[STORIA A PUNTATE] Il Maestro e Federico

Il lego dei caramba è la ciliegina :vface:
Daje, quanti capitoli prevedi in totale :asd:?

seguo con estremo interesse :ubersisi:

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5. Indagine su un cittadino molto sospetto
Il Barbarossa si ritrova così nel 1971 nella sua Firenze prima come vice comandante e poi come comandante del centro SID, Servizio Informazioni Difesa.

Il servizio segreto aveva assunto la denominazione Sid dal Sifar (Servizio Informazioni Militari) nel 1966 a seguito dello scandalo De Lorenzo e del Piano Solo. I giornalisti dell’Espresso Jannuzzi e Scalfari scoprirono un tentativo di colpo di stato che avrebbe dovuto svolgersi nel 1964 sotto la supervisione del generale De Lorenzo direttore del Sifar. Obiettivo: fermare l’apertura di governo della DC alle forze di sinistra.
L’istituzione di una Commissione Parlamentare portò, oltre alle dimissioni di De Lorenzo, anche alla scoperta dei Fascicoli Sifar. Migliaia di personalità italiane erano state schedate nel corso degli anni. Supposte ideologie politiche, relazioni sentimentali, persino le marche di sigarette preferite del futuro presidente della Repubblica.
L’esistenza dei fascicoli genera scandalo, si decide di distruggerli immediatamente e tale compito viene affidato al ministro della Difesa, il Divo. SPOILER: non avverrà.

Il nuovo SID vede al comando il generale Annibale, filoarabo e fedele di Pennabianca, e il vice comando e il comando del reparto D di controspionaggio al generale Scipione l’Africano, atlantista e filoisraeliano.
Ora, appena giunto a Firenze, il nostro Federico Barbarossa è smanioso di mettersi in mostra con i superiori e farsi vedere preparato, che ha letto e imparato quello che i manuali operativi della guerra non ortodossa dicono di fare. E nei primissimi anni 70’ le direttive recitano chiaro: creare provocazioni mirate atte a far ricadere le colpe sui disorganizzati movimenti parlamentari di sinistra. Quelli organizzati, capaci di fare direttamente tutto loro saranno operativi solo qualche anno più tardi.
Con l’aiuto di Michelangelo, mago della contraffazione di documenti falsi al servizio del centro di Firenze, di un capitano dei Carabinieri suo amico, e di un informatore/eversivo di Ordine Nuovo con cui ha già avuto modo di collaborare negli anni di Padova, il Barbarossa supervisiona la messinscena del ritrovamento di un arsenale nei pressi di Svolte di Fiungo, Camerino. Mediante qualche arzigogolata trovata (un cifrario facilmente cifrabile) l’arsenale viene immediatamente attribuito a gruppi della sinistra extraparlamentare.
Il Barbarossa si aspetta la sua prima pacca sulle spalle. Ma quando le informative sull’operazione giungono a Roma, al reparto D di Scipione l’Africano, questi si mette le mani nei capelli. Probabilmente l’operazione non era stata concordata, è risultata un pastrocchio, o a Scipione stanno a cuore i patimenti dei poveri innocenti in galera. Difficile quest’ultima visti casi analoghi a cui non sembra importare a nessuno. Più probabili quindi le altre due. Scipione scrive una lettera anonima ai magistrati in modo che possano cadere le accuse. E poi invia tramite il Colonnello V il primo rimbrotto al Barbarossa: “Ma che cazzo di casini combina questo?”

Il Barbarossa incassa ma non più di tanto.
Un nome inizia a diventare sempre più costante in diverse informative che passano per la sua scrivania. C’è un tizio che ad Arezzo (città che rientrerebbe sotto la sua supervisione) dice a più persone di essere in ottimi rapporti con i Servizi. Lui però, che dei Servizi lo è, non lo conosce. Com’è possibile? Un mitomane? Un millantatore truffaldino? Il Barbarossa decide immediatamente di indagare.
Il tizio è ovviamente il Maestro. Ma chi è nel 1971 il Maestro?
Lo abbiamo lasciato direttore della Permaflex di Frosinone, alla cui apertura ha incontrato anche il Divo. Ottenuta una cospicua commessa dalla Nato per la fornitura di letti e materassi si era trasferito a metà anni 60’ ad Arezzo rilevando aziende di materassi e abbigliamento oltre che una sontuosa villa divenuta il centro logistico dei suoi affari. Ma ad inizio anni 60’ il Maestro era già entrato in Massoneria, nella Loggia discioltasi negli anni 30’ e riformatasi nel dopoguerra. La personalità più influente all’interno della Loggia non era però né il Vecchio Maestro, colui che ne divenne gran maestro ad inizi anni 60’ né l’appena entrato nostro di Maestro. La vera personalità influente all’interno della Loggia era il Vicepetroliere, colui che in ossequio alle richieste americane si era dato da fare per far fuori il Petroliere, colui che aveva ricostruito l’industria petrolifera e energetica italiana nel dopoguerra ma che era inviso oltreoceano per una politica troppo indipendentista e favorevole al socialismo panarabo. Morto il Petroliere in uno stranissimo incidente aereo era il Vicepetroliere ora che comandava in Loggia. Ciò è importante in quanto getta luce sull’ideologia di fondo che muoveva i fili della Loggia: una visione più aperta all’alleato atlantico che non ad una politica interna più favorevole a stringere patti politici con forze socialiste e della sinistra moderata.
Al Maestro venne richiesto un ruolo di primo ordine nel Golpe del 1970. Fallito il Golpe il suo nome non uscì grazie all’intervento del Divo, di qualche ufficiale dei Servizi italiani, di qualche ufficiale dei Servizi americani. Il primo, il secondo, il terzo, o tutti e tre inconsapevoli degli altri lo consideravano evidentemente una loro “risorsa”. Nel frattempo però il Vicepetroliere si era ritirato a vita privata in Svizzera, mentre il Vecchio Maestro divenne “il capo” della Massoneria italiana, promuovendo a maestro venerabile il nostro Maestro (sic!) e dovendolo più volte difendere per il suo comportamento considerato da altri fratelli di altre logge poco guidato da spirito massonico.
Ricordate i fascicoli Sifar? Ecco, erano finiti nelle mani del Vicepetroliere e da lì in quelle del Maestro. Anche quelli finirono per diventare strumento di futuro ricatto.

