[STORIA A PUNTATE] Il Maestro e Federico

Ho deciso di raccontarvi una storia. Non è una storia facile, né una storia completa, né soprattutto una storia vera. Verosimile forse, ma non è detto che lo sia.
Nomi e personaggi saranno per lo più riportati con soprannomi. Qualora facilmente riconducibili a persone esistenti, o voi riusciate a farlo, negherò ovviamente tutto, riconducendolo a mera coincidenza.
Qualora nel corso della storia venissero offerte dinamiche, motivazioni o responsabilità per fatti e circostanze riconducibili ad avvenimenti realmente accaduti, esse sono solo frutto della mia personale opinione. E, come detto, la somiglianza con fatti realmente accaduti è mera coincidenza.
Questo thread nasce come costola del thread OT Misteri Italiani. Quello rimarrà per le elucubrazioni ufficiali, questo solo per tale raccontuccio. Aggiungerò un nuovo episodio di volta in volta, quando avrò tempo e voglia.
Non sono né un giornalista né uno scrittore di professione, ergo non aspettatevi una bella prosa o chissà quale ricerca stilistico narrativa. Anzi, laddove dovessi azzeccare per più di due righe consecutive la punteggiatura o un congiuntivo, consideratelo esattamente come per i nomi e per i fatti di cui prima: una mera coincidenza.
Buona lettura

Deception is a state of mind and the mind of the state
J. J. A.

* * * * *

1. Spari nella notte
E’ una fredda serata di Gennaio del 1975 nelle campagne fiorentine. Gli agenti di Polizia del commissariato di Empoli sono per lo più distratti dai festeggiamenti del pensionamento di un loro collega, che quella sera terrà una cena di commiato, quando giunge loro l’ordine di ispezionare la casa di un geometra che lavora per il Comune. E’ considerata un’operazione tranquilla, di routine, tanto più che il Geometra è noto in paese per essere un tipo pacato e pacifico, lontano dalla militanza politica e dal clima di violenza che in quei mesi sta imperversando in Italia e in particolar modo in quel lembo di terra dell’Appennino tosco emiliano. L’unica passione risaputa in paese del Geometra è quella delle armi da fuoco. Ne possiede alcune lui, altre sono a nome del suocero. Tutte registrate e con regolare licenza. Quando può le utilizza nei vari poligoni di tiro che stanno sorgendo come funghi in Toscana. E è proprio questa sua passione per le armi la cagione della perquisizione. Bisogna controllarle e togliersi anche il minimo sospetto che possano essere implicate in fatti di sangue che ultimamente stanno colpendo un po’ troppo quella regione.
A conferma che si tratti comunque di un’operazione di routine il fatto che un terzo agente, senza pistola d’ordinanza, all’ultimo minuto si offra di accompagnare i due agenti scelti perché conosce la strada e soprattutto conosce l’uomo, essendo stato suo compagno ai tempi della scuola.
Il Geometra accoglie i tre agenti in casa propria e fa vedere loro le armi regolarmente detenute. Questi però si accorgono della presenza di due bombe a mano militari Srcm 35 e pertanto invitano il padrone di casa a seguirli in Commissariato. I modi gentili del Geometra iniziano a venire meno. Di colpo tira fuori dalla giacca un mitra e spara a bruciapelo ai tre poliziotti. Due li ammazza sul colpo. Il terzo lo lascia agonizzante sull’uscio di casa. Si salverà, pur riportando ferite permanenti gravissime.
Con tutta la calma del mondo il Geometra farà armi e bagagli e si darà alla latitanza.
Evidentemente non era solo un collezionista d’armi. Anzi di quella perquisizione era stato avvisato in tempo, come lo era stato un altro suo sodale, Godzilla, solo che non aveva potuto o voluto fuggire per tempo.
Inizierà così quasi dal nulla una delle cacce all’uomo più imponenti della storia d’Italia.
Ma chi era il Geometra? E in cosa era messo in mezzo?
Per capirlo dobbiamo fare un piccolo salto in dietro e presentare i due che saranno i protagonisti nel corso di tutta la nostra storia, il Maestro e Federico

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Se non posti almeno un capitolo a settimana invoco il ban

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Buco che domani leggo intanto :lode: preventivo

Grande :lode:
Però quoto folgore, se non uppi ogni tot ban, non puoi iniziare una roba ad episodi e mollare lì mica sei JJ abrams

