Vento di rivoluzioni in Africa e Medioriente

Da quel che ho letto un pò in giro è una protesta anti islamica (al contrario delle varie proteste primaverili degli altri paesi nordafricani)

Inviato con tapatatip
Ecco che intendevo per silenzio.


Che intendi con "a fianco del Libano"? Perché mettersi a fianco del Libano vorrebbe dire stare con Hezbollah
Ah, tra i motivi di protesta del popolo turco (guidato dal Türkiye Komünist Partisi, cosa che i Repubblica e Corriere dimenticano di scrivere ), c'è proprio il fatto che il governo cerca ogni scusa possibile per attaccare la Siria.



"[...] di tutti i paesi, unitevi!"



Credo che ad israele stia più sui maroni la siria, che hezbollah.
Vabbè, lo stiamo già pensando tutti o sono solo io?... Guerra mondiale più varie guerre civili, altri milioni di morti (noi compresi) e la crisi economica si risolve. Per quanto ancora resisterà questa situazione di stallo? Che facciamo, preghiamo?



Miles Copeland: "But even with the help of the Israelis-especially with the help of the Israelis!-we couldn't defeat the Iranians, the 'Arabs', the world of Islam or the whole Third World if it should turn against us. We [the CIA] have reason to believe that Soviet strategists well understand this, and that the Third World War that they envision will be one of ourselves against shapeless forces of the Third World, with Soviet Russia ostensibly aloof from it...The U.S Government was sinking into exactly the dilemma that best suited the purposes of Moscow's Leninists as they've begun to blossom under Gorbachev. In materials easily available to the U.S government without recourse to espionage, they had made it clear enough that in their version of the Third World War the United States would be forced into a variety of situations in which it would feel compelled to play the role of a powerful nation but, for all the world to see on it television sets, it would in fact, be powerless." The Game Player: Confessions of the CIA's Original Political Operative, London: Aurum Press, 1989

C'è anche questo articolo del 2010: http://www.currentconcerns.ch/index.php?id=1012

The US is not only the country with the highest debts in the world but along with their currency their empire decays. The world’s allegedly “only superpower” is at the moment imploding in the same manner the Russian did 20 years ago. With some kicks the Chinese have already told the US president quite clearly that they do not acknowledge their leadership any longer. Therefore, if Israel decided to strike, the US president would face the terrible choice between sinking further into the quagmire of financial-, economic and social crisis or seeking the solution of a world war, which has made the US a winner twice already.
The danger of a world war has never been greater since World War II. Therefore, increasing warnings to the US mostly from a group of European intellectuals for more than a year have been justified. However, we cannot prevent it. A war in Iran would not remain a local event even if it was only led with missiles at the beginning. On Iran’s side the Chinese would intervene directly or indirectly and the Russians possibly as well to prevent the US from approaching their borders and becoming too dominant. On the side of Israel and the US the NATO states would be obliged to help [...]

For a Third World War a majority might be more difficult to gain despite all the pressure from the US. In the German population damnation is probably predominant, which might lead to the removal of the obliging government.
Merkel’s government might find a war as the last political way out of their mess after the bailouts, public insolvency, the looming financial collapse of the social systems, and social unrest as a result of missing genuine corrections.
Vi dico solo una cosa: la Turchia serve all'EU. Mi fermo quì.

Non essere ingenuo compagno Blake.
Dovresti sapere come vanno queste cose. Che sia una protesta fondamentalmente anti islamica è problematica come affermazione, infatti l'esercito che E' anti-islamico in Turchia (e ce lo dimostrano i due colpi di stato) si è schierato subito per Erdogan, però non bisogna farsi ingannare. Gli USA hanno subito detto che "nonostante siano alleati" della Turchia non accetteranno nessuna violazione dei diritti umani. Dovresti sapere che le istanze politiche dei rivoltosi vengono totalmente depoliticizzate in questi meccanismi (infatti noti che non si dice che sono comunisti), perché per gli interventi (diplomatici e non) serve che il popolo sia vitiima-solo-vittima e del tutto depoliticizzato (come avenuto in Kossovo e Libia ad esempio).