Ora il Barbarossa nel 1971 si ritrova questo chiacchieratissimo personaggio sotto il naso. Che può fare? Beh inizia una report su di lui. Tanto più che scovando nell’archivio di Firenze trova un vecchissimo documento, il Cominform. Ricordate quando nell’episodio 3 ho detto che a seguito del suo aiuto ai partigiani si vociferò che il Maestro fosse addirittura comunista? Ecco, in quel documento si diceva pure di più. Si diceva che il Maestro fosse addirittura una spia dei paesi dell’Est e che con essi commerciasse armi. Versione che era rimasta chiusa nei cassetti di Firenze. (al Ministero era andata solo la versione edulcorata).
Un agente del KGB? Ad Arezzo? Che frequenta importantissimi politici italiani e chissà altro? Barbarossa scrive tutto e invia il documento a Roma. Questo arriva nelle mani del generale Scipione l’Africano che appena lo legge va su tutte le furie e a sua volta chiama il Colonnello V, capo centro di Firenze (Argo non era ancora caduto) nonché già fratello di Loggia del Maestro.
Quali sono le parole di Scipione l’Africano a Barbarossa tramite il Colonnello V?

“Fatti i cazzi tuoi, o ti rimando a fare il Carabiniere!”

Secondo sfuriata in pochi mesi.
Ma andrà peggio a tre ufficiali della Guardia di Finanza che per motivi di cui parleremo nei prossimi episodi decideranno di fare un’indagine sul Maestro nel 1975.
Partendo come un’indagine di frode fiscale i tre ufficiali giungeranno alle conclusioni che il Maestro avrebbe sottratto alle sue aziende alcuni capitali destinati a finanziare una serie di attentati sulle linee ferroviarie toscane.
La relazione della Guardia di Finanza non avrà seguito. Uno dei tre ufficiali morirà da lì a pochi mesi per un malore. Il secondo dei tre ufficiali morirà da lì a pochi mesi per un incidente automobilistico. Nel 1975 un nuovo generale R.G. verrà nominato comandante della Guardia di Finanza. A seguito della nomina, e solo a seguito, entrerà anche lui nella Loggia. Il terzo dei tre ufficiali entrerà da lì a pochi mesi nella Loggia.

Plata o plomo non è un proverbio solo colombiano evidentemente.

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6. Quando i treni smisero di arrivare in orario
Nell’Agosto 1969 esplosero simultaneamente 10 bombe in altrettanti scompartimenti di dieci treni diversi. Solo feriti in modo lieve, fortunatamente. L’avventura dinamitarda era prodromica all’instillazione di un clima di crescente terrore il cui apice sarebbero state le bombe di Roma e Milano del successivo Dicembre e l’emanazione di Leggi Speciali più repressive e limitanti l’operatività del Parlamento. Non un golpe vero e proprio quindi, piuttosto una sterzata verso un presidenzialismo de facto che avrebbe sbarrato l’influenza dei partiti di minoranza drenandone l’ascesa elettiva o rendendo quest’ultima ininfluente in vista della formazione dei governi.

L’operazione 1969 non ebbe il risultato sperato per svariati motivi, non ultimo il rifiuto del Presidente del Consiglio di firmare lo stato di emergenza. Ad occuparsi delle bombe al Nord, comprese quelle sui treni, fu la cellula ordinovista veneta, capeggiata da Erodoto e Tucidide (il primo da sempre informatore dei Servizi italiani, il secondo di quelli americani e in particolar modo del comando FTASE Nato a Verona). A “controllare” i progressi del gruppo, riferire progetti e intenti d’azione, vi era il colonnello dell’esercito italiano Profeta, anche lui di stanza allo FTASE. Compito non semplice quello del colonnello Profeta visto che si ritrovava tra due fuochi: da un lato fare da tappo alla voglia sanguinaria del gruppo (affinché esplodesse solo quando concordato) e dall’altro cercare di capire cosa volessero farci gli americani della cellula, visto che non sempre tra le agenzie d’intelligence statunitensi e italiane c’era massima condivisione di informazione e piani operativi. Per farselo più amico il colonnello fece aprire alla moglie insieme a Tucidide una palestra assieme.
A coordinare le bombe di Roma sarà invece un’altra sigla, A.N., capitanata dal Guerrigliero e sotto la supervisione di Lucullo, eminenza grigia dei servizi segreti (sia italiani che atlantici) fin dalle sue prime collaborazioni in piena Seconda guerra mondiale con l’OSS, fidato amico di Kingfisher, e vicedirettore della “vecchia” DIGOS (Ufficio Polizia politica).
Torneremo a parlare di questi nomi, ma tant’è il golpe del 1969 fallisce (così come alcuni successivi, veri o solo abbozzati che siano).