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2. Salvarsi
A diciassette anni il Maestro (ma ancora nessuno lo chiama così) prende a schiaffi un suo professore e viene espulso da scuola. Figlio di un piccolo mezzadro del pistoiese, senza più la possibilità di ottenere un’istruzione e con essa l’unico mezzo di una illusoria ascesa sociale nell’Italia di fine anni 30’, pronto all’avventura parte insieme al fratello e con altre Camice Nere come volontario al fianco dei nazionalisti di Franco nella Guerra Civile Spagnola. Dal generale spagnolo in persona riceverà persino una medaglia al petto. Ma la Guerra Civile gli causerà soprattutto dolori. L’amato fratello perirà combattendo, vittima di un colpo di mortaio repubblicano nei pressi di Malaga. Porterà con sé per tutta la vita tale dolore e soprattutto coverà una forte rabbia verso i bolscevichi che hanno strappato una ancora così giovane vita. Forse fascista per opportunità, sicuramente anticomunista per rabbia.
Al suo ritorno in patria tenta più volte l’esame da privatista per ragioniere senza riuscirvici mai. Decide quindi di pubblicare a puntate su un giornale le proprie avventurose eroiche imprese spagnole. Gonfiandole ovviamente. Ma è qui che il Maestro imparerà la prima e più importante lezione della sua vita: non importa chi sei veramente, né quali carte hai in mano. Tu bluffa, millanta, spara in alto, il mondo avrà sempre bisogno di raggiratori pronti a tutto. E a credere alle sparate del Maestro è niente popò di meno che il Duce. Mussolini ha sentito parlare di questo giovane e lo riceve. Giusto 5 minuti. Più o meno va così:

“Bravo giovane, la Patria ti è grata. Come può quindi ricompensarti?”

“Mi piacerebbe occuparmi del mondo dei Servizi Segreti”

Il Duce lo accontenta. Finisce in Jugoslavia agli ordini del generale La Bestia, comandante dell’intelligence militare italiana, il SIM. Qui in Jugoslavia La Bestia affida al Maestro l’incarico di rubare l’oro del re serbo sottraendolo sia agli inglesi sia all’alleato tedesco. E qui il Maestro impara la sua seconda lezione: sii spavaldo. E il Maestro dà sfoggio a tutta la sua spavalderia. Quando i tedeschi vengono a reclamare parte del bottino lui lo nasconde sotto ad un convoglio ferroviario di malati. L’ufficiale germanico ad essere gabbato al posto di blocco sarà niente popò di meno che il futuro (anni 70’) presidente dell’ONU. Si parla di un qualcosa come 60 tonnellate di lingotti d’oro.

E poi il ritorno in un paese diviso, più nero nel viso, più rosso d’amore. Dopo l’8 Settembre la Toscana è territorio di massacri. E qui il Maestro imparerà la terza e ultima lezione: il doppiogioco. Il paese è al collasso, i suoi contatti col SIM preclusi. Il generale La Bestia a comando delle divisioni in Sicilia nel 1943 ha “disertato” passando ai badogliani pro armistizio. Il Maestro sa che la guerra è ormai perduta ma deve fare buon viso a cattivo gioco. E’ formalmente arruolato in una divisione delle SS italiane. Fa il traduttore. Eppure pare non parli nemmeno una parola di tedesco (sull’italiano ci sta lavorando, il libro di memorie in Spagna glie l’avevano dovuto correggere gli editori per via dei numerosi refusi grammaticali). Quasi con ogni probabilità ha partecipato ad alcuni plotoni d’esecuzione contro partigiani, anticollaborazionisti o semplici sfortunati vittime di vendicativi rastrellamenti. Conoscendo a menadito il territorio pistoiese i tedeschi gli affidano la logistica dei trasporti, il rilascio di documenti, il censimento delle bande partigiane. E’ qui che, per necessità o convinzione, inizia il doppiogioco. C’è un partigiano, si chiama Silvano. Fa amicizia con il Maestro e i due iniziano a collaborare attivamente. La mattina il Maestro partecipa alle riunioni dove la Wehrmacht pianifica retate, la sera sveste la divisa e va ad avvisare i compagni di Silvano affinché scappino altrove. Poi un giorno il grande piano. Il Maestro fornisce a Silvano e gli altri della banda divise delle SS e insieme si recarono al carcere/manicomio di Villa Sbertoli liberando tutti i detenuti. Una sessantina tra partigiani locali, antifascisti e ebrei. Dopo il fatto il Maestro si diede alla macchia tra i boschi dell’Appennino, non prima però d’essersi fatto rilasciare un’attestazione di merito da parte di Italo il rosso, un dirigente comunista locale che poi farà carriera.

