, e chi non ha voglia/non capisce è uno zotico?

Kalitroll, esplicati! ESPLICATI ESPLICATI!!!!


E' che solitamente parti da argomenti tipo questo: "vi focalizzate troppo sulle credenze, sulle narrative esplicite, e leggete l'intero fenomeno religioso in base a esse [ecc]". Cioè non parti dall'etica. Poi ci sono anche le norme epistemiche no?

Non è che stai dicendo solo come dovremmo gestire eticamente l'Islam, ma anche come dovremmo intenderlo.

(Faccio sbroccare gente a caso )


Nope

Sì, ma sono anche un giurista, su NGI ho spesso parlato di normativismo, e sempre con la stessa accezione (latamente etica, perché le norme non sono solo quelle dell'etica, ma anche del diritto, del costume, etc., ma non divaghiamo: etica va bene come generalizzazione, soprattutto in relazione alle questioni poste dal progresso scientifico). A parte questo, fatti e norme è un binomio famoso e dal significato noto (è peraltro nel titolo di un libro di Habermas); e poi, parlando di scienza e di dibattito pubblico, mi sembrava fosse chiaro il riferimento alle discussioni sull'etica. Tutto questo è per dire che non mi sembra di essere oscuro, in riferimento a questo commento.

E sì, io sto solo dicendo principalmente come intendere l'Islam, non tanto come gestirlo: i miei commenti sul da farsi mi pare siano stati abbastanza scarni e problematici (nel senso che ho presentato i problemi relativi a varie opzioni, senza proporre sempre o spesso la strada da seguire). Quella sui limiti del punto di vista scientifico era solo una divagazione utile, non un'analogia con quello che io dico dell'Islam (più che altro ho risposto alla tua domanda: la mia analogia si fermava alla prima parte; rispondendoti ho esplicitato la mia intera posizione).


Non ci sono anche questioni di "costume"? Mi pare che Feyerabend abbia detto qualcosa del genre. Tipo stiamo ancora finanziando le stringhe come filone maggiore per la gravità quantistica anche se ormai risulta chiaro che molto difficilmente raggiungerà lo status di teoria falsificabile. Qui può essere che ho in testa cose troppo tangenziali al discorso.
io da qualche pagina a questa parte ho sposato una visione un po' più esticazzologica
Ma tanto secondo me qui non avrai discussioni che "aumentano la conoscenza della situazione di una virgola" molto più di questa, anche se puoi averne la parvenza

Forse le avresti se espandessimo questo aspetto:



Ma è molto difficile quindi non credo.
A quel genere di pensiero ho già risposto:

Aggiungo che le 'mie' teorie sull'antropologia delle religioni, io le applicate allo studio di fatti e persone concrete, in uno studio dei rapporti fra religione e istituzioni fra l'antichità e l'altro medioevo. Ma applicare delle teorie è un po' il punto di vista errato: ho studiato l'antichità e il medioevo, il loro fatti e le loro persone, e ho cercato di spiegare queste e quelli secondo il framework concettuale che mi è sembrato più idoneo. Ed è la stessa cosa che faccio sul forum con l'Islam.

Le differenze fra me e Viennetta (o altri), al di là dell'immaginifica e poco fondata osservazione di Viennetta che hai quotato, sono due: non è che Viennetta guarda alle persone e io no, però mi sa che Viennetta guarda solo a un certo tipo di persone (tipo le ragazze siriane al pub), mentre io guardo anche ad altre. Altra differenza: i miei presupposti teorici sono critici, consapevoli ed espliciti, i vostri magari no, ma ci sono comunque: ed è ben pià grave che ci siano senza essere critici e consapevoli, perché significa che vi limitate ad applicare preconcezioni teoriche in linea col milieu culturale dominante e col senso comune, come ho più volte rilevato, nonostante Kalidor mi rimproveri di non spiegare e di non argomentare: così ogni volta che vi smeravigliate del fatto che questi islamici gridino Daesh, bevano vino e mangino maiale, ogni volta che distinguete i cattivi musulmani che fanno queste cose e che quindi non sono davvero musulmani (quindi la religione non c'entra nulla), etc., state partendo da una specifica preconcezione del fenomeno religioso come set di idee (fede e via dicendo) per di più comprensivo di un'ortodossia. Lungi dal non avere una teoria e dal guardare alla gggente vera, state inconsapevolmente applicando all'Islam il frame concettuale del cristianesimo post-kantiano e post-schleiermaheriano, cioè quel frame, storicamente e culturalmente assai situato, che si è formato in Europa all'esito delle guerre di religione, della fuoriuscita della religione dallo spazio pubblico e della ricerca di un nuovo ruolo per la medesima. Nonostante Kalidor mi accusi di non spiegare le cose e di fare solo l'arrogante, a me pare di avere spiegato queste cose ormai un milione di volte. Ma vabbè.