È proprio in virtù di uno di questi (quello del Dicembre 1970, il golpe della Madonna, sic!) che l’operazione bombe sui treni torna di moda. Ma questa volta cambia il paradigma: non più bombe dimostrative, ma bombe per far male. Bombe per uccidere. E uccideranno, segnando una lunga scia di sangue per i successivi quattordici anni.
Si inizia il 22 Luglio del 1970, Calabria. Il direttissimo Palermo-Torino, la Freccia del Sud, deraglia nei pressi di Gioia Tauro, sei morti. Per la maggiore va l’ipotesi dell’incidente ma in realtà un pezzo di binario è stato fatto saltare con dell’esplosivo proprio al passaggio del treno.
Agosto 1970, stazione di Verona. Un brigadiere della Polfer nota una valigetta sospetta lasciata incustodita nella sala d’aspetto della stazione scaligera (vi ricorda qualcosa? ve lo ricorderà più avanti nel racconto). Sente un ticchettio, la apre, e vede un timer collegato a materiale esplosivo. Forse in maniera un po’ imprudente prende tutto, lo mette nella propria auto, trova un luogo isolato e ivi ci piazza l’ordigno. Qui scoppierà una mezz’oretta dopo, nel frattempo il brigadiere era andato a chiamare rinforzi.
Il golpe del Dicembre 1970 comunque fallirà (forse gli americani negarono l’assenzo proprio all’ultimo, forse era solo un’esercitazione, forse serviva solo a mettere paura a chi di dovere). Toccherà al Divo, ministro della Difesa, scegliere i sommersi e i salvati, stabilire quali nomi depennare dallo scandalo e quali altri dare alla pubblica gogna. Come già scritto tra i primi ci sarà anche quello del Maestro.

Marzo 1971, Venezia. In occasione della visita ufficiale di Tito in Italia si decide di fargli saltare il convoglio su cui viaggia. Cinquanta metri di binario tranciato ma il treno ne esce incolume.
Aprile 1973. Tratta Genova-Roma. Un ordinovista si chiude nei bagni per preparare l’innesco di una bomba. Qualcosa va storto e gli scoppia tra le mani. Gravemente ferito si salverà.

Ora a Novembre 1973 avviene qualcosa di importante ai fini della vicenda qui raccontata. Ordine Nuovo viene riconosciuto per quel che è: un movimento eversivo terroristico e dichiarato fuorilegge. Primo firmatario del provvedimento il ministro dell’intero, Il Moderato. A firmare l’ordine di scioglimento il magistrato Occhio Lungo che da tempo indagava sul fenomeno dell’eversione nera. Ordine Nuovo non si discioglierà ovviamente grazie ad un colpo di penna, ma il provvedimento causa una frammentazione di groppuscoli orbitanti nell’universo di Ordine Nuovo ma formalmente ad esso indipendenti. Soprattutto per rendere più difficile il ruolo della magistratura, che da qualche anno si è accorta che a mettere le bombe non sono più gli anarchici. “Marciare divisi per andare assieme” dirà qualche anno più tardi un pentito.
Tale frammentazione porterà alla nascita in Toscana e nelle Marche del movimento Ordine Nero.

Nuove sigle, nuovo giro di valzer.
Gennaio 1974. Nei pressi di Teramo viene piazzata una carica esplodente sui binari in attesa, presumibilmente, di un treno passeggeri. Passa invece un treno merci. Nessuna vittima.
Poi si passerà alla tratta ferroviaria preferita: la Firenze-Bologna
Aprile 1974, Vaiano, provincia di Firenze. Nuova carica esplosiva piazzata su un viadotto. Il congegno prevede che al passaggio del treno la ruota del locomotore tranci un cavo elettrico che faccia scoppiare una bomba piazzata una decina di metri più avanti comportando l’inesorabile deragliamento del treno e, considerato come luogo scelto un viadotto, la caduta dei vagoni da diverse centinaia di metri d’altezza con la conseguente morte di decine se non centinaia di persone. Qualcosa però va storto anche questa volta. La bomba esplode prima che i cavi elettrici vengano tranciati e quando il treno passeggeri è a poche decine di metri dall’imbocco del viadotto. Un dispositivo di blocco automatico salva dalla tragedia.

Ma in antitesi ad un vecchio proverbio da film: “non può esserci il sole per sempre”.
E il sole non ci sarà la notte del 4 Agosto 1974. Treno Roma-Monaco, tratta Firenze-Bologna. Questa volta si cambia modalità d’agire. La bomba viene piazzata direttamente nello scompartimento della quinta carrozza. Per aumentare il numero di morti si decide di utilizzare un dispositivo a timer, sveglia marca Peter, e di impostarla affinché esploda mentre il treno percorra il tratto di galleria in prossimità di San Benedetto Val di Sambro. Ciò avverrà, ma grazie all’aver smaltito parte di ritardo accumulato e alla bravura del macchinista, il treno pur colpito dall’esplosione riesce per inerzia ad uscire dalla galleria. Altrimenti sarebbe stata una strage da centinaia di morti. Pur così moriranno comunque 12 persone tra cui un’intera famiglia completamente cancellata.

Siccome non vi sarà molto spazio in questo racconto per personaggi positivi giusto è ricordarne qualcuno, seppur in poche righe. Il giovane capotreno Valter sta prestando servizio proprio su quella corsa notturna quando la bomba esplode. È nel terzo convoglio, quindi ipoteticamente al sicuro, quando il treno riesce a fermarsi alla stazione di San Benedetto Val di Sambro. Incurante dei consigli dei colleghi che lo invitano alla prudenza, Valter si arma di un estintore e entra nella carrozza avvolta dalle fiamme, nella speranza di soccorrere qualcuno. Riuscirà a salvare una bambina, l’unica di quella famiglia distrutta a sopravvivere, ma non tornerà più indietro.

Gennaio 1975, Terontola provincia di Arezzo. Nuova carica esplosiva sui binari. Il treno in passaggio non deraglia.
La strage non si ferma.

