Mitologia



Non avevo letto

Sì ce l'ho, se non sbaglio ho il tuo contatto su steam, ci sentiamo lì. Ti posso anche passare degli ebooks sullo gnosticismo che probabilmente ti interesserebbero.

Secondo quella che è la concezione tradizionale dell’evoluzione lineare delle religioni, sarebbe anche così, per le ragioni che hai detto tu: il magismo è ancora presente nella religione greca ma apparentemente non in quella ebraica (ricordiamo la progressione fazeriana: magia, religione, scienza), la quale ultima offre anche un rapporto assai più intimo e personale con la divinità.
Ma non è così.

Piccola premessa metodologica: tanto il mito di Ifigenia quanto il mito di Isacco rappresentano il tentativo, da parte di narrazioni posteriori, di rielaborare il più antico e ormai desueto rito del sacrificio umano: pertanto non sono convinto che siano episodi particolarmente emblematici delle due religioni nelle rispettive fasi storiche che ci interessa considerare.
E poi, con il mito di Ifigenia, abbiamo a che fare con un contesto letterario, dal quale non possiamo pertanto sperare di trarre informazioni esaustive e concludenti sul fenomeno religioso: non è metodologicamente corretto trarre conclusioni generali sulla religione greca a partire da un mito letterario.


Venendo poi al discorso del presunto progresso fra la religione greca e quella ebraica, ti invito a considerare il legalismo che, nella religione ebraica e non in quella greca, vincola quasi l'intero spettro dell'attività umana.
Ancora, quanto segue non è del tutto vero:

Molte condotte dell'uomo greco hanno un riflesso diretto sulla comunità e sono come tali eventualmente sanzionate, ma l'uomo greco conserva un cospicuo margine di libertà non solo nell'azione pratica ma anche relativamente al proprio foro interiore: l'ebraismo conosce la nozione di apostasia; al contrario, persino un conservatore come Catone (prendo un esempio dall'ambiente romano, ma siamo nell'età dell'ellenizzazione di Roma), poteva accogliere aspetti del pitagorismo senza che alcuno se ne desse pensiero. E' convinzione diffusa ma inesatta che tutto quello che l'uomo greco-romano facesse, avesse un risvolto pubblico (sebbene una connessione più forte sussistesse nell'età arcaica).

Infine, neppure condivisibile è l'idea che il rapporto con la divinità fosse più diretto e personale nella religione ebraica piuttosto che in quella greca (o romana). Questo è uno dei peggiori 'miti' della tradizionale storia delle religioni. La religione greco-romana, al contrario, offriva anch'essa un rapporto personale con la divinità, addirittura fideistico, come dimostrano le testimonianze delle preghiere, degli atti di devozione, dei sentimenti che circondavano il culto. Era un rapporto talmente personale e soddisfacente che, semmai, la religione cristiana dovette imitarlo, fornendosi dei culti dei martiri e degli angeli che soddisfacessero appunto quel bisogno di un rapporto personale che il distante Dio giudeocristiano non riusciva a soddisfare.

Quindi no, non condivido assolutamente la tua idea di un progresso, che poi è l'idea tradizionale e partigiana della scienza delle religioni, che tu avrai assorbito come tutti e che stai utilizzando per organizzare e dare senso alle tue nuove conoscenze.


A livello di valore accademico, può aver senso paragonare i due episodi usando il sacrificio come archetipo.
Verrebbe un lavoro in tre parti: 1) identificazione dell'archetipo universale "sacrificio" e il suo significato nel mito. 2) analisi dei due episodi con elenco dei punti salienti. 3) comparazione dei due episodi, con similitudini e differenze.
Da questi tre punti, trai le conclusioni.

Tieni conto che, nell'opera di Euripide, Ifigenia viene salvata dall'intervento divino.

La difficoltà in un lavoro di questo genere è evitare di rimanere ingarbugliato nelle fonti, soprattutto sul mito greco.

