[AMA] Sono trans, ask me anything.

Riesumo il thread che avevo aperto anni fa, che alla fine era stato lockato.

Non sto a riscrivere tutto l’ambaradan, dico rapidamente: sono una donna trans, ho iniziato a fare la transizione dal punto di vista medico ormai sette anni fa, operata tre anni fa.

Ask me anything (*).

(*) “anything” vuol dire che potete domandare senza farvi problemi (anche foto non intime se volete), ma mi riservo la facoltà di non rispondere.

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il pingpong tra psicologi\medici è stato difficile? hai incontrato resistenze?

Non tantissimo, perché ho avuto un’associazione queer che mi ha aiutata a trovare sia psicologa che endocrinologo “amichevoli”. Le difficoltà maggiori ci sono nel dover spiegare la cosa quando vado a fare visite mediche per altri motivi, lì trovi personale pochissimo preparato e che o si trova in imbarazzo (nella maggior parte dei casi) o è ostile (solo in un paio di occasioni, per fortuna).

Com’è costruirsi una vita sentimentale post-transizione?

donna trans che vuol dire? che eri uomo e sei diventata donna o il contrario?

Più semplice di quello che si può pensare, basta comunicare apertamente con l’altra persona riguardo alle aspettative ed ai bisogni, accettare i paletti che mette e fare attenzione che rispetti quelli che metti tu.

T3mp: la prima che hai detto, anche se la terminologia non è propriamente corretta. Io sono sempre stata una donna, anche se avevo un corpo che non mi rispecchiava nella mia identità. (Ma ora sì.)

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cioe’? assomigliavi a un uomo?

In questo contesto, uomo o donna si intendono nell’accezione di genere (concetto psicosociale), distinto dal dato biologico (concetto “anatomico”, per semplificare).

La questione nasce perché una minoranza statisticamente non trascurabile di persone riporta un disallineamento tra i due aspetti.

Per metterla banale e con terminologia probabilmente impropria: maschi di sesso che riportano di essere donne di genere, e femmine di sesso che riportano di essere uomini di genere.

Io ho una domanda per @whitetiger, è una cosa su cui non mi raccapezzo molto.

Secondo te, l’identità di genere è invariante e esiste nello stesso stato da quando uno nasce o c’è caso che cambi?

Capisco bene che la situazione varia da persona a persona?

Tipo tu dicevi che sei sempre stata donna, mentre su Ludo che nel matrimonio era convinto di essere uomo cis…

La cosa che mi confonde è che (correggimi se sbaglio) non abbiamo modo di osservare il “genere” in modo assoluto ed esterno alle persone, ma al massimo i loro comportamenti in un dato periodo, e ascoltiamo la loro percezione di se stessi.

Ma queste cose sono variabili e potenzialmente chiaroscurali, quindi come si fa a dire: sono x o sono y “da sempre”?

Nel mio caso è semplice: l’ho sempre saputo.

Ma la mia opinione è che varia moltissimo da persona a persona. L’identità di genere non te la scegli, ma è tranquillamente plausibile che evolva per conto suo nel corso della vita. Che sia perché la scopri, o perché cambia proprio di suo, non saprei dire.

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Eh infatti, da un lato chiunque puo’ guardarmi nelle mutande e concordare sulla qualità del tratto biologico. (Oddio, facciamo “chiunque mi sia un minimo simpatico”).

Ma non è che proietto visibilmente il mio genere “uomo” tipo aura rosa a forma di posacenere e la gente può sincerarsene.

BTW, confermo che la voglio rosa in quanto colore virilissimo e chi dice altrimenti non conosce la storia.

lucky aggiungerei, sennò presteresti il fianco alla scienza nazi, che già cerca di metterci su le mani su alcune questione

Quando ho fatto sessuologia clinica a me avevano fatto studiare che ci sono determinati comportamenti che si vedono da bambini e poi puoi tracciarci una linea che coerente porta alla disforia di genere. Ovviamente è giga riduttivo perché comportamenti crossgender tra bambini sono comuni (a favore delle teorie sul gender come costrutto sociale) e in ogni caso non è detto che finisci deterministicamente a soffrire di disforia, la tua sessualità può evolversi in mille modi diversi

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Anche io ho una domanda, forse inappropriata, e forse perchè non sono neppure sicuro di poterla esporre con chiarezza, però mi è sopraggiunta leggendo l’altro thread; mi chiedevo se sia possibile per una persona in fase di transizione provare attrazione per il proprio stesso corpo nella fase di cambiamento.

La domanda non è rivolta a te nello specifico per esperienza personale, semmai, ma come conoscitrice esperta di questi aspetti.