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Pezzo bello corposo, tanti degli attentati che citi manco li conoscevo, nonostante siano estremamente gravi non se ne parla troppo quando si racconta quel periodo.
Parentesi tragicomica, il fascio che maneggia la bomba nel cesso del treno e gli esplode in mano :rotfl:

Per pura casualità, potrei linkare questo articolo

Scopro ora che la russa fa benito di secondo nome :rotfl:
Sarebbe interessante se facessi anche un excursus sulla sua attività “politica” di quegli anni, intanto preparo le arance da portarti per quando starai al gabbio :asd:

Guardati i primi minuti di Sbatti il Mostro in prima pagina

7. Il partigiano Franco
La bomba dell’Agosto 1974 ha fatto rumore. Ha fatto rumore perché 12 morti sono 12 morti. E ha fatto rumore perché non è stata l’unica in quell’anno di estrema violenza. Tutto era iniziato verso la fine del 1973 quando la magistratura di Padova aveva scoperto i primi collegamenti tra gli ordinovisti veneti e elementi dell’ufficio guerra psicologica dello FTASE di Verona portando all’incriminazione e arresto di alcuni ufficiali militari italiani, tra cui il già citato colonnello Profeta, e all’individuazione di una particolare organizzazione segreta anticomunista composta da civili e militari le cui specifiche peculiarità si sarebbero scoperte solo molti anni dopo.
Senza più il “tappo” del colonnello Profeta la cellula ordinovista veneta si sente disorientata e su ordine del nucleo di Milano piazza una nuova bomba nel centro cittadino di Brescia, 8 morti. Anche questa nuova ondata di bombe, esattamente come quella del 1969, è prodromica ad un nuovo golpe, quello del partigiano Franco. Ex partigiano, per l’appunto, di fede liberal nazionale, discendenza aristocratica sabauda, vicino alla grande imprenditoria del nord ovest compresa la più importante famiglia industriale torinese, già appena finita la guerra da qualche anno Franco aveva iniziato ad ottenere finanziamenti sia dalla Cia sia dalle suddette famiglie industriali affinché allenasse e formasse gruppi di ex partigiani anticomunisti in caso di possibile insurrezione rossa. Le sue brigate erano la prima forma spartana di quell’organizzazione, l’Organizzazione X, che si sarebbe formata ufficialmente solo nel 1956.
Nel 1974, dopo un passato da ambasciatore, Franco è l’uomo giusto per gli americani: liberale, anticomunista e antisocialista, senza un passato nero da nascondere. L’uomo che può mettere fuorilegge una volta per tutte il partito comunista italiano, senza sembrare troppo un dittatore. Almeno non come i colonnelli greci o Pinochet in Cile. Dirà lui che se avesse preso il potere non avrebbe torto nemmeno un capello ai sovversivi rossi. Alcuni suoi collaboratori, senti negli anni seguenti, diranno di aver avuto propositi leggermente diversi.
Bisogna accelerare. La data scelta è l’Agosto 1974. I gruppi ordinovisti veneti ci stanno a fare la parte degli utili idioti, convinti da Erodoto (confezionerà la bomba) e Tucidide. Ad osservare e oliare i meccanismi della macchina stragista sarà Lucullo, ora direttore dell’Ufficio Polizia Politica e uomo di fiducia della Cia in Italia, che sente il fiato al collo della magistratura sia per le indagini di Padova sia perché in Portogallo, caduto il regime di Salazar, si è scoperta un’organizzazione della stessa Cia coperta sotto la maschera di agenzia giornalistica che ha partecipato attivamente agli attentati del 1969. Tra gli archivi dell’agenzia di stampa portoghese si trovano alcuni manuali di guerra psicologica e controguerriglia redatti sia da Lucullo che dal suo fedele servitore, il Guerrigliero.
C’è quindi il giusto mix di convergenze per far iniziare la strage.
Si parte, come detto, con Brescia, poche settimane dopo il referendum sul divorzio. 8 morti. I capi di Ordine Nuovo, riunitisi in Svizzera, scelgono di non rivendicare con nessuna sigla l’attentato. Lo scopo stavolta non è attribuire alla sinistra o agli anarchici la natura delle bombe ma quella di generare nell’opinione pubblica un senso di insicurezza collettiva: non è importante che le bombe siano di destra o sinistra, le Istituzioni democratiche sono deboli e incapaci di affrontare il pericolo. Serve un drastico cambiamento ai vertici della nazione.
Fine Maggio 1974. Proprio per alimentare il clima di scontro si decide di sacrificare qualche pedina della manovalanza degli utili idioti. Altopiano di Rascino, confine tra Abruzzo e Lazio. Un gruppetto della cellula marchigiana di Ordine Nero (subalterna ad Ordine Nuovo) si sta allenando e preparandosi forse al golpe di Agosto. Intercettati dai Carabinieri vengo feriti e arrestati. Uno di loro, il capo, verrà ucciso sul posto.