Edit: il motivo per cui io trovi interessante questo approccio lo si trova pochi post più su.
In realtà immaginavo che fosse ridicolo parlare di progresso in religione, come d'altronde lo è in filosofia, in letteratura e in molte altri campi umani



Ok, claro: insomma, ok trovare le differenze ma senza andare troppo in là, giusto? La questione dei miti però non mi torna: i miti letterari non formano una buona parte dell'ufficiale religiosità greca? Da cos'altro si può trarre conclusioni?



Non sapendo cosa sia il legalismo, leggo da wikipedia: con legalismo si intende quella concezione secondo cui la salvezza si ottiene solo tramite la rigida osservanza delle leggi, no? Ha senso però parlare di legalismo in una religione che non preveda il concetto di salvezza come mi pare sia quella greca?



Questo non sapevo Ammetto che si, la mia idea era che la religione greco-romana fosse principalmente una religione sociale o, comunque, comunitaria, con poco spazio per il rapporto privato verso la divinità. C'è qualche testo preciso o saggio che posso leggermi a questo proposito? Conta che ho la connessione universitaria verso l'intero scibile delle riviste accademiche e non, quindi puoi sparare anche roba molto specialistica


Ah ok, è per questo che non si può prendere UN mito come fonte di informazioni per la religione greca? Come si può procedere? Raccogliendo tutti i miti che trattano quell'argomento? Ma come si può poi separare quelli "corretti" da quelli "non corretti", se ogni variante è semplicemente una rielaborazione letteraria dello stesso mito?

I miti sono una discreta fonte; semplicemente, non si può prendere il mito raccontato da un poeta e generalizzarne i caratteri per l'intera religione greca, perché poesia ≠ religione. Ci sono altre fonti, migliori e peggiori della poesia: testimonianze epigrafiche, reperti archeologici, informazioni di carattere storico sulle usanze, sulle istituzioni, sulle leggi. La religione classica non può ridursi a una somma di miti, per di più spesso ripresi da fonti poetiche e/o razionalizzanti.



Io sto parlando del legalismo giudaico, non di quello greco che, appunto, non esiste.
Volevo solo indurti a considerare se davvero possa considerarsi più 'progredita' (nella direzione del razionalismo o anche della 'spiritualità') una religione, come quella giudaica, che puntella la vita del fedele con obblighi rituali di quantità e qualità sconosciute alla religione classica.

Comunque anche le religioni classiche hanno una loro soteriologia, ma questo non ha a che fare col discorso.



Socrate fu condannato a morte in un momento di gravissima crisi politica, conseguente alla sconfitta nella guerra del Peloponneso e alla fine dell'impero e dell'egemonia ateniesi, con quanto ne seguì, cioè l'instaurazione del governo dei Trenta e la successiva restaurazione di una democrazia debole e insicura, che fece di Socrate (peraltro vicino all'ambiente dei Trenta) il proprio capro espiatorio.
Certo, resta il fatto che la religione, nel mondo classico, possedeva una dimensione pubblica e svolgeva un ruolo fondamentale nella definizione delle identità politiche, per cui si poteva addivenire ad accuse come quella di empietà rivolta contro Socrate. Questo è vero, la libertà non era completa e non si tratta di negare tale aspetto della religione classica. Ti invitavo semplicemente a considerare anche l'altro aspetto: l'esempio di Catone non è casuale. Mi riferisco a Catone il Vecchio, colui che aveva fatto cacciare da Roma i filosofi greci perché i loro insegnamenti compromettevano il mos maiorum; lo stesso Catone che però poteva abbracciare alcuni aspetti del pitagorismo come il suo amico Ennio. L'uomo classico, insomma, nonostante i molti limiti, conservava anche un ampio margine di libertà morale e individuale: non tutto quello che era o faceva interessava il culto pubblico.



Che lingue leggi?

Capito




No ok, ma mi stavo chiedendo se avesse senso, all'interno di un discorso quale il progresso di una religione sull'altra che già dici essere poco sensato, paragonare due religioni su un ambito che non è contemplato da una delle due. Però tu dici, già il fatto che una delle due non lo contempli dovrebbe mettere in dubbio l'eventuale progresso dell'altra.




