mi sono rotto il cazzo di tutto

Che per loro la depressione o qualsiasi altra cosa nella stessa sfera non esiste. E’ perché non esci abbastanza, o perché mangi male o perché quì perché lì.

Well but ackhtually :asd: tu rientri nella definizione dei

Prendi cellulosa, laminati, piastre di metallo e ci fai qualcosa di bello, vedi il risultato tangibile di qualcosa che produci

Che è poi il discorso dell’ultimo post che ho fatto sopra

Predy sicuro, visto che in tabaccheria in vita mia ci sono entrato solo per qualche marca da bollo :sisi:

Ragazzo: come archivista, lasciamelo dire, puoi fare di meglio.
:asd:

o perchè non invadi un paese, a putin stanno curando la depressione :sisi:

Alcuni lavori manuali permettono di seguire tutto il processo produttivo, quindi viene un po meno l’alienazione, il punto è che molto spesso sono lavori duri e ultra stressanti perché dipende tutto da te, anche la turbo povertà

a me è sensibilmente peggiorata la motivazione a lavorare da quando sono passato da un lavoro operativo a manageriale.

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Hey Madian, non deve essere affatto un bel periodo.

Italo Calvino nelle Città Invisibili parla di Eufemia, la città in cui i viandanti si scambiano le loro storie la notte, davanti ad un fuoco, prima di rimettersi in cammino ognuno per la propria strada. E quindi …

La mia infanzia è stata tutt’altro che semplice. Ho vissuto il mio vuoto, le mie difficoltà e le mie insicurezze, e soprattutto la mia solitudine.
Sono tante cose con cui ho dovuto fare i conti per molti anni, fino a raggiungere un crollo totale durante l’adolescenza.
Per fortuna quel crollo mi spinse poi a fare anni di terapia, a rimettere insieme i pezzi, ad aprire la porta e lasciare che i fantasmi uscissero dalla camera prima che fosse troppo tardi.
In mezzo a tutta questa tempesta, se torno con la mente e gli occhi a quegli anni, sai cosa mi ha salvato? La pallavolo.
Uno sport che ho iniziato a fare da solo quando avevo 4 anni e immaginavo lo stipite della porta della mia cameretta come fosse una rete. Appallottolavo un paio di calzini e lo usavo come palla e iniziavo a giocare facendo la telecronaca nella mia testa.
Ad ogni colpo che davo immaginavo di essere prima una squadra e poi l’altra, una sorta di sfida continua verso me stesso.
Ho praticato pallavolo per molti anni, con un allenatore che per me è stato come un padre, che mi diceva che con la pallavolo “ci avrei mangiato”. Poi come forse ho già raccontato a 15 anni ho iniziato ad avere problemi ai polmoni, pneumotoraci a non finire, interventi su interventi, un calvario durato 6 anni e un torace pieno di cicatrici. L’aria che manca, le corse in ospedale, il mio corpo che lentamente si è trasformato in una gabbia, una sorta di mappa fisica del mio mondo interiore.
Così con una rabbia senza fine e con immenso dispiacere ho dovuto cambiare strada. Ho dovuto abbandonare uno sport che mi faceva sentire vivo, fino alle lacrime, che mi ha insegnato a vivere, a capire cosa significa fidarsi degli altri, prendersi delle responsabilità. E poi interminabili pomeriggi con gli amici in spiaggia a giocare a beach volley.
Ricordo la rabbia che provavo negli ultimi allenamenti quando i vari acciacchi mi impedivano di giocare ai livelli di un tempo.
Quindi ecco, quel qualcosa che pensavo sarebbe stato per sempre alla fine, dall’oggi al domani, è terminato.

