Ieri era il mio compleanno e una vecchissima amica, compagna di elementari, mi ha contattato per farmi gli auguri. Le ho risposto solo oggi e ne è nata una chiacchierata che ha preso una piega del tutto imprevista. Due ore più tardi son qui che ragiono sulle emozioni che ho provato, su quanto siano vicini rabbia, dolcezza, colpa e gioia, su come sia difficile elaborare quel che ci capita e su come sia ancora più difficile mettere insieme i pezzi della nostra vita e cercare di farli combaciare con quella degli altri.
E - la chiameremo così - era una bambina bionda, vivace, energica, coraggiosa e determinata. Dal quarto al quinto anno di elementari diventammo inseparabili. A me piaceva un’altra bambina - la quale poi mi confidò molti anni più tardi di aver avuto una cotta per me - ma ero troppo preso dalla mia bassa autostima e dall’imbarazzo. Ero attirato da lei, ma finivo per passare tutto il tempo con E che era la mia compagna di giochi preferita, quella con cui stavo insieme quasi tutti i pomeriggi.
Poi alla fine della quinta, mio padre decise di spostami di scuola. Piansi disperato perché volevo stare con i miei amici delle elementari. Nulla da fare: toccò cambiare scuola e giro, cambiare città (lui scappava dai debiti, quindi ogni 2-3 anni ci trasferivamo) e mettere una pietra sopra i vecchi amici.
Passai letteralmente anni a pensare ai compagni delle elementari, E più di tutti, ma non c’era internet, non c’erano i cellulari e il telefono negli anni '80 era offlimits per i bambini. Spesso per prendere sonno pensavo al giorno in cui sarei tornato in quel paese e avrei reincontrato i miei amici. Nella mia immaginazione, li avrei trovati lì insieme e loro si sarebbero ricordati di me e avremmo ripreso la vita prima del trasferimento. Non immaginavo nemmeno che la loro vita potesse essere andata avanti e cmq di anno in anno, il ricordo di loro si affievoliva, ma rimaneva il desiderio di rivederli e di riprendere il discorso. Di riallacciarmi con quello che pensavo essere stato il periodo migliore della mia vita, anche se in realtà era stato di gran lunga il peggiore.
Ho preso la patente e non sono tornato a cercarli.
Poi un giorno - grazie a facebook - ho ritrovato E. Ci siamo scambiati pochi messaggi imbarazzati senza il coraggio di andare a fondo. Coraggio che abbiamo trovato oggi… e forse sarebbe stato meglio di no. O forse si.
Quando me ne sono andato, mi ha raccontato E, lei ha pianto a lungo. Mi ha raccontato il giorno in cui ci siamo detti addio. Io non lo ricordo. Devo averlo rimosso perché straziante. Lei lo ricorda perché c’era anche sua madre. Anche la madre si ricorda di me.
Oggi mi ha raccontato che io le confidavo il dolore per quello che mi faceva mio padre e lei mi consolava, abbracciandomi. Mi ha raccontato che ogni pomeriggio veniva a trovarmi e quando la madre le chiedeva come mai, le diceva: perché voglio essere sicura che non gli succeda nulla.
E’ incredibile come tutto questo sia successo senza che me ne accorgessi. Mentre mi raccontava tutto, ogni pezzo del puzzle andava ad incastrarsi perfettamente. Ho provato gioia per aver avuto la fortuna di incontrare un’amica così importante e generosa. Mi sono vergognato quando mi ha detto che aveva una cotta per me e io non me ne ero nemmeno accorto. Ho provato un forte senso di colpa quando mi ha detto che vigilava su me, che veniva a trovarmi anche se mio padre le faceva paura, che aveva capito tanto di quello che mi succedeva o che forse aveva - solo lei - raccolto le mie confidenze… cose che io avevo poi rimosso perché insopportabili.
Mi sono sentito assalire dalle lacrime all’idea di averla esposta a grandi rischi, a cose che non dovrebbero entrare nella vita di un bambino di 9-10 anni. Gratitudine, felicità di averla sentita di nuovo e di aver scoperto che si ricordava di me ed era un bel ricordo, nonostante tutto, nonostante me e la mia incapacità di guardami attorno. Ero troppo occupato a gestire quel che mi succedeva e mi sono perso qualche cosa.
E’ strano arrivare a 48 anni e dover ringraziare per la prima volta qualcuno per qualche cosa che ha fatto per te quaranta anni prima.
Le ho detto grazie e lei mi ha detto che l’ha fatto col cuore.
Ma mi ha anche detto che è stata male e, anche se non fu colpa mia, mi sento in difetto per non aver mai speso tempo a pensare a quel che lei ha passato per avermi conosciuto, per aver deciso di starmi vicino. Mi sento in colpa per aver passato 40 anni a pensare alla mia perdita e non aver mai speso un minuto a pensare ai vuoti che ho lasciato. L’unica consolazione che ho è che allontanandomi - mio malgrado, perché non fu scelta mia, ma di mio padre - ho spostato altrove il pericolo reale che chiunque vicino a me correva.