Purtroppo Silvano non riuscirà a vedere la sua terra liberata. Morirà in un agguato dei tedeschi nel Luglio 1944. Si dice che il suo ideale anarcoide poco si conciliasse con le strategie politiche sia dei partigiani bianchi democratici sia degli stessi comunisti. Con lo scopo di recuperare una partita di armi prestata, qualcuno gli tese una trappola vendendolo al nemico. Chi fosse la spia non si è mai capito.

C’è un altro partigiano, si chiama Manrico, detto Pippo. E’ un ex militare, lo si può dunque inquadrare tra le formazioni dei partigiani bianchi. Anche con lui il Maestro si ritrovò ad avere a che fare. Pippo rispetto a Silvano ha maggiori contatti con gli alleati, i quali gli paracadutano spesso viveri e armi. Forse è a questo punto, grazie all’aggancio con gli uomini di Pippo, che avvengono i primi contatti tra il Maestro e agenti dell’OSS. A fine guerra Pippo è deluso da alcuni atteggiamenti post liberazione. Si dice che voglia denunciare alcuni abusi di certi gruppi della resistenza. Con chi ce l’ha? Con le formazioni comuniste? Con alcuni doppiogiochisti che fino a ieri collaboravano con i nazisti? Non si sa, fatto sta che verrà ritrovato impiccato in casa propria nel 1948.

Ad avvenuta liberazione il Maestro si consegna spontaneamente agli alleati. Ha i documenti del rosso Italo che confermano l’aiuto dato alla resistenza e tutti si ricordano ancora il gesto eroico di Villa Sbertoli. Ha inoltre un incontro a Roma con il Segretario nazionale del PC. Da Pistoia a Roma il Maestro ci giunge scortato da due parigiani comunisti. Di cosa avranno parlato il buon Palmiro, giunto da pochi mesi dal suo esilio a Mosca e quell’intraprendente ventenne? Forse di quell’oro che fa gola a molti?

È sicuramente questa abilità spionistica ad intrecciare rapporti con tutti che colpisce Kingfisher, l’agente OSS che prende in carico il suo fascicolo. Kingfisher si consiglia con Lucullo, un ex OVRA (polizia politica fascista) che ha collaborato allo smantellamento delle reti spionistiche naziste. Lucullo gli dice che sì, il Maestro è uno giusto (che è un po’ cretino lo dirà solo quarant’anni dopo), e Kingfisher lo inserisce nei cavalieri della libertà che nel futuro prossimo venturo rappresenteranno l’ultimo baluardo tra la civiltà e la dittatura del proletariato. Il Maestro è un ex fascista, ha contatti con i comunisti, ha amicizie col generale La Bestia (a cui è stata affidata una bozza di nuovo servizio segreto) e soprattutto sa dov’è l’oro. Così borderline è il tipo perfetto di spia per Kingfisher. Anni dopo, da un tipo altrettanto borderline, un altezzoso aristocratico britannico, Kingfisher prenderà una mazzata tra capo e collo. L’aristocratico era una spia del KGB, ma questa è un’altra storia. Forse…

Il Maestro viene liberato, spedito in Sardegna, e qui di nuovo arrestato dai Carabinieri. Questi lo torchiano, e gli offrono di diventare una risorsa informativa del nuovo servizio segreto italiano, il SIFAR. Il Maestro accetta, in fin dei conti è quello che ha sempre sognato, ma per farlo deve prima “vendere” tutti gli ex fascisti repubblichini toscani ancora in libertà. Triplo, quadruplo, quintuplo gioco, non c’è problema. In cella il Maestro si ritrova pure fianco a fianco col Principe Nero, comandante delle unità speciali del regio esercito e salvato in extremis dalla fucilazione dei partigiani proprio da Lucullo e Kingfisher. Tale amicizia tornerà utile al Maestro una ventina d’anni dopo, quando il Principe Nero lo selezionerà nel suo scriteriato colpo di stato.