Alcune forze democratiche non ci stanno e iniziano a defilarsi. O per profonde convinzioni democratiche come il ministro degli Interni il Moderato, o per mero opportunismo come il Ministro degli affari economici il Divo. Tanto più che si vocifera che lo sponsor maggiore del golpe, il presidente americano, sia sull’orlo di dimettersi. Così, mosso da un moto d’orgoglio, il ministro degli Interni il Moderato fa una mossa coraggiosa e licenzia dalla Polizia Politica Lucullo. Licenzia si fa per dire, visto che è pur sempre un protetto della Cia e più di tanto non si può fare. Viene semplicemente spostato, formalmente, all’Ufficio di controllo delle frontiere e dei trasporti. E la vendetta di Lucullo si abbatterà allora sui trasporti.
Agosto 1974. Bomba sul treno Roma-Monaco, 12 morti. Questa volta però gli ordinovisti, arrabbiati per il trattamento riservato al loro camerata in Abruzzo, ci metteranno la faccia: “Rivendichiamo il camerata ucciso. Preparatevi perché seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti”.
Per fermare il treno del golpe invece la democrazia, rappresentata dal Moderato e dal Divo, dovrà arrivare a fermare addirittura il capo del SID, il generale Annibale. Il duo lascerà carta bianca alla magistratura di indagare su questo nuovo progetto golpista stroncandolo definitivamente. Carta bianca più o meno. Anche questa volta il Divo sceglierà chi sacrificare e chi no. Si può sacrificare il generale Annibale, principale alleato di Pennabianca, suo principale avversario all’interno del partito della DC. Si possono sacrificare un paio di alti ufficiali dei vertici militari. Si possono sacrificare alcuni collaboratori del partigiano Franco. Ma non si può sacrificare lo stesso partigiano Franco, al massimo uno schiaffetto di rimprovero, lui si sa è un galantuomo. E soprattutto non si possono sacrificare gli altri galantuomini che insieme a Franco fanno parte di un club privilegiato di uomini dei servizi, imprenditori, politici, banchieri, la Loggia del Maestro. Toccare la Loggia significherebbe toccare il sistema di controllo della politica americana su quella italiana. Sarebbe troppo.

Fu così che la democrazia italiana fu salvata nel 1974.

Ah, ricordate la scoperta della fittizia agenzia di stampa in Portogallo con l’apertura degli archivi con manuali di guerra non ortodossa? Arrivano a Lisbona alcuni giornalisti de l’Espresso a visionare la carte. Tra le foto c’è quella del Guerrigliero, noto ormai già da anni in patria per le sue attività. Colpisce poco invece quella di un singolare e innocuo signore coi baffi. È la foto del Geometra.
E dopo un lungo preambolo torniamo ai fatti di apertura dell’episodio 1

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Ritorno a bomba anche se sto cominciando a perdermi :asd:

Ho dovuto fare un lungo preambolo di 2-3 puntate per spiegare, oltre al passato del Maestro e Federico ,i due protagonisti della nostra storia, anche il quadro ambientale attorno al 1974.
Come scritto ora si ritorna al Geometra del primo episodio e alla strage del 1974

8. Fratelli e no
Come detto nel precedente episodio, contrariamente agli ordini svizzeri, la cellula bolognese di Ordine Nuovo rivendica la strage già all’indomani del 4 Agosto. Il volantino è opera di un elemento secondario del gruppo. Probabilmente ha agito in modo autonomo nella rivendicazione o non è stato informato sulle direttive post attentato.
Ma a Firenze c’è chi sa. Il capocentro del servizio segreto, il tenente colonnello Federico Barbarossa, da almeno 3 anni, da quando si è insediato nel capoluogo toscano, sta monitorando con attenzione la situazione dei crescenti gruppi neofascisti che spontaneamente o meno si organizzano e si ritrovano nelle varie zone agricole e isolate dell’Appenino tosco emiliano, soprattutto in zona Calvana. Si allenano a sparare, fanno saltare tralicci, imparano a tendere agguati, prendono dimestichezza con gli esplosivi. Campi paramilitari in piena regola. Campi che non possono passare in sordina rispetto lo sguardo attento del capocentro del servizio militare. D’altronde è il suo lavoro, e quella la sua zona di competenza. Se lo fanno, passare in sordina, è perché dall’alto qualcuno gli ha detto che quei campi sono OK. Anzi, sono funzionali alla strategia del terrore in atto. Manovali della paura da attivare a comando. Manovali che però bisogna tenere pur sempre sotto controllo.
E è proprio su uno di questi manovali che Barbarossa mette gli occhi. Si chiama Godzilla. Aretino, figlio di un ex parà attivo politicamente nel MSI della Toscana rossa. Soprattutto, durante il periodo di leva ha frequentato più volte il centro d’addestramento Nato nei pressi di Livorno. Gli uomini di Godzilla hanno già provato a rubare esplosivo da alcune cave della zona. Ma soprattutto Godzilla ha iniziato a frequentare la villa di Arezzo del Maestro. Entra illustrando i suoi propositi, esce con borsoni pieni di soldi. Barbarossa attiva i suoi contatti e si fa presentare al Godzilla. Non gli rivelerà mai di essere un agente segreto, ma forse Godzilla l’ha capito lo stesso. Barbarossa se lo fa confidente. Deve dirgli esattamente cosa ha in mente il Maestro, e di riflesso quali sono le azioni che internamente alla Loggia sono state avallate. A differenza del capo del SID, Annibale, e del capo della sezione D di controspionaggio, Scipione l’Africano, Barbarossa non ha la tessera della Loggia. Per tenerselo ancor più vicino lo fa fidanzare con l’infermiera di una clinica privata il cui proprietario era proprio un collaboratore esterno dei servizi e amico personale del Barbarossa. Ciò nonostante Godzilla fosse già sposato con Margherita.
Dalla primavera del 1974 i soldi del Maestro si sono trasformati in ordini: attaccare la linea ferroviaria Firenze-Bologna. Il gruppo di Godzilla, nel quale entra l’empolese Geometra, si attiva. Il primo attentato al viadotto di Vaiano va storto. Nessuna strage. Quello dell’Agosto alla galleria di San Benedetto Val di Sambro va invece a segno. È il gruppo Godzilla – Geometra il vero responsabile della strage. A meno di ordini diversi, quelli di Barbarossa sono di coprire. Coprire ad ogni costo.