Ok, claro



Bene italiano e inglese, zero tutto il resto

Volevo farti semplicemente notare che anche il giudaismo ha dei limiti (sul piano tanto della razionalità quanto della spiritualità), limiti che per esempio le religioni classiche non possiedono (non nella stessa misura). Paragone, non paragone, non mi interessa. Semplicemente, se così stanno le cose, non vedo tutto questo 'progresso'.

Comunque non è che due religioni non possano paragonarsi sulla base per es. dell'apertura verso la razionalità, oppure del livello d'interiorizzazione del culto, o quel che ti pare. Semplicemente, non credo che la storia delle religioni segua un progresso lineare dalle forme più arcaiche del magismo e del politeismo alle più evolute tradizioni monoteistiche. Ciascuna religione, al proprio interno segue spesso percorsi di evoluzione, di involuzione o di semplice mutamento, che sono semmai il riflesso dei percorsi evolutivi attraversati da una civiltà nel suo complesso. Allorché gli apostoli andavano diffondendo l'insegnamento di Gesù, la religione pagana si trovava in uno stadio assai più avanzato rispetto al neonato cristianesimo, perché la propria evoluzione l'aveva già percorsa ed essa era ormai la religione di una civiltà assai progredita: la religione pagana esisteva nelle forme altamente razionalizzate di un Plinio o di un Plutarco, agli occhi dei quali sarebbe stata semmai 'l'alta' teologia cristiana a presentarsi come una sciocchezza. E gli stessi Plinio o Plutarco non avrebbero potuto concepire come più vicino al cuore degli uomini né il Dio tremendo e vendicatore del VT, né l'improbabile Dio fattosi carne del NT. Questo non perché la religione pagana fosse in sé migliore o più colta: ma essa, in quel momento era la religione di una civiltà più colta. A partire dal III secolo, cristianesimo e paganesimo deriveranno entrambe verso forme irrazionalistiche, perché quello era il nuovo andamento culturale dell'impero.



A mia scienza, l'autore che maggiormente si è occupato degli aspetti fideistici della religiosità ellenistica (senza andare a pescare improbabili antropologi che si muovono piuttosto su basi speculative o del tutto fantasiose) è Ramsay MacMullen. MacMullen però si occupa soprattutto dell'età imperiale, non dell'età classica. Io ti consiglio di leggere egualmente i suoi libri: non troverai altri testi che ti facciano meglio comprendere gli aspetti fideistici e intimistici della religiosità greco-romana, nonché come essa non costituisse affatto una religione deteriore rispetto alle grandi tradizioni monoteistiche. Poi, naturalmente, la religione greca e la religione romana hanno seguito un loro percorso storico, e la religiosità di un uomo del V sec. a.C. non è la stessa di quella di un uomo del III d.C. Ma dove risiedessero forme di religiosità non dissimili dalla nostra idea di religione, in quello ch'è stato per secoli presentato come un insieme di fiabe (i miti) e di sterile ritualismo, questo possono dirtelo i libri di MacMullen. In particolare: Paganism in the Roman Empire (1981); e Christianity and Paganism in the Fourth to Eight Centuries (1997).
Sto cercando un enciclopedia dei miti greci per un regalo ad una amica che l'aveva chiesta, non opere complete ma più una cosa nozionistica
Il budget è medio alto, anzi a trovare qualcosa con belle illustrazioni e anche in più tomi sarebbe l'ideale, visto che è un regalo da fare in gruppo e altrimenti dobbiamo "aggiungere"

sull'amazzone ne ho trovati 2, il primo è un enciclopedia Garzanti su cui npon trovo recensioni

http://www.amazon.it/Enciclopedia-dei-miti-Garzanti-Cordi%C3%A9/dp/8811504570/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1421080919&sr=1-1&keywords=enciclopedia+dei+miti

l'altro ha solo recensioni positive e quindi mi sto orientando su quello

http://www.amazon.it/I-miti-greci-Robert-Graves/dp/8830409235/ref=pd_sim_b_6?ie=UTF8&refRID=0MF9RRVBFEHK7TWQP19Z

anche sui commenti al libro in inglese vedo solo note positive, qualcuno conosce i due suddetti libri o gli autori, o ha altre opzioni da consigliare?
andrei sul secondo, anche se il primo testo può essere più utile per chi ha bisogno di informazioni parcellizzate, da consultare alla bisogna.