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Mazza, è arrivato il wot :asd:
Dopo recupero.
Edit: bella idea, sono riuscito a dare una letta veloce, ma hai aggiunto romanzature o esposto solo i fatti nudi e crudi :asd: ?
Perché messa così è una spy storia in piena regola :asd:

3. Il libraio a molle
Terminata la guerra il Maestro è finalmente un uomo libero, e con una reputazione ripulita. Talmente ripulita che sovente dirigenti comunisti del pistoiese si affidano a lui per intrecciare rapporti, smuovere le acque, ottenere permessi statali. A conti fatti lo considerano come uno di loro. Forse un po’ lo è davvero. Forse dietro quella scorza da imbroglione batte il cuore di un novyj sovetskij čelovek. O forse sono i servizi segreti (nazionali? americani?) a suggerire di tessere quei rapporti. O semplicemente è l’ennesimo atto del suo infinito doppiogioco in attesa di capire verso quali lidi si muoverà l’Italia repubblicana dell’immediato dopoguerra.
Di certo il Maestro ha un’esigenza. Quella di ottenere immediatamente un passaporto. Per farlo si iscrive in gran segreto all’MSI (la nuova destra), poi al Partito Monarchico e infine alla DC. L’ultima scelta è quella buona. Finalmente ottiene il passaporto e può muoversi liberamente tra Francia, Belgio, Lussemburgo e soprattutto Sud America. Argentina in primis.

Ora perché il Maestro ha bisogno di un passaporto ad inizio anni 50’? Se è un informatore solo e soltanto dei Servizi Nazionali, perché questi semplicemente non hanno oliato il meccanismo burocratico di rilascio invece di costringerlo alla tarantella di una tessera di partito? Qui un buon sceneggiatore un pizzico di spiegazione dovrebbe darla. E noi daremo se non quella più ovvia sicuramente quella più affascinante per il prosieguo del racconto: ad usarlo come pedina non sono solo i Servizi italiani. Forse gli americani? La neonata CIA? Kingfisher?
Fatto sta che in Argentina il Maestro può tessere relazioni importanti. Con una bella lettera di raccomandazioni da parte del generale La Botta riesce a far breccia nei cuori (e nel portafoglio) di Peron e tessere fruttuosi legami d’amicizia e conoscenze. E è proprio in Argentina che il Maestro riesce a far convogliare parte di quell’oro jugoslavo andato perduto.

Già l’oro. Erano stati sottratti 60 tonnellate. A fine guerra alla Jugoslavia ne verranno restituite solo 30. Quando il Maestro torna in Italia inizia a sfoggiare uno stile di vita lussuoso che mal si concilia con l’Italia di metà anni 50’. Tenere un profilo basso non è nelle sue corde. In teoria gestirebbe una bancarella di libri con il suocero. Tra un libro e un altro nel negozietto entra qualche personaggetto che qualche sospetto lo dà. Uomini dell’est Europa, comunisti toscani, qualche esule rumeno ritrovatosi in Italia post guerra mondiale. C’è chi parla addirittura di un traffico d’armi. Le voci giungono fino a Roma. Da un ufficio del Ministero dell’Interno chiedono informazioni a riguardo alla sgangherata caserma locale pistoiese:
- “Scusi, ci risulta che lì da voi a Pistoia ci sia questo tizio di nome il Maestro, che incontra tizi strani, comunisti dell’est. Non è mica che è una spia del Kgb? Controllate un po’”

- “Come dite? Il Manesco? Ah sì c’è questo tizio di nome il Manesco, c’ha la bandiera rossa su pe’ il balcone e è iscritto al PC. Ma niente di che”

Al di là dell’errore, voluto o meno, di omonimia che porta la Questura di Pistoia ad indagare su un’altra persona, l’informativa denominata Cominform resterà a prendere polvere dentro la scrivania di un ufficio di Firenze per anni. Almeno fino a quando qualcuno deciderà di prenderla da lì e usarla.
Forse qualcuno al Ministero dell’Interno doveva non conoscere l’esistenza di un’operazione volta ad addestrare in territorio occidentale (Italia compresa) dissidenti dell’est da poi rispedire nei paesi d’origine per creare reti di comunicazione e sabotaggio. Operazione naufragata con un clamoroso insuccesso e con la morte per fucilazione di numerosi di questi patrioti, della cui esistenza i governi dell’Est erano venuti a conoscenza quasi subito. O forse al Ministero, ma questo è più grave visto che gli affari interni rientrerebbero nella sfera del Ministero dell’Interno, non sapevano dell’esistenza di piani (abbastanza folkloristici e approssimativi) di sovversione rossa da parte di imperterriti ex combattenti che mal si rassegnavano all’idea che la loro Italia era finita dalla parte bella della cortina di ferro. E che intrattenere rapporti con essi significava persuaderli o prevenirli.

