Esiste il diritto alla filiazione naturale?

Serve a uno scopo ma siamo noi a creare gli scopi, la natura non ne ha. Comunque non confondere l'esempio della disfunzione erettile che è solo una analogia. Il punto è che le protesi (come le carrozzelle) sono qualcosa che il malato utilizza direttamente in funzione della sua disabilità. Tanto quanto un cursore retinale, un impianto neurale, ecc... In questo caso invece il paziente dice "sono malato in quanto sterile", allora mettiamo che sua moglie è a 7000 km di distanza, gli riferiscono "ok abbiamo ingravidato sua moglie". E' una terapia per la sterilità? Assurdo. O è una terapia per la moglie perché consorte di uno sterile? O cosa?
E' una protesi, te l'ho detto.

Il miope ci vede male ma tutto sommato puó vivere bene lo stesso: la miopia non é una malattia?
Gli occhiali non sono una cura?

Senza contare che dire che siamo solo noi a creare gli scopi e che la natura non ne abbia, é quantomeno discutibile: quegli organi hanno una funzione dettata dalla natura o no? Se non funzionano, sono rotti. Se non possiamo ripararli (come nel caso dell'arto amputato) vediamo se possiamo aggirare il problema in un altro modo, grazie alla tecnica.

Non capisco sinceramente quali siano i tuoi dubbi o perché ti interessi tanto sapere se é una cura o meno. Alcune persone che non possono procreare soffrono per questa situazione. La cosa si puó risolvere con un escamotage: perché non usarlo?
Comunque occorre circoscrivere il dibattito sulla sola fecondazione eterologa. Nulla questio sulla fecondazione omologa, nella quale sono in campo solo i due futuri genitori.
I casini etici emergono con quella eterologa in cui di fatto c'è un terzo soggetto che interviene nell'atto procreativo (pur artificiale che sia). Il paragone fatto da Nuovo circa il mogambo che insemina la donna non è poi così campato per aria. Ma c'è anche il caso opposto in cui sia la donna ad essere infertile e occorre un'altra donna che "presti l'utero" per la gestazione.
In entrambi questi casi viene da chiedersi: è giusto che lo Stato ponga un divieto in tal senso, oppure lo Stato deve lasciare liberi i privati di decidere, non avendo diritto a negare una possibilità che la scienza consente?

Se si opta per la seconda opzione, liberale e laica diciamo così, va bene, ma bisogna tenere conto che lo Stato in moltissimi altri ambiti entra a piè pari in questioni etiche, disciplinandole secondo quella che è la scala di valori predominande in quel dato momento storico. E quindi: se lo stato non deve e non può vietare la fecondazione eterologa allora non può e non dovrebbe vietare mille altre cose, che pure vieta (pensiamo alle case chiuse ad esempio).

Al contrario, se lo Stato ha diritto di disciplinare questioni etiche, allora bisogna andare a vedere quali sono i limiti esterni ed interni entro i quali lo Stato può trovare quel minimo comun denominatore che valga più o meno per tutti, in una società pluralista come quella attuale.

In conclusione, non vorrei che affermando che: "il privato ha libera scelta su certe cose, compresa quella di provare tutti i modi scientificamente possibili per procreare e lo Stato non può vietarlo" si apra un vaso di pandora.


Perché ciò che dici è contraddittorio. Prima imputi alla natura questo scopo, poi ammetti che sia semplicemente l'esaudire un nostro desiderio. La prima parte è semplicemente falsa. Poi se usare l'escamotage o meno è un altro discorso, ho già espresso la mia opinione a riguardo 2 post fa.
Comunque sì il punto è che questa viene elevata (per così dire) a malattia quando molte altre velleità sono appurate essere tali. Infatti non si può decidere veramente qualcosa dai nostri pincipi in molti ambiti, i nostri principi sono rotti. Sì procede a tentoni e cercando di contenere i danni e stabilizzare la situazione sociale, cosa che può anche passare per il favorire la coppia medio borghese di Suck e dare supporto sanitario alla fecondazione eterologa


Giusto per dire: sterilità vs impotenza. Caso estremo in cui neanche la pompetta funziona: il tizio prova piacere erotico nel farsi bombare la moglie che però non trova nessuno, si pagano un gigolo (Mogambo, nostra guest star) però chiedono il rimborso.

Anche per la fecondazione eterologa l'atto è compiuto solo a metà: la funzione genetica è totalmente diversa, non si può neanche dire sia quello lo "scopo naturale".