E poi anche il layer sociale non-sessuale a sovrapporsi.

Ma facciamo che la smetti con la domande del cazzo, che dici?

te vedi del troll dove non esiste. voglio sapere no? quale e’ il problema? sara’ lei semmai e comunicare di essere offesa.

L’attrazione per sé stessi è una cosa abbastanza comune, ma non è tipica delle persone trans o cis, è una cosa ben nota e trasversale a livello della sfera sessuale, ed è vista come una parafilia (anche se tutto sommato innocua). Ovviamente è possibile solo per persone che sono attratte da persone del loro stesso genere.

Cosa diversa è la soddisfazione che si prova a vedersi “bene” nello specchio. Anche a me è capitato diverse volte che mi sono vista, ho sorriso, ed ho pensato “eh sì sono proprio una strafiga :sparkling_heart:”. Ma questo è altrettanto trasversale tra tutte le persone, e non è nell’ambito sessuale.

Cosa ancora diversa è quella che è chiamata “autoginefilia” e che in realtà non esiste, e qui la spiego: nel corso dei decenni per patologizzare e delegittimare l’identità delle donne trans, è sorta la “tipizzazione di Blanchard”, dal nome dello psichiatra che l’ha proposta, Ray Blanchard (yimakh shemo). Questa tipizzazione presume che tutte le donne trans siano in realtà uomini, divisi in due categorie:

  • i transessuali omosessuali, che sono uomini gay che decidono di fare la transizione perché così sono più attraenti per i partner sessuali (uomini).
  • i transessuali autoginefili, che decidono di fare la transizione perché sono eccitati sessualmente dall’idea di assumere il ruolo di donna durante un rapporto sessuale.

Il primo tipo ovviamente è assurdo perché gli uomini gay sono capacissimi di trovare qualcuno che gli butti il cazzo nel culo (scusate se sono poco forbita) senza dovere fare finta di essere donne.

Il secondo tipo è altrettanto assurdo perché:

  1. Secondo questa definizione (“si eccita ad immaginarsi donna durante un rapporto sessuale”) la stragrande maggioranza delle donne cis sono “autoginefile”.
  2. Perché dovrebbe essere strano per una donna (trans, in questo caso) eccitarsi quando si immagina come donna in un rapporto sessuale?

Quindi, riassumendo: l’autoginefilia non esiste, è una favola inventata per delegittimare le donne trans.

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Ciao wt, ho letto il tuo AMA e ti ringrazio per la disponibilità a raccontarti.
Ti scrivo come seguito al mio reply qui perché faccio molta fatica a comprendere cosa significhi davvero “sentirsi” di un genere diverso da quello assegnato alla nascita.

Per darti un contesto: io sono nato uomo e non ho mai sentito attrito rispetto a questo. Anzi, anche se per assurdo mi svegliassi donna domattina, credo che mi adattarei senza grossi problemi senza sentire di aver perso o guadagnato nulla. Per questo mi risulta difficile immaginare il disagio che descrivi.

Ragionando su esperienze mie più profonde, tipo aver rinunciato a sogni personali per la mia famiglia, arrivo a intuire forse una parte del dolore — quel sentire che si è “altro” rispetto a ciò che si vive — ma la verità è che, per me, non c’è paragone.

Perciò ti chiedo: com’è quel sentire? Cosa vuol dire davvero percepirsi in modo così distante dal proprio genere assegnato, al punto da mettere in discussione tutto, anche le cose più importanti costruite nel tempo?

Grazie in anticipo se avrai voglia di rispondere.

E’ guardarsi nello specchio e non riconoscere il proprio riflesso. E’ andare in giro per i mezzi pubblici e sentire che c’è qualcosa di profondamente sbagliato, una enorme discrepanza tra il tuo vero essere e come le persone ti vedono. E’ il non riuscire ad alzarsi dal letto la mattina e non curarsi del proprio corpo e del proprio aspetto perché tanto non ne vale la pena. E’ pensare seriamente di farsi del male in maniera definitiva (scusate l’eufemismo) visto che in fin dei conti non cambierebbe niente.

E’ tutto questo ed altro. E’ onestamente secondo me impossibile renderlo a parole a chi non l’ha sperimentato in prima persona.

Della serie psicologi-formati-bene, una ragazzina che fa arti marziali con me si è iscritta quest anno a psicologia (una delle top 3 in italia) e nel suo libro di psicologia clinica, ultima edizione e ovviamente tradotto paro paro da un libro USA, utilizza ancora sto termine e anzi te lo fanno studiare come canon clinico