In sostanza come uomo del partito dovresti essere contento che l'esercito gli spezza le ossa (o vuoi forse appoggiare l'imperialismo americano?). Considera anche che sarebbe una posizione perfettamente in linea col super-io di brechtiana memoria "se sono innocenti, ebbene, tanto più meritano di morire".
Farebbe anche ridere se ne avessi azzeccata almeno una.
Wu Ming:

Le prime notizie da piazza Taksim, a Istanbul, raccontavano di cinquanta manifestanti accampati per impedire l’apertura di un cantiere e la distruzione del parco Gezi, “l’unico polmone verde rimasto nel centro cittadino”.

Dopo quattro giorni di protesta, cinque persone in condizioni gravissime, un morto, millesettecento arresti e scontri in tutte le città del paese, i media occidentali parlano di primavera turca, attacco al regime di Erdoğan, battaglia per la democrazia.

Come era già accaduto per la rivolta egiziana, giornali e televisioni esprimono solidarietà e simpatia nei confronti dei ribelli, senza troppo insistere su lanci di sassi e vetrine rotte, mentre condannano con sdegno la polizia antisommossa che ha fatto uso di idranti, spray al peperoncino, pallottole di gomma e lacrimogeni ad altezza d’uomo. Un atteggiamento opposto a quello che di solito incornicia le manifestazioni nostrane, dove si giustifica la “reazione” delle forze dell’ordine e ci si appunta sul vandalismo “dei black bloc”.

Qualcuno dirà che c’è una bella differenza tra chi combatte per la democrazia e chi lo fa – per esempio – per bloccare un cantiere. In questo caso, gli alberi del parco Gezi erano solo un pretesto. Non si tratta della solita, stupida, egoistica battaglia in difesa del proprio cortile.

Ma siamo davvero sicuri che sia così?

Certo basta guardare una mappa di Istanbul per rendersi conto che Gezi Parkı, in quanto area verde, non è nulla di così speciale. Assediato dai grattacieli e dal traffico, si trova a un paio di chilometri in linea d’aria da parchi più estesi, come il Maçka e lo Yıldız.

A differenza di questi ultimi, però, il Gezi non è un semplice giardino: fa parte di un quartiere che molti considerano il cuore della città, la sua zona più creativa e libera. Piazza Taksim è da sempre un luogo di ritrovo e di protesta. Il 1 maggio 1977, durante le celebrazioni per la festa dei lavoratori, una mano rimasta ignota sparò sulla folla di 500mila manifestanti. Il caos e l’intervento spropositato delle forze di sicurezza causarono 37 morti. Da allora, fino al 2010, le manifestazioni per il 1 maggio non si sono più potute svolgere in piazza Taksim. Tre anni fa, Erdoğan aveva revocato il divieto, salvo poi reintrodurlo, proprio quest’anno, con la scusa dei lavori in corso nella piazza.

Taksim è anche il centro di un’area urbana ricca di ristoranti, luoghi di divertimento, turismo e attività economiche. Ecco perché l’amministrazione cittadina ha deciso di sostituire Gezi Parkı con un grande centro commerciale, cercando di far passare la scelta come un restauro della vecchia piazza. Al posto del parco, infatti, c’era un tempo la caserma di Halil Pasha. Danneggiata durante i moti reazionari del 1909, venne prima utilizzata come stadio per il calcio e poi demolita nel 1940. Il parco che prese il suo posto era molto più esteso di oggi, arrivava fino alla riva del Bosforo, ma in seguito venne ridotto per costruire alberghi e uffici. Il centro commerciale è quindi l’ultimo di una serie di affronti, e poco importa se il suo aspetto sarebbe una copia dell’antica caserma, in perfetto stile ottomano d’antan. La Storia, in questo caso, è davvero un pretesto, al contrario degli alberi di piazza Taksim.