Se poi vi fosse il desiderio di ricevere in regalo/regalare qualcosa di bello, prevalentemente, dal punto di vista iconografico (quindi illustrazioni, etc.) ovviamente dovreste orientarvi su testi di storia dell'arte e dintorni.

Ad esempio, nel catalogo taschen non c'è qualcosa di interessante?
Non sono un grande estimatore di Graves. Ho quel libro da tempo immemorabile e ne ho lette alcune parti. Il libro si presenta con un taglio quasi narrativo, ma conserva un'organizzazione fondamentalmente enciclopedica. Chi lo apre per leggerlo 'come un romanzo' rischia di trovarlo pesante (è naturalmente densissimo di informazioni); chi lo apre per consultarlo come un dizionario può avere difficoltà a recuperare e mettere assieme le informazioni.

Quello della Garzanti, invece, è il Dictionnaire de la mythologie grecque et romaine di Pierre Grimal. E' un classico (ma classico è anche il libro di Graves). Recensioni ne trovi, almeno se cerchi in inglese (in inglese esiste anche una versione ridotta; non so in italiano, ma fai attenzione). Questo non ce l'ho ma l'ho consultato in qualche occasione. Non saprei pronunciarmi sull'opera in questione, ma Pierre Grimal è un grande storico e uno de miei preferiti. Se la tua amica vuole segnatamente un'enciclopedia, quello di Grimal è una buona idea. Dovrebbero anche esserci altre due edizioni, delle quali una costa una novantina di euro ed è fuori catalogo (non so se sia rilegata o cosa), mentre l'altra è anch'essa economica.
grazie mille
Si lei vuole un enciclopedia, la descrizione è "sento/leggo una citazione di un mito, apro il mio libro e la trovo in ordine alfabetico coi rimandi e la storia a grandi linee
Io stavo per dirle che per una cosa del genere forse era meglio wikipedia, ma poi ho pensato che per una volta si poteva farle un regalo essendo sicuri che è qualcosa che lei vuole (e non se lo aspetta visto che ne ha parlato mesi fa )

Devo dire che sono molto più indeciso, da una parte la bocciatura di nr. six fa ritornare in auge il Garzanti, dall'altra in realtà il fatto che il libro di Graves sia un po' più narrativo forse in fondo è cosa buona, perché ok l'enciclopedia ma secondo me lei lo leggerà anche la sera

Va buò intanto grazie, vedrò di vedere se posso trovarne copie in biblio per vederli dal vivo anchio
Quello di Graves comunque non è in ordine alfabetico, ma segue un ordine tematico. Naturalmente c'è un glossario, ma la ricognizione delle informazioni non è sempre delle più immediate (un personaggio minore potrebbe ritrovarsi all'interno del capitolo su altro personaggio, senza avere una voce a sé).
Mitici ammici, sto trovando molto interessante la figura delle Tre donne nelle varie mitologie (vabbeh, principalmente in quella greca e in quella norrena perché di quelle so qualcosa). Che origine hanno? Sono presenti anche in altre mitologie? Nella mitologia greca in particolare, il fatto che esistano molte triplette di figure femminili (Furie, Moire, Grazie, Gorgoni) è segno di qualcosa in particolare?

Che posso leggermi (libri, articoli) sull'argomento?
Caro Attela, anzitutto ti invito alla cautela nella gestione dei tuoi interessi, perché rischi di formare la tua concezione di certi temi in funzione di sistematizzazioni scientificamente sorpassate (o inesistenti ), quali sono le riflessioni intorno agli archetipi e molti studi del comparativismo 'classico'. Non è che tutta la mitografia comparata e i contributi della psicanalisi siano da buttare, no: io stesso ho fatto e faccio uso per es. di Dumézil, ma con molta cautela. Fermo restando, comunque, l'interesse di questi temi in qualità di storia delle idee del XX secolo.

