[LSC] Late Stage Capitalism: thread lollino, depressino e rageino (Part 3)

La partita iva non surroga il lavoro dipendente. Ora capisco che l’imprenditore italiano medio fa troppo schifo anche per Norimberga e che per ora usiamo le PIVA false per giustificare la schiavitù indentured, ma il diritto al lavoro viene prima dei numeri che vanno su.

Se le vostre attività produttive si basano sui consulenti in forfettario che speedrunnano chiudete, non state contribuendo positivamente al mondo.

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Non voglio entrare troppo nel soggettivo, ma fatico a prendere sul serio questi discorsi riferiti ad una situazione pratica.
La mia carriera da padrone è cominciata al secondo padrone che mi ha risposto male in ufficio, letteralmente fatto no show il giorno successivo e sparito senza nemmeno prendere tfr.
Se si parla in pratico di IT, dove si detengono pienamente i mezzi di produzione, si può collaborare in mille modi ed effettivamente offrirsi da freelance e ad obiettivi è molto più vantaggioso sia come tempi che come remunerazione.

E per mia esperienza, una quarantina di assunzioni le avrò discusse, è stato sempre impossibile discutere un compenso fisso più resa in base agli utili.
Quelli che se la passano meglio sono quelli che mi rivendono le proprie ore in partita iva, sicuramente ci mettono meno di quanto mi dicono a chiudere il lavoro ma fin tanto che lo chiudono bene così, è un patto narrativo che finché si riesce tutti ad essere concorrenziali funziona per tutte le parti coinvolte.

lol detengono pienamente i mezzi di produzione.
Comunque stai facendo del generale un particolare, può essere vantaggioso in ambiti molto ristretti ma se si apre a questo concetto lavorativo lo sai meglio di me che diventerebbe la norma sfruttare le persone con contratti capestro basati su produttività fallate, non puoi non arrivarci.

Ma non è vero manco in IT, dai.

Parlo ovviamente di partita iva disponibile sul mercato, non di contratti morganatici, certo che farsi la partita iva per continuare ad avere il capo son d’accordo con te e con xanth.

Nei lavori e mansioni che non sono di produzione è sicuramente così, non saprei onestamente quantificare la produttività e la capacità di un lavoratore nel mondo dell’IT, dei servizi o altro (già un commerciale lo capisco: quanti clienti ti porti a casa, ordini e commesse ottenute - fermo restando che ci sono quelli che dormono sui portafogli ereditati da altri -, ma ci sono incentivi - % su vendite -).
Ma se andiamo in fabbrica, il lavoro e la produttività sono legate al numero dei pezzi prodotti all’ora, lì è quantificabile e dalla capacità produttiva derivano tutte le altre funzioni (acquisti, vendita, carico, flussi di cassa, etc).
Il problema è applicare ancora tout court lo stesso sistema a qualcosa che non “produce” concretamente qualcosa.
Una linea produttiva che in un giorno, organizzata su un turno, ti produce 1.000 pezzi, significa che sono 125 pezzi all’ora e son 5.000 pezzi alla settimana, in 20 giorni lavorativi sono 20.000 e da qui ti leghi anche il fatturato (costano 30 € l’uno), che può essere quindi di 600k al mese.
In queste realtà non è “controllo”, è proprio il “cuore” della produzione sapere quanti pezzi fai al giorno, all’ora e anche al minuto (le stesse macchine che vengono usate in linea hanno tempistiche in secondi).
Derivano scelte aziendali come: attrezzare un’altra linea per aumentare la produttività, ottimizzare la produttività della linea aggiungendo una postazione, a parità di numero di addetti acquistare nuove attrezzature che agevolino il lavoro e lo velocizzino facendo lavorare meglio l’addetto, fare un secondo turno di lavoro per aumentare la produzione, assumere personale, etc.
Oltre a capire tutto quello legato alla fattibilità e al consumo di materiale, quindi l’approvvigionamento dello stesso e capire se puoi caricare altri ordini sulla settimana 4 o 5, capire se andrai in ritardo perché X (ritardo di consegna del materiale del fornitore, due addetti alla linea malati e quindi calo di capacità produttiva, etc.).
Bloccare pure richieste assurde quando la capacità produttiva è satura, etc. etc.

Questo vale nelle realtà produttive, che ti tirano fuori qualcosa, siano pezzi\ora o kg di pane, dove il tempo impiegato nell’attività ha un output specifico basato sul tempo.

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Secondo me avete ragione entrambi, ma il cruccio sta nella definizione di ‘bravo’: Il 90% della gente non e’ brava, nel senso di molto superiore alla media. E perche’ il lavorare ad obiettivi/essere indipendenti funzioni davvero, devi avere diverse marce in piu’.
Quindi giocoforza questo discorso si puo’ applicare solo ad una ristretta parte dei lavoratori

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Una catena di montaggio penso sia uno dei posti dove ci sia veramente zero spazio per hustlare ed ogni tentativo di permetterlo si traduce in cose tipo “hai 10 minuti al giorno per usufruire dei servizi igienici”.