Se ti pagano la fecondazione eterologa devono anche pagarti Mogambo, a rigor di logica: ma socialmente questo sarebbe insensato, quindi, limitatamente al punto di vista dei nostri supposti principi liberali ecc... in modo totalmente arbitrario si dice sì a una cosa e no all'altra.


ignori una questione che la salute ( ma ci mettiamo anche l'eugenetica) non puo, essere un bene disponibile sul mercato perche se cosi fosse avremmo un corrispettivo genetico dell emarginazione sociale, con ovvie ricadute su tutto.
quando dicevo che i campi di sterminio sono dietro l angolo non stavo piu di tanto scherzando
Salto tardi nella discussione.
Ho dato una scorsa veloce alle risposte precedenti, quindi perdonatemi se dico cose già dette.

Personalmente non vedo nulla di strano nell'afferenza della fecondazione assistita (omologa ed eterologa) al diritto alla salute.

Premesse: 1. quello di salute è un concetto relativo, non interamente oggettivabile: non si è sani o malati in base alla minore o maggiore corrispondenza a un oggetto della natura, bensì in base a un'opinione di ciò che sia sano e di ciò che sia malato, concetti variabili in base alla cultura, ma anche in base all'ambiente o anche solo in base al sentirsi individualmente malati (quindi concordo con Nuovo sulla relatività del concetto di salute, ma non ridurrei la faccenda alla sola cultura); 2. la salute non è solamente un fatto materiale, ma anche psicologico.

Con queste premesse, le conseguenze mi sembrano elementari: l'impossibilità di procreare (originaria o sopravvenuta) è percepita come malattia; essa è dovuta a differenze fisiche rispetto al modello (arbitrariamente considerato) dell'uomo sano, e determina sofferenze psichiche, malessere, il sentirsi malato; ora, questo sentirsi malato non è solamente individuale: la capacità di essere genitori è socialmente rilevante, è anzi uno dei pilastri della nostra civiltà. Da cui: se malato è colui che non può avere figli, è giusto che il sistema sanitario nazionale si prenda carico della sua patologia, apprestando le soluzioni che meglio possano renderlo sano o che possano consentirgli di condurre un'esistenza il più possibile simile a quella delle persone sane.

Tutto questo, entro una concezione della malattia che condivido, non fa una piega.
Non fa una piega ma potrebbe non fare una piega ugualmente per altri esempi, sempre più assurdi, che non vengono considerati solo perché socialmente non si dà loro ancora rilevanza: ma questo potrebbe cambiare.

Nel caso della decisione di due giorni fa, alla Corte basta argomentare che fecondazione omologa e fecondazione eterologa rispondano alla medesima ratio, e che quindi il divieto della seconda realizzi un trattamento irragionevolmente diseguale di fattispecie analoga alla prima. Quello che importa è che le due tecniche servano a risolvere la medesima situazione di disagio psicofisico coi medesimi risultati rilevanti (e cioè due persone che si sentono madre e padre del nascituro). La provenienza dei gameti, se guardi da questo punto di vista, ha nulla rilevanza.
Coi medesimi risultati rilevanti, perché salta la rilevanza del fatto che il gamete contenga il materiale biologico di una persona terza. E perché dovrebbe rilevare? Credo che l'onere della prova di tale rilevanza spetti a chi la sostiene.

E' chiaro che potrebbe cambiare.
Ma stiamo discutendo del fatto che quegli esempi assurdi siano gli stessi della fecondazione artificiale hic et nunc? Hic et nunc quegli esempi assurdi non sono la stessa cosa della fecondazione artificiale, e il fatto che l'ordinamento consenta quest'ultima non significa che debba o possa consentire anche quegli altri, perché hic et nunc sono cose completamente diverse.

Potrebbe cambiare, certo, e questo è assodato: il malato di ieri è il sano di domani. E viceversa.
Comunque non dicevo che la questione si riducesse alla cultura, ma che l'avvio al considerare questa o quella cosa una malattia è dato dalla cultura. Potrei anche dire di sentirmi malato per qualcosa, ma individualmente non conto nulla, fin quando una certa cultura cominci a prestarmi ascolto o quando si collettivizzi la mia condizione.


Ma il limiti etici ci sono già e probabilmente ci saranno sempre, il tuo errore sta nel fatto di voler trovare il fondamento dell'etica in un fatto, cioè nella natura, ma la natura non ha etica, è un insieme di casualità che ci presentano il mondo per come è, non per come dovrebbe essere (che è invece ciò che riguarda l'etica.