Occupy Gezi, infatti, non è soltanto una battaglia ecologista, ma non è nemmeno una battaglia simbolica. Piuttosto, è l’ennesima dimostrazione di quanto siano sentite, oggi, in tutto il mondo, le lotte per quello che Henri Lefebvre ha definito il diritto alla città, ovvero il diritto a “cambiare noi stessi cambiando l’aspetto delle nostre metropoli”. Il diritto a partecipare ai processi di urbanizzazione e a non farsi strappare dagli speculatori il valore di un quartiere, di una piazza, di un parco. Quel valore, infatti, è il risultato di un lavoro collettivo, delle attività e delle relazioni sociali prodotte da chi vive un determinato spazio. Eppure viene mercificato e venduto – tot euro al metro quadro – proprio da chi intende stravolgere quello spazio senza nemmeno confrontarsi con la comunità che ha contribuito a dargli forma. Una dinamica di sfruttamento che non è tipica soltanto dei contesti urbani: più in generale, si potrebbe parlare di diritto al paesaggio.

Ecco allora che la difesa di una piazza, di un parco, di una valle alpina non è mai soltanto locale o soltanto simbolica. Chiedendo di poter esercitare il proprio diritto al paesaggio, i manifestanti stanno già combattendo per la democrazia. Per quella democrazia che ormai è diventata incompatibile con il capitalismo e le sue inevitabili conseguenze: l’urbanizzazione selvaggia, la speculazione edilizia e il land grabbing.

Non deve sorprendere, allora, se la protesta del parco Gezi si è diffusa in tutta la Turchia, mettendo insieme anarchici, socialisti, sindacati, curdi e turchi, movimenti lgbt, ultrà di opposte tifoserie e persone finora rimaste lontane dalla politica.

Ciò che sorprende, piuttosto, è che quando il diritto al paesaggio viene reclamato in Italia, invece di accogliere la protesta come una risorsa e uno stimolo, si preferisce rispondere con le parole di Erdoğan a proposito del nuovo, contestato, ponte sul Bosforo: “Possono fare quello che vogliono”, ha detto. “Noi abbiamo preso la nostra decisione e faremo come abbiamo deciso”.
Ma il governo americano che ancora batte il chiodo per quanto riguarda un'ipotetica No Fly Zone e aiuti ai ribelli?

Assad avrebbe passato il segno, e ci sarebbero prove (secondo loro) che il regime avrebbe usato armi chimiche, ma non per i ribelli. Bah. E' solo aria fritta, anche perché con la caduta di Qusayr la guerra è bella che indirizzata verso la fine, però provo un fastidio assurdo a leggere ste cazzate.

Ha ragione Putin per quello che ha detto su Russia Today
Che poi le prove, certe, sono che le armi chimiche le hanno usate i ribelli e non Assad.
prove certe?
Spero di sbagliarmi, ma temo che Obama stia per giocarsi la carta "bush jr" sulle armi di distruzione di massa. Inesistenti.

Stando a Carla del Ponte.



Tuttavia: http://www.agi.it/estero/notizie/201306141532-est-rt10160-siria_francia_no_fly_zone_improbabile_serve_ok_cds_onu
Blake, perché non la smetti di fare l'anarco-insurrezionalista ed inizi a prendere sul serio un eventuale mestiere di analista politico internazionale?
Sei interessante da leggere
Non sono anarchico.
cmq da quello che arriva da gezi park le notizie sono veramente allucinanti i compagni che stavano giu raccontavano di cariche a cazzo di cane agenti vescicanti nei cannoni ad acqua arresti di medici ed avvocati. il problema è che nel bene o nel male l'assetto della regione è oramai insostenibile vuoi perche in alcuni casi il dipartimento di stato ci ha messo la mano (in siria e libia) vuoi perché la crisi sociale è arrivata a regime pure li ed in molti casi gli islamisti (turchia egitto) sono tragicamente la incarnazione locale del regime neoliberale.


non famo confusione , qui l'anarchico sono io