Detto questo, una ricerca sulle triadi di divinità femminili può probabilmente partire da Graves e dalla sua La Dea bianca. Non è una brutta lettura, ma scientificamente è cacca.
Ah, considera che la distinzione fra triadi di divinità, da un lato, e divinità triplici, dall'altro, è sfumata. Considera anche che il motivo delle divinità femminili triplici può inserirsi nel più vasto tema delle triadi divine in genere, quali sono per es. la triade capitolina e la stessa trinità cristiana. Dai uno sguardo qui: http://en.wikipedia.org/wiki/Triple_goddess
Beh, effettivamente forse allora mi converrebbe leggere qualcosa di scientificamente sensato, no? Voglio dire, ok le cose suggestive, ma per quello ci sono i libri di narrativa

Quindi non so, girando la domanda: che mi consiglieresti di leggere di scientificamente sensato? Tu dirai, su cosa? Io dirò, boh? Qualcosa di generale? Qualcosa in particolare sulle triadi divine?


Altra cosa che mi viene poi da chiedere: la mitologia comparata è dunque scientificamente cacca? Io trovo affascinante (e logicamente plausibile, anche) che popoli diversi abbiano attinto da un unico ceppo per sviluppare le proprie credenze; vuoi perché siamo tutti uomini, vuoi perché la vita umana avrà ben avuto un inizio in comune. È solo un'ipotesi affascinante o è un pensiero che ha un fondamento scientifico?

Chiedo perché alla fine il libro che ha dato il via al mio interesse nella mitologia è Il mulino di Amleto, di de Santillana, un saggione che analizza la presenza del Grotti e dei suoi analoghi in varie mitologie. La spiegazione che dà l'autore, se non ricordo male, c'entra con il movimento degli equinozi (precessione?). L'hai letto e/o conosci l'autore? È scientificamente attendibile?
Non conosco Giorgio de Santillana. Leggendo un profilo dell'autore e una sinossi del libro in questione, mi viene spontaneo domandarmi se l'autore abbia realmente le competenze per parlare di civiltà così numerose e diversificate Sì, sono diffidente delle 'grandi sintesi', perché la conoscenza storica risiede anzitutto nell'analisi, mentre le sintesi - da parte di chi non si è anzitutto occupato dell'analisi - rischiano di essere fondate intorno ai luoghi comuni.
Quella collana della Adelphi è una bellissima collana che accoglie splendidi classici e anche testi di valore scientifico. Ma, in molti casi, parliamo di roba che io definirei letteratura - nel senso di belle lettres - non episteme Per esempio, La Dea bianca è pubblicata in quella collana.

Poi, oh, tutti quanti ci siamo appassionati al mito leggendo cose come Santillana. Come mi ci sono appassionato io? Con Frazer e altri della sua risma; Frazer che tuttora ammiro, e che tempo fa ho difeso in un sintetico scambio di messaggi con Qfwfq, perché credo che in Frazer ci sia qualcosa di recuperabile: però, appunto, è come cercare oro nel fiume
Bello Frazer, ok, bellissimo. Ma le favole vanno bene per quando si è piccoli E poi c'è il rischio d'innamorarsi (di convincersi) di una tesi per via della sua bellezza.

Purtroppo credo che un certo vecchiume sia ancora popolarissimo nella ridente Italia, e che troverai studiosi che interpretano ancora il mito secondo paradigmi che io definirei vetusti Quindi, per carità, lungi da me la pretesa di volerti offrire verità vere, visto che può sempre arrivare qualcuno (competente; lasciamo perdere l'appassionato) a sostenere con ottimi argomenti: guarda, #6 dice un mare di cazzate.