I primi duri colpi all’azione di copertura arrivano da chi meno te lo aspetti. Un ex estremista di destra e un ammiraglio legato al golpe del 1969 (forse per pentimento, più probabile per mancanza di disposizioni in merito) fanno sapere ai Carabinieri che dietro gli attentati ci sono Godzilla, il Geometra e due loro subalterni: il Facchino e Dinamite. La notizia arriva immediatamente in Procura ad Arezzo, ma il PM incaricato delle indagini è l’Orso, genero del Maestro e anche lui iscritto in Loggia. Manco a dirlo insabbia tutto.

Il secondo e più grave colpo è un autogol: arriva direttamente dalla sede SID centrale di Roma.
Una tabaccaia nei giorni successivi alla strage riferisce che una cliente ha chiesto di utilizzare il telefono del negozio. La proprietaria l’ha sentita mentre parlava. “L’esplosivo è pronto. A Bologna troverai i passaporti validi per l’espatrio”. La misteriosa cliente viene rintracciata: è una collaboratrice del SID. Ha il suo ufficio proprio nella sede centrale del Servizio a poche centinaia di metri dalla tabaccheria. Dice che stava parlando con la madre, che doveva partire in vacanza e il passaporto era per lei. Ma perché non ha utilizzato allora il telefono del suo ufficio?
Inoltre si verrà a sapere che la signora svolge per il SID il ruolo di agent provocateur all’interno dei gruppi della sinistra extraparlamentare.
Ad insabbiare, almeno giornalisticamente questo secondo colpo, ci penserà allora un senatore della Destra. Dirà che gli è arrivato un bigliettino anonimo con su scritto che l’esplosivo della strage è stato preso da uno scantinato di un edificio di proprietà dell’Università di Roma adibito ad armeria da parte di sedicenti gruppi rivoluzionari della sinistra. L’armeria verrà effettivamente ritrovata. Ma dell’esplosivo nessuna traccia. Anzi, col corso delle indagini si scoprirà che quel covo era sì un’armeria, ma in dotazione a gruppi riconducibili all’eversione di destra. Al Servizio hanno deciso di bruciare un covo pur di appesantire e ingolfare l’indagine.

Il terzo colpo però è quello decisivo e definitivo per il gruppo.
Gennaio 1975, nuovo tentativo di strage nei pressi di Terontola, Arezzo.
Pochi giorni più tardi il Facchino, sodale del gruppo eversivo toscano e operatore ferroviario che la notte dell’attentato era di turno alla Stazione di Firenze (luogo in cui la bomba è stata posizionata sul convoglio), viene fermato dai Carabinieri con armi illegali. Portato nel carcere di Arezzo gli viene confiscata l’agendina e tra questi i numeri telefonici del Dinamite, del Geometra e del Godzilla. Viene perquisita la casa del Dinamite, ex parà e genio guastatori, e con capacità e esperienza per costruire una bomba. All’interno viene ritrovato dell’esplosivo, lo stesso utilizzato per l’attentato di poche settimane prima a Terontola, e un volantino di rivendicazione di un’azione ancora da compiere. Anche lui arrestato. È evidente che almeno la responsabilità dell’attentato di Terontola è loro.

Il tenente colonnello Barbarossa si attiva subito per l’esfiltrazione della sua fonte Godzilla. Lo avverte dell’indagine in corso e Godzilla scappa a Milano, non prima che questi gli dia un recapito telefonico di una cabina affinché la comunicazione tra i due possa continuare. Quando, almeno informalmente, gli investigatori sul caso chiederanno conto al Barbarossa delle sorti di Godzilla lui dirà di non preoccuparsi. Anzi, che sa per certo che ha dichiarato giorno e ora esatti in cui si costituirà al PM di Arezzo per ribadire la propria estraneità ai fatti. Non è vero. Grazie ad un passaporto falso offerto proprio dal Servizio, Godzilla si renderà latitante andando prima in Spagna e poi in Sud America, non facendo mai più ritorno in Italia.
Barbarossa ometterà di informare le autorità della conoscenza della cabina di Milano utilizzata da Godzilla per le chiamate tra loro. L’avesse fatto le autorità avrebbero potuto tendere una trappola e arrestare il latitante.

Ma ancora nessuno ha collegato la tentata strage di Terontola con quella dell’Agosto precedente.
Lo fa o ci prova a farlo Margherita, la moglie tradita e abbandonata di Godzilla. In vacanza in Sardegna viene derubata del portafoglio e senza neppure quei pochi soldi per rientrare a casa si reca dalla Polizia di Cagliari e scoppia in un pianto interrotto. Decide di raccontare tutto, tutte le umiliazioni e vessazioni subite dal marito negli ultimi tempi, le attività illecite di quest’ultimo. Tutto purché l’aiutino a tornare a casa e la proteggano. Già, perché Margherita racconta alle forze dell’ordine che il marito non solo è impegnato in attività eversive ma che il gruppo di cui lui è uno dei capi ha organizzato la strage degli 8 morti l’Agosto precedente, e che questa strage è stata finanziata da uomini molto potenti. Uomini appartenenti ad una Loggia. Margherita fa esplicitamente il nome del Maestro.
Pur parlando dell’attentato di Agosto, ricadente sotto la giurisdizione di Bologna, Margherita viene prima però portata ad Arezzo, competente per le indagini su Terontola. Qui viene ascoltata dal PM l’Orso, il genero dell’uomo che lei accusa. Iscritto pure lui alla Loggia ritenuta dalla teste mandante di quei morti. Il PM Orso, ipotizzando una possibile isteria psichica della testimone, la fa ricoverare in una clinica psichiatrica dove puntualmente viene sottoposta ad intense e immotivate sedute di elettroshock. Il tutto purché stia il più lontano possibile dai magistrati di Bologna e non parli con loro.
Tanto nessuno reclamerà per Margherita. Non il marito, latitante in Sud America e che da li a breve si rifarà una vita, né tantomeno la famiglia. Il padre di Margherita è anche lui un rinomato neofascista toscano e da qualche mese è entrato pure lui nella Loggia.
Al termine del ciclo di elettroshock Margherita non sarà più in grado di parlare.