Oggi ripenso a tutto quel periodo con nostalgia e gratitudine. La pallavolo in qualche modo mi riportava a galla. Dopotutto un po’ tutta la mia vita è sempre stato un salire e scendere. Uno sprofondare e un riemergere.
Andavo a fondo dentro di me, cercavo, accendevo luci e ceri, e risalivo. Ho sempre avuto la sensazione che ogni volta che trovavo uno spazio in cui essere felice, inevitabilmente la marea mi trascinasse via verso un altrove. Era una costante. Così la vita mi ha insegnato (ci ho messo anni per vederlo) che tutte le cose, anche quelle che sembrano belle e immense, hanno un inizio e una fine. C’è un dolore ma anche un compimento di senso in tutto questo. Sta a me attraversare ogni tratto di strada con gli occhi e il cuore ben aperti.
Ho sempre cercato di andare oltre, di avere uno sguardo che andasse più in profondità possibile. E per farlo dovevo sottrarre, togliere il superfluo, alleggerirmi.
E più toglievo più riuscivo a seguire un filo a ritroso del mio passato e che si dipanava davanti ai miei occhi. A volte lo perdevo di vista, ogni tanto lo ritrovavo, a volte lo guardavo meravigliato e capivo che in fondo un percorso da qualche parte dentro di me c’era (e c’è tutt’oggi).
Poi la vita mi ha portato da altre parti: ho iniziato a leggere molto, ho fatto teatro amatoriale, chitarra classica, un corso di ebraico biblico. Da anni vorrei fare un corso di ceramica. E tanto, tanto altro.
Se c’è una cosa che posso dire di me è che in vita mia non c’è stato un solo istante in cui io mi sia annoiato. Credimi, non sono una persona dispersiva, tutt’altro. Mi interessano però molte cose, mi piace osservare, creare e vedere cosa esce fuori da me. E quando entro in quello stato sento dentro di me un grosso senso di pace interiore e di equilibrio.
Quando invece mi allontano da tutto questo sprofondo nel buio. A volte è la quotidianità che mi allontana. Altre volte invece, come una tempesta improvvisa in alto mare che si preannuncia e ti attraversa in un istante, passo periodi grigi e opachi in cui l’unica cosa che riesco a fare è abbandonarmi fino a farmi del male.