Il comparativismo, in teoria, è una splendida idea: si potrebbe infatti dire che qualunque conoscenza sia il risultato di un'avvenuta 'comparazione'. Quindi ben venga il comparativismo religioso, così come per es. facciamo comparazione giuridica (che mai come negli ultimi quarantann'anni vive uno stato di grazia). Il problema del comparativismo religioso è che, a monte della benedetta comparazione, c'è una prodigiosa fenomenologia delle religioni: quella che chiamiamo comparazione, è in realtà una ricerca di conferma degli elaborati bias teorici La premessa ideale della fenomenologia della religione è che sia la comparazione a fare emergere l'unitarietà concettuale dei fenomeni, mentre si potrebbe contestare che assai spesso avvenga il processo inverso.
Nel campo del diritto, per molto tempo, il problema non si è posto, perché la comparazione - in realtà praticata da millenni - ha eminenti finalità pratiche: studiamo le leggi degli altri allo scopo di migliorare le nostre leggi; da questo punto di vista, l'accuratezza scientifica importa poco: la buona comparazione è tale in ragione della propria efficacia, non della propria correttezza filologica. Senonché, anche nel campo del diritto comparato abbiamo iniziato a renderci conto del fatto che molti postulati non possano essere dati per scontati: alcuni studiosi hanno per esempio suggerito che il nostro concetto di diritto, ius, law, Recht, che pure vorremmo universale e definitorio di una universale modalità dell'esperienza umana, sia in realtà un concetto assai specifico dell'Occidente e legato alle vicende del diritto romano: concetto che, se considerato come una sorta di 'invariabile' umana, magari non è adeguato a interpretare - che so - le tradizioni del Sud Est asiatico. E se va in crisi anche un concetto generalissimo come quello di ius - che diavolo - non ci poniamo anche qualche dubbio sui vari simboli del serpente che si morde la coda, del re che muore, e compagnia cantante?

Ferma restando l'idea che la comparazione religiosa non sia tutta cacca, ma che ci sia senz'altro spazio per la ricognizione (e conseguente spiegazione) del simile, io sono dell'idea che si debba diffidare dei grandi monoliti teorici. Un secolo di filosofia del linguaggio ci avrà insegnato qualcosa, no? Dobbiamo uscire dalle semplificazioni unificatrici della lingua e provare a entrare nella specificità di ciascun oggetto. Non esiste il diritto, il mito, il rito: esistono piuttosto singoli fenomeni, ciascuno con le proprie caratteristiche, che rischiano solamente di essere fraintesi se interpretati alla luce di questo o di quel paradigma teorico. Non è che solamente 'rischino' di essere fraintesi: gli stessi identici riti e miti sono interpretati in maniera completamente diversa a seconda di quali siano i presupposti teorici dell'interprete, sempre irrispettosamente dei rispettivi contesti e specificità.
Ora, io non ho idea di chi possa avere trattato scientificamente l'archetipo (ugh) delle tre dee. Però posso consigliarti un libro che può darti un'idea di tali problematiche teoriche e metodologiche:
Catherine Bell, Ritual: Perspectives and Dimensions, Oxford 1997 http://ukcatalogue.oup.com/product/9780199735105.do
Indice:

Spoiler

Part 1 Theories: The History of Interpretation
1.: Myth or Ritual: Questions of Origin and Essence
Early Theories and Theorists
The Myth and Ritual Schools
The Phenomenology of Religions
Psychoanalytic Approatches to Ritual
Profile: Interpreting the Akitu Festival
Conclusion
2.: Ritual and Society: Questions of Social Function and Structure
Early Theories of Social Solidarity
Functionalism
Neofunctional Systems Analyses
Structuralism
Magic, Religion, and Science
Profile: Interpreting the Mukanda Initiation
Conclusion
3.: Ritual Symbols, Syntax, and Praxis: Questions of Cultural Meaning and Interpretation
Symbolic Systems and Symbolic Action
Linguistics
Performance
Practice
Profile: Interpreting British and Swazi Enthronement Rites
Conclusion
Part II Rites: The Spectrum of Ritual Activities
4.: Basic Genres of Ritual Action
Rites of Passage
Calendrical Rites
Rites of Affliction
Feasting, Fasting, and Festivals
Political Rites
Conclusion
Part III Contexts: The Fabric of Ritual Life
5.: Ritual Density
Systems
Typologies
Orthopraxy and Orthodoxy
Traditional and Secular
Oral and Literate
Church, Sect, and Cult
Conclusion
6.: Ritual Change
Tradition and Transformation
Ritual Invention
Media and Message
Conclusion
7.: Ritual Reification
Repudiating, Returning, Romancing
The Emergence of "Ritual"
Conclusion
Notes
Reference
Index