Siamo d’accordo, per contesto si discuteva l’uscita di un utente qui sopra che sosteneva la legittimità di fare braccia conserte se un task ipotizzato 8 ore gliene richiede 3 - insomma una prestazione notevole rispetto alla media su cui è stata calcolata la tempistica.

si ma si continua a non centrare il punto comunque, a sto punto sono io che mi spiego male probabilmente.
Il concetto qui è che la finalità del padronato non è quello di trovare un sistema di contrattistica che porti ad una maggiore produzione e una condizione di lavoro stabile, ma il fine è una produzione schizofrenica dove la gente deve morire sui numerini. E questa è una visione non fantascientifica, è la realtà dove ci troviamo ora, con tremila esempi che lo dimostrano.
Partendo da questo presupposto non si può affrontare con i padroni il discorso generico di “trovare nuove forme contrattuali basate sulla produttività” perchè avresti automaticamente gli ingranaggini di quelle teste di merda girare e girare per trovare un sistema in grado di generare ritmi lavorativi ancora più alienanti, alzando sempre di più la produttività richiesta.
Non è un discorso del particolare col padrone che ha la backstory da ribelle, o il mini settore del mini ambito dove la partita iva “conviene”, si tratta di ampliare lo sguardo e capire che questa è una guerra e se si concede terreno ci si ritrova nel fango.

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Queste sono le storture a cui si può arrivare in sistemi produttivi di questo tipo, dove si trasforma in ossessione e va tutto a discapito del benessere del lavoratore - e il capitalismo spinto punta inevitabilmente a quello, cioè a una crescita costante di tutto: fatturato, acquisti, produzione, aumenta, aumenta, aumenta! -.
Non a caso mi viene in mente “Anche la classe operaia va in paradiso” con il famoso “Un pezzo, un culo, un pezzo, un culo, un pezzo, un culo” di Lulù.
Certe realtà sono poi orribili, altre no.

Io avevo lavorato come operaio da giovane in catena di montaggio, tutte le estati delle superiori dai 16 anni fino al diploma, mi ha fatto venire voglia di studiare :asd:
Anche se oggettivamente, pur essendo un’azienda di medie dimensioni (30 milioni di fatturato come singola branch, 80-100 come gruppo) con un 300-400 dipendenti, le condizioni di lavoro erano fortunatamente valide e non era distopico lavorarci (un ragazzo che conosco si è messo a lavorare in una nota azienda dell’alimentare italiano, con turni notturni di produzione: un incubo).

Perché no? È indubbio che l’Italia sia in questo momento retta dalle PMI, le grandi aziende infatti non contribuiscono in nulla nemmeno dal punto di vista erariale, sifonano all’estero plusvalenza e basta.
E allora tanto vale avere un tessuto produttivo più distribuito e concorrenziale dove il dipendente medio, anche quello non genio che fa in tre ore il lavoro di otto, entra nell’ottica che al primo torto si deve spernacchiare e andare altrove o mettersi in proprio o farsi la propria cooperativa o come gli pare, tutto fuorché accettare un soppruso.
Forse sono io che la semplifico troppo, anzi sicuramente.

Io ho lavorato in catena di montaggio in Toyota in Francia, sia shift mattutino (5-14) che pomeridiano (14-22). I tempi erano calcolati al secondo e, nonostante ci fosse una mensa, era virtualmente impossibile arrivarci, ordinare e mangiare, quindi ci portavamo tutti un panino.

Io non ho mai lavorato in una PMI, ma multinazionali ne ho viste tante sia da dipendente che da consulente. Secondo me come qualita’ della vita e rispetto del lavoratore, almeno in Europa occidentale, le multinazionali sono di gran lunga meglio.
Per i colletti bianchi direi ordini di grandezza meglio

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Il punto è che la commistione tra questo ed il fatto che la cosa tendenzialmente non sia riconosciuta in alcun modo, crea situazioni in cui a fare X ci metto il tempo maggiore possibile.

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Ah ecco, l’automotive poi è quello che porta più all’estremo ancora il concetto.
Anche se, non dare il tempo di andare a mangiare in mensa e fare la pausa, è un errore (intenzionale) di programmazione di produzione e a maggior ragione se hai due turni.
Perché sono convinto al 100% che un qualsiasi responsabile di linea, od operaio, avrebbe avuto una soluzione al problema o idea su come gestirlo meglio :asd:

Il grosso problema dei manager, super-manager, gente con MBA, ultra-laureati, è che sono talmente tornfi e gonfi di sé che non parlano mai con gli operativi, con l’operaio di linea, con il responsabile di linea, con gente che sa meglio di loro cosa fare senza aver studiato e aver la testa piena di teorie cazzone (che vanno bene in teoria, ma alla pratica no e si devono adattare).
Ma vabbè, questo è un discorso generale più che specifico su questo punto.

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E certo, evadono il quintuplo e pagano un centesimo delle tasse procapite, ci credo che son più piacevoli di una PMI :asd:

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Si e comunque non è neanche uno “sforzarsi” a metterci il più tempo possibile, non è che quando parlavo di lavorare 3 ore al giorno invece di 8 fosse letterale (sia mai che su Ngi ci sia una sfumatura), ma banalmente lavoro con gran calma, senza stressarmi, senza morirci dietro, come al contrario vorrebbero i vari PM/capetti.

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la logica di “quiet quitting” o “go beyond expectations” in catena di montaggio, comunque, applica poco.

Fanculo alle iperboli