In tutto ciò sai cosa ho fatto nella vita? L’informatico. Ho preso una laurea magistrale con ottimi risultati e ho iniziato subito a lavorare nel mondo IT. Ora, non voglio entrare nei dettagli di tutto il mio percorso professionale perché potrei davvero scriverci un libro su tutte le storture umane e professionali che ho visto. Però posso raccontarti di quel giorno in cui mi sono ritrovato a testare un programma che avevo scritto e ho riavviato almeno 50 volte una VM per debuggare. Quel giorno dentro di me mi sono detto “ma cosa sto facendo? Che senso ha tutto questo?”. Ci ho messo la bellezza di dieci anni per capire che dovevo cambiare strada. Mi sono guadagnato un bel burn out dovuto sia al tipo di mansione che alle dinamiche aziendali di cui in questo momento non voglio parlare perché davvero, talmente tanta è stata la nausea, che non meritano nemmeno un briciolo delle mie energie.
Sai cosa ho fatto? Sono diventato un dipendente pubblico. Finivo di lavorare e la sera mi mettevo a studiare per il concorso. E con un po’ di impegno e fortuna l’ho superato.
Oggi faccio un lavoro che non ha nulla a che fare né con la mia storia professionale né con le mie passioni. Lavoro in un aeroporto e faccio controlli ai passeggeri. Mi piace osservare le persone, ho scoperto quanto il mondo sia variegato e lontano da come me lo immaginavo. E per quanto se ne dica ho incontrato colleghi volenterosi, altri meno, chi lavora più del dovuto e chi invece se ne approfitta. Il tutto con ritmi umani e lontani da quelli del privato. Ho fatto un master, mi sto prendendo una seconda laurea in Scienze politiche.
Sono letteralmente rinato. E ti dirò di più: come ho scritto nell’altro topic, io e mia moglie abbiamo perso un bambino al quinto mese di gravidanza. Mi fosse capitato con il vecchio lavoro ti assicuro che non sarei qui a scriverti.
Ora invece la mattina mi alzo, faccio le mie ore, stacco e inizia la mia vera vita, quella privata. Il lavoro è solo ed esclusivamente uno sfondo. E quando leggo anche in questo forum dello stress che molti vivono per il lavoro mi rendo conto di quanto io sia fortunato e di come io mi senta salvato grazie alla lontananza che ho preso da tutto quel mondo.
Studio (con un neonato di 6 mesi è una follia quello che sto facendo), spero di riuscire a fare il concorso di dirigente tra un paio di anni per poter permettere a mio figlio di fare tutto ciò che nella vita lo renda davvero felice. Che sia il bibliotecario, il cuoco, l’attore di teatro, il giocatore di tennis, l’astronauta.
Ed il lavoro per me, credimi, è solo uno strumento. Io non sono dipendente pubblico. Faccio il dipendente pubblico. Quando e se diventerò dirigente non sarò dirigente, ma farò il dirigente. Sono ruoli che come degli abiti prendo e indosso per alcune ore della giornata.
Io sono in un altro luogo. Potrei spingermi oltre e sperando di non essere frainteso ti direi anche che lo stesso discorso vale per il mio essere marito, per il mio essere padre. Sono tutte parti di me, alcune sicuramente più profonde e vicine, altre più distanti.
Sono tutti frammenti della mia immagine che continuerò a comporre fino a quando il Cielo me lo permetterà.
Nel bene e nel male faccio parte di questa società. Questo è il tavolo, queste sono le regole, queste sono le carte con cui posso giocare (al netto di scelte estremamente radicali). Potessi scegliere probabilmente vivrei in un eremo, toglierei tutto il superfluo di cui sono circondato e che a volte io stesso cerco. Si tratta di qualcosa obiettivamente irrealizzabile. Fisicamente non sarà possibile, ma simbolicamente cerco di creare quel tipo di spazio sacro dentro di me. Uno spazio in cui ci sono io, da solo, al centro di ogni cosa, mentre tutto intorno a me ruota vertiginosamente.

Non so se sei arrivato a leggere fin qui. Intanto ti mando un abbraccio.

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Uno in ditta da me parte per andare a Tenerife settimana prossima per montare una macchina.

Ha preso il volo sabato mattina, si fa due giorni in spiaggia, e poi lunedì alle 9 comincia a lavorare :cry:

la finanza però è un discorso diverso.
è chiaro che là si entra nel regno del soldi del monopoli.
Però sta a te decidere se ci vuoi avere a che fare

chiedo per capire: quando è iniziato questo problema?
nel senso, quando il mondo ha iniziato ad essere non adatto all’uomo?

perché, ripeto, a me le comodità della società dei servizi piacciono, e con essa tutte le possibilità che ci da.
E’ la corsa folle sulla ruota del capitalismo che mi devasta…

Doubt, è tutto finanziarizzato, o hai i dollah nel cassetto o sei in finanza.

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E torniamo al discorso che solitamente si immagina il vigneto di Sting in un cliché borghese, mica di essere l’artigiano con gli f24 da pagare.

O il muratore con le rotule in pappa :asd:

Ho letto fino in fondo, gg.
Una curiosità, perché proprio l’ebraico biblico?
E a margine mi sa che avresti un po’ di storie interessanti da raccontare col lavoro che fai :asd:

ma col cazzo.
se permetti c’è differenza tra essere attivo o passivo eh :asd:

A parte che te l’ho detto tipo 50 volte e ancora non ti ricordi che ero io.

Che ve serve di tabaccheria?

Winston blu grazie

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non è contrappunto perché al 99,9% chi è attivo e restare comunque un miserabile tritato dal capitalismo

Sei arrivato a questo punto perche le tue scelte ti hanno portato qui.

Cmq domani starai meglio, in bocca al lupo
Edit: ma tu qualche anno fa non eri nel settore vendite di un’azienda che faceva abiti su misura con diamanti o qualcosa del genere?

ma cristo di un dio

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