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Io questo credo che sia uno dei principali errori di tutte le discussioni sull'islam che ci sono in Europa
Quando, dopo la strage di Nizza, ho letto interviste (ricordo quella di Enrico Letta, che ora insegna a Parigi) che parlano di guerra civile e alle domande sulla guerra con l'Islam rispondono "ma non diciamo stupidate" e poi ovviamente parte la conta del fatto che gli attentati colpiscono anche musulmani (come se questo automaticamente vorrebbe dire che chi fa attentati non lo fa in nome dell'islam...)


mi limito a dire che queste convinzioni, forse, dovresti rimeditarle in chiave dubitativa. Non aggiungo altro, perché francamente di fronte all'accusa (dopo quella di idiozia) di ggentismo, la voglia di discutere passa.

p.s.

non guardo solo le ragazze siriane nei pub, per ricordare a me stesso che le iconografie, spesso, sono il frutto di un discorso pragmaticamente propagandistico.

Per combattere alcune estremizzazioni della rappresentazione, anche legata all'esteriorità sociale (il barbuto con il dito alzato, le donne con i baffi vestite da ninja etc.), che oggi costituiscono un certo tipo di vulgata immaginifica, a volte è il caso di impiegare indici (che si riscontrano tanto quanto le prime nel reale) di apparenza e di vita sociale che si collocano all'estremo opposto.

Se non stanno bene le ragazze siriane, si vada a fare un giro (anche virtuale) in libano. La vita quotidiana (ed è sulla quotidianità che si gioca la partita del mutuo riconoscimento o dell'ostilità; il resto pertiene alla geopolitica, e la geopolitica per l'uomo comune, come me o te, è come un violento temporale) dei paesi islamici Non si riduce all'Arabia Saudita o Qatar.

Non è un device retorico dirimente, ma quanto meno ricorda agli interlocutori che si deve stare sempre attento ai manifesti (l'ebreo barbuto, la spia comunista che insidia l'eroico soldato nazionalsocialista etc.),; purtroppo, è inevitabile che non solo la propaganda, ma anche la cultura, a volte, cada vittima degli stereotipi (quasi-lombrosiani).

Forse si riferisce a me.
Finché lo fa per ridere, rido.

Poi dice che "non c'è bisogno di capire cosa dice l'altro quando sei d'accordo" e rido doppiamente

Sì, ci sono un mare di argomenti usati per squalificare la componente religiosa.
I terroristi non hanno letto il Corano; segue che non sono davvero musulmani, segue che la religione non c'entra nulla.
I terroristi mangiano maiale e bevono vino; segue che non sono davvero musulmani, segue che la religione non c'entra nulla.
I terroristi uccidono altri musulmani; segue che non sono davvero musulmani, segue che la religione non c'entra nulla.

Ma dove sta scritto che la religione sia tale solo in quanto rispondente a determinate narrative (1) autoritariamente decise da un centro istituzionale (2)?

Il primo fraintendimento (la religione ha essenzialmente un contenuto narrativo, una fede, etc.), è la concezione post-kantiana che si è sviluppata allorché si è trattato di trovare un nuovo posto alla religione dopo la sua fuoriuscita dallo spazio pubblico: la religione non poteva essere più una pratica (perché come pratica aveva fatto a pezzi l'Europa), ma doveva diventare unicamente un fatto del pensiero. Ma, storicamente, la religione è anche altro: la pratica è al cuore dell'esperienza religiosa, la religione è un fare, è una struttura di rapporti, è un insieme di presupposti concettuali attraverso il quale leggiamo il mondo; e, solo in piccola parte, la religione è anche un racconto. Queste sono idee soprattutto familiari agli storici dell'antichità, perché la religione antica era così, un chiaro insieme di pratiche in un miscuglio inestricabile di religione e politica, molto diversa dal cristianesimo post-kantiano. Di questo gli antropologi hanno iniziato a rendersene conto soprattutto grazie all'opera di un antropologo arabo, Talad Asad, che appunto si è accorto di come il punto di vista luterano post-kantiano fosse inadeguato a spiegare l'Islam. E le pratiche hanno vita autonoma, non sono applicazioni dei racconti: le cose, i corpi, le azioni, le scansioni temporali e spaziali, creano qualcosa da sé.

Il secondo fraintendimento è un po' legato alla storia del cristianesimo e soprattutto del cattolicesimo (ma è un modo secondo il quale tendono a svilupparsi molte religioni: esso però riflette il punto di vista interno, che decide, non il punto di vista esterno, analitico, che conosce), e cioè tende a identificare la religione col racconto deciso da un centro istituzionale: tutto il resto è superstizione, o comunque non è religione, non è un cazzo, è non-essere. Qui si tratta di stabilire se volete concepire come religione tutto ciò che promana uniformemente da un centro autoritativo, oppure una certa qualità dell'esperienza umana, un certo set di pratiche, che tendono ad organizzarsi socialmente come tutti i fenomeni umani, ma che non devono il proprio statuto ontologico a un criterio di correttezza.

Su tutto questo si innesta quell'invadente narrativa dominante che, al netto di pochi intellettuali, non riesce proprio a distaccarsi dall'idea che la religione, tutte le religioni, siano necessariamente buone e belle. Questa è un'indebita distribuzione di valori: è frutto di una scelta all'interno dei racconti delle religioni, e ignora bellamente tutto un set di pratiche attraverso il quale la religione struttura i rapporti fra gli uomini (anche come sistema di dominio). E fatevele due domande quando contestate l'idea che ci sia del male in una religione in quanto tale.