Ad ogni modo a fine anni 50’ il Maestro decide di passare dai libri ai materassi. Su consiglio di un deputato DC a cui aveva prestato l’auto, facendo per un po’ da autista e portaborse, diviene dirigente di un’importante fabbrica di materassi nel Lazio. Deve essere sicuramente per la sua spigliata indole da venditore che lo stabilimento riesce ad ottenere un’importante commessa Nato. Soldi che chissà dove vanno a finire. Nel frattempo, così com’era già stato per il negozietto di libri, anche la fabbrica di materassi inizia a riempirsi di loschi figuranti. Stavolta però, a differenza della bottega dei libri, la caratura sociale dei loschi individui è ben più elevata. Alti prelati, ministri, generali, funzionari pubblici. Dell’incontro con uno di loro, all’inaugurazione della fabbrica frusinate, s’è scritto e riscritto. La celeberrima foto scattata in quell’occorrenza fa da copertina a saggi ben più interessanti di questo raccontuccio. E a quelli vi rimando. Meno noti probabilmente i suoi incontri con Don Cinema e Frank il Sioux. Il primo, un frate belga esperto di propaganda e comunicazione, riceve i soldi dal secondo per conto degli Stati Uniti nell’ottica del piano Demagnetize che utilizza la Chiesa come strumento per far arrivare i soldi destinati alle operazioni clandestine. Almeno quelle che, concordate o meno con il legittimo governo italiano, non possono passare tramite il normale finanziamento al ricostruito servizio segreto italiano, il SIFAR.

È qui che il Maestro capisce che per stringere le mani che contano bisogna farlo nel modo giusto. Grembiulino, squadra e compasso. Da libraio a materassaio fino a libero muratore.
La scalata sociale del Maestro è pronta a partire.
Ma cos’è la Massoneria in Italia ad inizio anni 60’? Si finirebbe per uscire troppo dal nostro racconto. Per ridurla all’estrema sintesi, gli americani hanno intenzione di utilizzare tale organizzazione come check list di persone fidate per le poltrone chiave nel nostro paese.
L’idea, o perlomeno l’uomo che la mette in pratica è Frank il Sioux.
Nato in Calabria, emigrato da bambino con la madre negli Usa, rimarrà orfano e verrà cresciuto da una tribù di Sioux. Diventerà padre evangelista, e soprattutto consigliere capo OSS prima, CIA dopo, in Italia. Rifonderà la Massoneria in Italia.

Di lui troverete pochissimo in giro. Non vi preoccupate, è normale così.

Daje licheró :lode:
Frank il sioux è uno pseudonimo che gli hai dato tu o è quello che veniva realmente usato?

Frank il nome, i Sioux la tribù che l’hanno cresciuto

Graziealca, quello era chiaro :asd:
Su di lui non si trova un cazzo in effetti, hai qualche source?

Strano che Licher ciurli nel manico sulle sue fonti, secondo me non le dirà nemmeno sotto tortura xD

@licher Ti riferisci per caso a GFB?

Gli acronimi non sono mai stati il mio forte, chi è GFB? :asd:

Scrivi su Google:
Frank _ [Confederazione Italiana Agricoltori] _ Italia
qualcosa ti esce :asd:

G1gl1ott1 Frank Brun0

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Se è lui ho trovato una delle tue fonti xD

p.s: Per caso tu ti chiami Stefano?

Ma hai paura di venir tracciato lol?

cmq figo sto racconto mi sta prendendo

Era una battuta :asd:

Se hai trovato un video, no, non sono io. Però è un bel canale (l’ho già pubblicizzato sull’altro thread) e per quel che ho potuto vedere vale