Catherine Bell è (è stata) soprattutto una studiosa del rito, non del mito. Questo libro ti può essere comunque utile perché la Bell passa in rassegna una serie di scuole di scienza delle religioni che si sono distinte anche nella loro interpretazione del mito, evidenziandone i limiti e i pregiudizi teorici. E poi il rapporto fra mito e rito è posto all'intersezione di un importante nodo teorico che ti sarebbe utile conoscere. Tutta l'opera di Catherine Bell è comunque sottesa dall'idea che si debbano studiare i singoli riti, non l'idea di rito (che non esiste). L'insegnamento è valido, in genere, anche in altri ambiti delle scienze delle religioni. Qualunque studio di scienza delle religioni, oggi, deve anche partire da Catherine Bell (anche e soprattutto da un altro dei suoi libri).

Poi, boh, non pensare che io sia abituato ad andare a caccia delle novità: non sono malato di 'recentismo'. A parte il fatto che, per via della mia educazione formale, sono abituato a tener conto delle correnti tradizionali e consolidate (la scienza giuridica è mooolto conservatrice), ti ho detto e ti ripeto che non mi faccio problemi nell'usare per es. Dumézil, o persino nel buttare l'occasionale citazione di Frazer. Però serve consapevolezza metodologica e teorica. E mi sono abituato a guardare anche e soprattutto alla letteratura anglosassone, anziché rimestare soltanto nella solita vecchia roba che gira e rigira fra Germania e Italia da oltre un secolo. Ah, non sono neanche malato di anglofilia, tranquillo
Più specificamente sul mito, questo aveva attirato la mia attenzione, ma non ho avuto ancora occasione di leggerlo.
Grazie caro, c'hai sempre una gran voglia di rispondere e spiegare le varie cose

Mi son segnato Rituals della Bell e me lo leggerò volentieri, e anche quest'ultimo sembra interessante. Aggiornerò

Ho finalmente trovato il tempo di leggere questo libro che ti avevo indicato in precedenza, ed è ottimo. Resto dell'idea che, per approcciare criticamente qualunque problema connesso alla 'scienza delle religioni', la pietra angolare sia costituita dai lavori di Catherine Bell, sebbene i suoi contributi riguardino il rito piuttosto che il mito; ma la sua padronanza del discorso filosofico e le sue lucidità e profondità concettuali sono superiori a quelle di Bruce Lincoln o di qualunque altro studioso del discorso sul mito che mi sia noto.

Dunque, quello di Bruce Lincoln è un ottimo libro, superiore ai precedenti libri di Strenski e Dubuisson per la completezza del quadro storico tracciato, che spazia da Omero ed Esiodo fino al secondo Novecento e che consente all'autore di declinare la storia del discorso sul mito in tutta la sua estensione storica e, pertanto, nella pienezza dei suoi significati. Quello di Lincoln mi sembra un testo importante per familiarizzarsi con l'idea di cosa realmente facciamo e diciamo quando intraprendiamo un discorso sul mito, cioè con l'idea che ogni discorso sul mito comprenda numerosi sottotesti (soprattutto politici) e che, quando crediamo di parlare dei miti altrui, stiamo in realtà immaginando i miti altrui e costruendo i nostri.

Non manca una parte più costruttiva (utile e ben fatta) del libro di Lincoln, su quale possa essere un più corretto (quantunque parziale) approccio teorico al mito (a partire da un suggerimento durkheimiano, già seguito - in forma embrionale - da quanto di buono possa trovarsi nelle opere di Dumézil e di Lévi-Strauss).

Insomma, consigliato. Invece di perdere tempo dietro a vetuste e insostenibili 'comparazioni' e teorie

E poi, come non essere accattivati da un simile inizio: