2. Salvarsi
A diciassette anni il Maestro (ma ancora nessuno lo chiama così) prende a schiaffi un suo professore e viene espulso da scuola. Figlio di un piccolo mezzadro del pistoiese, senza più la possibilità di ottenere un’istruzione e con essa l’unico mezzo di una illusoria ascesa sociale nell’Italia di fine anni 30’, pronto all’avventura parte insieme al fratello e con altre Camice Nere come volontario al fianco dei nazionalisti di Franco nella Guerra Civile Spagnola. Dal generale spagnolo in persona riceverà persino una medaglia al petto. Ma la Guerra Civile gli causerà soprattutto dolori. L’amato fratello perirà combattendo, vittima di un colpo di mortaio repubblicano nei pressi di Malaga. Porterà con sé per tutta la vita tale dolore e soprattutto coverà una forte rabbia verso i bolscevichi che hanno strappato una ancora così giovane vita. Forse fascista per opportunità, sicuramente anticomunista per rabbia.
Al suo ritorno in patria tenta più volte l’esame da privatista per ragioniere senza riuscirvici mai. Decide quindi di pubblicare a puntate su un giornale le proprie avventurose eroiche imprese spagnole. Gonfiandole ovviamente. Ma è qui che il Maestro imparerà la prima e più importante lezione della sua vita: non importa chi sei veramente, né quali carte hai in mano. Tu bluffa, millanta, spara in alto, il mondo avrà sempre bisogno di raggiratori pronti a tutto. E a credere alle sparate del Maestro è niente popò di meno che il Duce. Mussolini ha sentito parlare di questo giovane e lo riceve. Giusto 5 minuti. Più o meno va così:
– “Bravo giovane, la Patria ti è grata. Come può quindi ricompensarti?”
–“Mi piacerebbe occuparmi del mondo dei Servizi Segreti”
Il Duce lo accontenta. Finisce in Jugoslavia agli ordini del generale La Bestia, comandante dell’intelligence militare italiana, il SIM. Qui in Jugoslavia La Bestia affida al Maestro l’incarico di rubare l’oro del re serbo sottraendolo sia agli inglesi sia all’alleato tedesco. E qui il Maestro impara la sua seconda lezione: sii spavaldo. E il Maestro dà sfoggio a tutta la sua spavalderia. Quando i tedeschi vengono a reclamare parte del bottino lui lo nasconde sotto ad un convoglio ferroviario di malati. L’ufficiale germanico ad essere gabbato al posto di blocco sarà niente popò di meno che il futuro (anni 70’) presidente dell’ONU. Si parla di un qualcosa come 60 tonnellate di lingotti d’oro.
E poi il ritorno in un paese diviso, più nero nel viso, più rosso d’amore. Dopo l’8 Settembre la Toscana è territorio di massacri. E qui il Maestro imparerà la terza e ultima lezione: il doppiogioco. Il paese è al collasso, i suoi contatti col SIM preclusi. Il generale La Bestia a comando delle divisioni in Sicilia nel 1943 ha “disertato” passando ai badogliani pro armistizio. Il Maestro sa che la guerra è ormai perduta ma deve fare buon viso a cattivo gioco. E’ formalmente arruolato in una divisione delle SS italiane. Fa il traduttore. Eppure pare non parli nemmeno una parola di tedesco (sull’italiano ci sta lavorando, il libro di memorie in Spagna glie l’avevano dovuto correggere gli editori per via dei numerosi refusi grammaticali). Quasi con ogni probabilità ha partecipato ad alcuni plotoni d’esecuzione contro partigiani, anticollaborazionisti o semplici sfortunati vittime di vendicativi rastrellamenti. Conoscendo a menadito il territorio pistoiese i tedeschi gli affidano la logistica dei trasporti, il rilascio di documenti, il censimento delle bande partigiane. E’ qui che, per necessità o convinzione, inizia il doppiogioco. C’è un partigiano, si chiama Silvano. Fa amicizia con il Maestro e i due iniziano a collaborare attivamente. La mattina il Maestro partecipa alle riunioni dove la Wehrmacht pianifica retate, la sera sveste la divisa e va ad avvisare i compagni di Silvano affinché scappino altrove. Poi un giorno il grande piano. Il Maestro fornisce a Silvano e gli altri della banda divise delle SS e insieme si recarono al carcere/manicomio di Villa Sbertoli liberando tutti i detenuti. Una sessantina tra partigiani locali, antifascisti e ebrei. Dopo il fatto il Maestro si diede alla macchia tra i boschi dell’Appennino, non prima però d’essersi fatto rilasciare un’attestazione di merito da parte di Italo il rosso, un dirigente comunista locale che poi farà carriera.
Purtroppo Silvano non riuscirà a vedere la sua terra liberata. Morirà in un agguato dei tedeschi nel Luglio 1944. Si dice che il suo ideale anarcoide poco si conciliasse con le strategie politiche sia dei partigiani bianchi democratici sia degli stessi comunisti. Con lo scopo di recuperare una partita di armi prestata, qualcuno gli tese una trappola vendendolo al nemico. Chi fosse la spia non si è mai capito.
C’è un altro partigiano, si chiama Manrico, detto Pippo. E’ un ex militare, lo si può dunque inquadrare tra le formazioni dei partigiani bianchi. Anche con lui il Maestro si ritrovò ad avere a che fare. Pippo rispetto a Silvano ha maggiori contatti con gli alleati, i quali gli paracadutano spesso viveri e armi. Forse è a questo punto, grazie all’aggancio con gli uomini di Pippo, che avvengono i primi contatti tra il Maestro e agenti dell’OSS. A fine guerra Pippo è deluso da alcuni atteggiamenti post liberazione. Si dice che voglia denunciare alcuni abusi di certi gruppi della resistenza. Con chi ce l’ha? Con le formazioni comuniste? Con alcuni doppiogiochisti che fino a ieri collaboravano con i nazisti? Non si sa, fatto sta che verrà ritrovato impiccato in casa propria nel 1948.
Ad avvenuta liberazione il Maestro si consegna spontaneamente agli alleati. Ha i documenti del rosso Italo che confermano l’aiuto dato alla resistenza e tutti si ricordano ancora il gesto eroico di Villa Sbertoli. Ha inoltre un incontro a Roma con il Segretario nazionale del PC. Da Pistoia a Roma il Maestro ci giunge scortato da due parigiani comunisti. Di cosa avranno parlato il buon Palmiro, giunto da pochi mesi dal suo esilio a Mosca e quell’intraprendente ventenne? Forse di quell’oro che fa gola a molti?
È sicuramente questa abilità spionistica ad intrecciare rapporti con tutti che colpisce Kingfisher, l’agente OSS che prende in carico il suo fascicolo. Kingfisher si consiglia con Lucullo, un ex OVRA (polizia politica fascista) che ha collaborato allo smantellamento delle reti spionistiche naziste. Lucullo gli dice che sì, il Maestro è uno giusto (che è un po’ cretino lo dirà solo quarant’anni dopo), e Kingfisher lo inserisce nei cavalieri della libertà che nel futuro prossimo venturo rappresenteranno l’ultimo baluardo tra la civiltà e la dittatura del proletariato. Il Maestro è un ex fascista, ha contatti con i comunisti, ha amicizie col generale La Bestia (a cui è stata affidata una bozza di nuovo servizio segreto) e soprattutto sa dov’è l’oro. Così borderline è il tipo perfetto di spia per Kingfisher. Anni dopo, da un tipo altrettanto borderline, un altezzoso aristocratico britannico, Kingfisher prenderà una mazzata tra capo e collo. L’aristocratico era una spia del KGB, ma questa è un’altra storia. Forse…
Il Maestro viene liberato, spedito in Sardegna, e qui di nuovo arrestato dai Carabinieri. Questi lo torchiano, e gli offrono di diventare una risorsa informativa del nuovo servizio segreto italiano, il SIFAR. Il Maestro accetta, in fin dei conti è quello che ha sempre sognato, ma per farlo deve prima “vendere” tutti gli ex fascisti repubblichini toscani ancora in libertà. Triplo, quadruplo, quintuplo gioco, non c’è problema. In cella il Maestro si ritrova pure fianco a fianco col Principe Nero, comandante delle unità speciali del regio esercito e salvato in extremis dalla fucilazione dei partigiani proprio da Lucullo e Kingfisher. Tale amicizia tornerà utile al Maestro una ventina d’anni dopo, quando il Principe Nero lo selezionerà nel suo scriteriato colpo di stato.