C’è chi ha letto i post con la voce di Carlo Lucarelli, e chi mente

4. L’uomo di Stato
Introduciamo ora quello che sarà il coprotagonista della nostra storia. O almeno uno dei due principali attori.
Federico Barbarossa nasce in Libia nel 1934. Figlio di un ufficiale dei Carabinieri (presumibilmente di stanza proprio in Libia al momento della sua nascita) il Barbarossa è discendente di una nobile e altolocata famiglia fiorentina. Al suo ritorno in Italia il giovane Federico entra all’accademia di Modena nei primi anni 50’. Per entrare nell’Arma e seguire le orme paterne era infatti all’epoca necessario prima entrare nell’Esercito.
Ad inizio anni 60’, in qualità di capitano dei Carabinieri, al suo primo incarico, il giovane Federico viene inviato in Alto Adige. Lo si definirebbe un posto tranquillo, benedetto dalla Natura, con un panorama paradisiaco, ma i tempi della fiction di Terence Hill sono ancora da venire. Più che ad un passo dal cielo il giovane Barbarossa si ritrova ad un passo dall’oscurità. Un’oscurità che proprio tra quelle incantevoli montagne viene alla luce e avvolgerà da lì a pochi anni l’Italia in una morsa di sangue e terrore. È in quegli anni che il movimento separatista di lingua tedesca ha fatto il salto di qualità iniziando atti dinamitardi via via sempre più azzardati. E è qui che il capitano Barbarossa capisce qualcosa. Perché il compito di alcuni suoi colleghi dell’Arma, e di altri misteriosi funzionari inviati dal Ministero, più che di fermarli sembra quello di favorirli quegli atti. Un piccolo esperimento di guerra psicologica e controinsurrezione da mettere in pratica nelle valli altoatesine. Probabilmente il Barbarossa si è accorto della cosa, ma invece che denunciarne i fatti, ha mantenuto il silenzio, ha abbassato la testa, ha favorito anche lui. Sicuramente deve aver impressionato qualche pezzo grosso, perché attorno alla metà degli anni 60’ gli viene proposto di entrare nei servizi segreti, l’allora (ma per poco) SIFAR, poi SID.

L’incredibile sfortuna vuole però che quelle tecniche di guerra non ortodossa, che qualche rigoroso studioso ben più ragguagliato sui fatti rispetto allo scrittore di questo raccontuccio chiamerebbe Strategia della tensione, inizino a perseguitarlo per tutta la vita, appiccicandosi e incollandosi ovunque vada come una calamita. Una delle sue prime tappe lavorative nel Servizio è a Padova. E proprio Padova, il Veneto, e più in generale il nord est non sono luoghi qualunque in quegli anni. È in Veneto (Padova e Verona in special modo) che Ordine Nuovo (fondato da Rauti nel 1956) recluta le sue migliori leve. È la cellula ordinovista padovana che inaugurerà la stagione del terrore nell’estate del 1969 con una serie di bombe sui treni, prodomi della strage di Piazza Fontana nel dicembre dello stesso anno.
Non conosciamo la qualità del lavoro svolto dal Barbarossa a Padova. Evidentemente qualcuno deve però averlo considerato positivo, dal momento che nel 1971 ottiene il trasferimento nella sua amata città, Firenze, e addirittura nel 1973 del centro fiorentino del Servizio ne diviene il responsabile. Tale avanzamento di grado è però frutto anche di una circostanza piuttosto casuale che porta il nome di Argo 16, il Douglas C47 regalatoci dalle forze armate statunitensi per ricognizioni elettroniche sull’adriatico in chiave anti jugoslava e precipitato sulla zona di Porto Marghera nel 1973 dopo un volo in Libia con sosta a Malta (volo presumibilmente sabotato dal Mossad come ritorsione trasversale). Successe infatti che il genero di Nasser, l’allora presidente egiziano, e collaboratore segreto del servizio israeliano, informò Tel Aviv che alcuni giordani armati di lanciarazzi erano pronti ad abbattere voli El Al in partenza dallo scalo romano di Fiumicino. Tel Aviv rigirò l’informativa a Roma e la nostra polizia arrestò per tempo i terroristi mediorientali. Ma in ossequio al nascituro “Lodo Moro” (l’accordo sarebbe stato formalizzato solo qualche mese più tardi) i terroristi furono messi su Argo 16 e rilasciati in Libia.

Fu aperta un’inchiesta, e per evitare che la magistratura ficcasse troppo il naso in questioni pericolose l’allora capocentro di Firenze, il Colonnello V. diede le dimissioni. Riuscì ad ottenere la promozione del suo vice però solo dopo il beneplacito del Maestro, ormai sempre più deus ex machina del grande gioco delle poltrone.

La storia di Barbarossa e del Maestro iniziò in questo modo.