Tu puoi considerare la natura come fonte dell'etica solo se introduci dio e la consideri sua creazione, a questo punto visto che dio è etico e ha ragione per definizione, modificare la sua creazione e andare contro la sua volontà ha un atto contrario all'etica, cioè a quello che deve essere. Non a caso sono le istituzioni che traggono il loro potere dal discorso su dio che cercano di legare etica e mondo, etica e natura.

Ancora, il problema è che senza dio ogni etica diventa presunzione di mascheramento dell'interesse o una conseguenza di una preferenza di gusto.

Non esattamente quello che intendevo. La nostra cultura medico-filosofica dà di fatto rilevanza al fatto che l'individuo si senta malato, e non al fatto che l'individuo sia o meno corrispondente alla descrizione del manuale di fisiologia.
E il fatto che l'individuo si senta malato - circostanza alla quale il medico dà rilevanza - non è (solo) conseguenza della sua cultura.


E' vero, ma fino a un certo punto, altrimenti non si dovrebbe ricorrere all'autodiagnosi di certe patologie che riguardano l'aspetto psicologico perché non si riesce ad ottenere una diagnosi ufficiale anche quando la si chiede con forza. Se il punto fosse il mero riconoscimento di uno stato soggettivo ci sarebbe al posto del medico un impiegato che timbrerebbe le nostre autocertificazioni di malattia


Io invece li capisco tutti i suoi dubbi. Sarà una questione di sensibilità diversa.


Non é quello che intendevo.
Tu metti in un dubbio che un organo che non funziona come dovrebbe sia malato.
io ti rispondo che invece non ci sono dubbi su ció. I dubbi possono esserci su quanto lo stato debba adoperarsi per ovviare ai problemi che tale situazione (la disfunzione, la malattia, quello che vuoi) comporta.

Nello specifico, é vero che uno sterile puó vivere tranquillamente senza alcun problema ma é altrtettanto vero che un sacco di persone sterili soffrono per la loro condizione tanto é vero che sono disposti anche a sottoporsi a sacrifici non indifferenti per porvi un rimedio.

Il miope che si fa passare gli occhiali da SSN potrebbe voler affittare il nostro amabile Motumbo per leggergli il giornale quindi, seguendo il tuo ragionamento, il SSN dovrebbe smetterla di passare occhiali ai miopi per evitare che domani un miope pazzo pretenda il rimborso dello stipendio di Motumbo, lettore di quotidiani.

Mi pare un modo di affrontare il prooblema francamente assurdo.

E' piu' chiaro cosí ?


Non ho capito cosa c'entri il tuo post con quello mio che hai quotato.

E' ingiusto che sia la medicina a stabilire quali sono le condizioni che possiamo considerare patologiche e quali no? E' questo che volevi dire?

Non è che sia vero fino a un certo punto: piuttosto, è vero in certi casi e non in altri. Non sto dicendo che il malato immaginario di Molière fosse realmente malato (lo era, ma non di quello che credeva lui). Semplicemente, nella determinazione dello stato di patologia, l'elemento soggettivo è spesso fondamentale.

Esemplifico quello che intendo (che poi è principalmente il pensiero di Canguilhem). Se io sono un tennista, una condizione sopravvenuta delle mie articolazioni potrebbe rendermi malato: io mi sento malato perché prima facevo il tennista, e ora non lo posso fare più. Viceversa, un ragioniere potrebbe avere la medesima condizione e non esserne neppure consapevole, men che mai recarsi da un dottore: semplicemente, il ragioniere non è malato. In altri termini, sebbene il tennista e il ragioniere condividano la medesima condizione fisica, l'uno è malato e l'altro non lo è.
Ed è chiaro che qui la patologia non è culturale (non è che io mi sento malato perché la mia idea di uomo sano è quella del tennista): la patologia è esistenziale, essa è nella mia esperienza della discontinuità rispetto a un prima - soggettivo - che identifico con la mia salute.




Ecco. Sono d'accordissimo con Number Six.

Nuovo,te l'ho giá detto: quando i parametri cambieranno e avremo conseguentemente a che fare con nuove questioni, prenderemo nuove decisioni. Oggi si parla di fecondazione. Quando domani il voler diventare farfalla sará divenuto un problema rilevante, ne parleremo.