Tutto ciò gioverà alla latitanza del Geometra, che nel frattempo ha fatto fuori due ignari poliziotti venuti a perquisirlo una notte di Gennaio. Lui a differenza di Godzilla ha scelto di non fuggire. È disposto ancora a combattere

Magari nella clinica dov’è stata ricoverata margherita operava il professore nero :asd: ?

Non risulta dalle carte. Visto che quel personaggio lì era il maggior perito di tutti i tribunali all’epoca non è escluso possa aver periziato anche l’inaffidabilità e la malattia mentale di “Margherita” per una sua possibile testimonianza. Testimonianza che comunque non avvenne sia perché Margherita rifiuterà, essendo la moglie di un imputato poteva, sia per le pressioni del padre di lei. La stessa dinamica avverrà para para in un’altra strage anni dopo.

Ma sia di questa seconda strage, che del tuo professore nero, parleremo eventualmente in una seconda serie del Maestro e Federico. Dove tutti questi personaggi, soprattutto i nostri due protagonisti, si intrecceranno di nuovo in maniera clamorosa :asd:

9. Caccia all’uomo
Freddati gli agenti che solo pochi minuti prima erano stati accolti in casa propria, è per il Geometra il momento di darsi alla fuga. Prepara con sé un borsone al volo, pochi vestiti, probabilmente qualche documento, sicuramente qualche arma, tra cui la sua Walther P38. Pistola feticcio che tanto gli riporta alla mente il Terzo Rech da aver dato al figlioletto lo stesso nome. L’altra, una bambina, dovrebbe nascere da lì a breve. La moglie incinta e piangente si presenta in diretta tv sulla rete nazionale implorando il marito di costituirsi.
Costituirsi però non rientra nel pensiero del Geometra, che anzi decide di continuare l’azione. Si rifugia per le prime settimane sui monti della Garfagnana, protetto da una rete di complici. Tramite contatti con la moglie del Facchino, già agli arresti, ordina ai camerati in carcere di non dire una parola sull’indagine più scottante, quella dei 12 morti. Per depistare, o sferrare un nuovo colpo allo Stato, chiede anzi un nuovo attentato ai treni. Cosa che verrà eseguita nell’Aprile del 1975 quando un altro ordigno all’altezza di Incisa Val D’Arno farò saltare in aria mezzo metro di binario senza però provocare un deragliamento del treno passante.
Fallito il nuovo attentato al Geometra non resta che chiedere l’aiuto dei vertici di Ordine Nuovo. I quali attiveranno il solito programma messo appunto già da metà anni sessanta e previsto ogni qualvolta la lunga mano della Giustizia si sarebbe abbattuta su una propria pedina della guerra non ortodossa: l’esfiltrazione verso il regime franchista in Spagna prima e nei regimi sudamericani poi. Qui gli esuli avrebbero poi potuto offrire i loro servigi ad autorità e servizi segreti locali, impegnati nella repressione e l’eliminazione fisica dei dissidenti. Un paradiso offerto dalla Loggia del Maestro che, tra intrallazzi, affari, e trame politiche varie era riuscito a farvi iscrivere una buona parte dei dittatori del tempo.
Probabilmente però il Sud America non era meta gradita al Geometra che preferiva ancora l’Europa. Così i vertici di Ordine Nuovo da Milano chiamarono Pisa e ad un camerata del posto, il Bracciante, un semplice fiancheggiatore del gruppo, fu incaricato di stargli appresso, fornirgli una casa sicura e fare da tramite con i vertici dell’organizzazione in attesa che arrivassero i documenti falsi e la logistica della latitanza fosse messa a punto.
È forse per procurarsi soldi in vista della latitanza che al Geometra viene la bella idea di fare una rapina. Proprio in casa sua, all’ufficio postale di Empoli. Si fa prestare la macchina dal Bracciante, e con un passamontagna in testa entra nell’ufficio minacciando la direttrice pistola alla tempia.
“Ma Geometra è lei?”.
La direttrice non solo lo riconosce ma gli fa cenno pure che l’unico funzionario con le chiavi della cassaforte se l’è data a gambe all’aria non appena ha visto entrare il rapinatore. Il goffo colpo si conclude a mani vuote e con il Geometra costretto di nuovo alla fuga.
I documenti comunque arrivano. A procurarglieli personalmente è il Serpente, uno del suo gruppo che però è in contatti stretti anche con quelli di Verona, quelli che prendono ordini direttamente dal comando Nato FTASE. Il Geometra si imbarca prima per Ajaccio e poi per la Costa Azzurra, altro luogo di ricchi intrallazzi per la Loggia. Qui, in Costa Azzurra, il Geometra avrà a disposizione una lussuosa villa e sarà descritto da vicini come un uomo mite e schivo.
Per sviare le forze dell’ordine che gli stanno dando la caccia, il mitragliatore con cui il Geometra freddò i tre agenti verrà fatto ritrovare su un treno passeggeri fermo alla stazione di Firenze e in partenza verso il sud Italia. Un gesto depistante per far credere che il latitante stia cercando rifugio al sud e tenere libere da controllo le frontiere con la Francia. Depistare collocando armi all’interno di un vagone ferroviario. Chiunque l’abbia fatto deve averla trovata una soluzione geniale tanto da riproporla, ma con esiti più nefasti, qualche anno più tardi.
La caccia all’uomo, depistaggi e coperture a parte comunque continua. Da parte almeno di quelle forze dell’ordine ancora fedeli alla Costituzione. Ora, la goffa rapina all’Ufficio Postale di Empoli fu un boomerang clamoroso per il Geometra. Durante la maldestra fuga alcuni testimoni segnarono la targa dell’auto. Auto che si era fatto prestare dal Bracciante, suo fiancheggiatore durante la latitanza italiana. Fu facile per la Polizia arrivare a quest’ultimo e inchiodarlo alle sue responsabilità. Prima reticente, poi costretto chissà da quali pressioni durante i duri interrogatori, il Bracciante crollò. Rivelò il nascondiglio del Geometra in Costa Azzurra e confessò che oltre l’attentato di Terontola e Incisa Val D’Arno il gruppo toscano era responsabile almeno anche dell’attentato di Vaiano, Febbraio 1974, fin lì restato fuori dalle indagini.Fuori dalle indagini restava anche l’attentato più grosso, quello dell’Agosto 1974. Ma non per molto.

Dicembre 1975, carcere di Arezzo.
Da mesi il Facchino e Dinamite sono rinchiusi per i vari episodi dinamitardi alle linee Firenze-Bologna. Chi li protegge dall’alto sta facendo del tutto però per tenerli fuori da quello più importante. Il Facchino inizia a scambiare confidenze con alcuni estremisti di sinistra, anche loro al gabbio per altri reati. È con loro e non con i suoi camerati che il Facchino riesce più a sfogarsi e a confidare le proprie paure. Da un po’ di tempo teme infatti che qualcuno voglia farlo fuori perché sa troppo. Il Facchino confessa la propria responsabilità per tutti gli attentati e rivela che dietro quelle azioni si celano insospettabili uomini potenti che li hanno sovvenzionati. I due comunisti convincono il Facchino alla fuga affinché fuori dalle mura carcerarie possano andare da un giornale e rivelare la grande macchinazione.
La fuga si fa ma all’ultimo il Facchino si tira indietro. I due comunisti comunque evadono lo stesso e una volta raggiunta la redazione di un importante giornale raccontano questa sconcertante verità, portando a mo’ di prova anche un diario che il Facchino ha raccolto durante i mesi di prigionia. La bomba, questa volta mediatica, è esplosa e nemmeno più gli uomini della Loggia possono proteggere il gruppo toscano.

Il blitz in Costa Azzurra intanto è scattato.
Il commissario di Polizia di Empoli e il Questore di Firenze riescono ad ottenere il mandato dalle autorità francesi oltre che il permesso di partecipare direttamente all’operazione. Individuata la villa, poliziotti francesi e italiani fanno irruzione. Quel che successe resterà un mistero. Non si sa chi abbia aperto prima il fuoco. Forse il Geometra, sentendo quei passi veloci alla porta, ha capito che la sua ora era giunta e ha deciso di andarsene da eroe, impugnando la sua amata Walther P38 e sparando contro tutto e tutti. Forse ai primi colpi la polizia francese che giocava in casa ha reagito. Forse sono stati gli italiani che non lo volevano vivo? Fatto sta che il Geometra viene crivellato da un’infinità di colpi. Si attende l’arrivo dell’autorità mortuaria. Poi qualcuno osserva meglio, respira ancora.
Il Geometra sarà trasportato al primo pronto soccorso disponibile, lì operato d’urgenza, curato, e dopo qualche mese prima rispedito in Italia e poi incriminato per i 12 morti dell’Agosto 1974. Ma la scia di sangue e la lotta del Geometra al servizio della causa Nera non si sarebbero fermati quel giorno. Anche dal carcere la sua vena omicida non si fermerà. Ucciderà e chiederà che si venga ucciso. Qualcuno gli farà giungere la notizia, che gli inquirenti avevano giurato restasse riservata, che a “tradirlo” fu il Bracciante. Prendendo la parola durante una delle udienze del suo processo dichiarerà davanti giornalisti e stampa:
“Chiedo che l’infame Bracciante ottenga ciò che meriti. Ogni infame che ha tradito dovrà pagare caro”.
Una minaccia ai tanti guerriglieri della guerra non ortodossa, consapevoli o meno, che stavano iniziando a parlare davanti ai magistrati.

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Luglio 1982
l Bracciante ormai fuori dai giri ha provato a rifarsi una vita. Prima in Germania, poi nell’azienda di suo suocero. Un lavoro umile che gli consente comunque di portare avanti la sua famiglia. Da quando però il Geometra ha fatto quella dichiarazione a mezzo stampa ha paura, non esce più di casa. Sa che la vendetta di Ordine Nuovo aspetta solo di essere compiuta.
È la sera di Germania-Francia, semifinale dei mondiali di Spagna. Il Bracciante sta guardando la tv in un bar di Pisa insieme alla sua famiglia. A fine primo tempo, mano nella mano col figlioletto, si incammina verso un gelataio per prendere a questo un gelato. D’improvviso si trova due giovani che scesi da una moto lo freddano davanti gli occhi del figlio.
Poche ore dopo ad un quotidiano locale arriverà una telefonata: “Siamo gli amici del Geometra. L’infame è stato giustiziato”.
A sparare però è stata una nuova sigla degli ambienti eversivi di destra: Gli Spontaneisti. Dicono di non avere nulla a che fare con la vecchia destra collusa con il Potere e i servizi segreti. Eppure hanno appena effettuato, e effettueranno ancora, quello che essi avevano ordinato. Ma questa è un’altra storia

Salta un pezzo dei binari e il treno non deraglia?

Come scritto in un precedente episodio, intervenne un sistema di sicurezza automatico che bloccò il treno.
Almeno così stabilirono le perizie dell’epoca

10. Le mani sulla nazione
Il 1974 si abbatté come un uragano sui maggiori attori della nostra storia, facendo naufragare i propositi di qualcuno, costringendo a modificare in corsa per non annegare quelli degli altri.
A decidere dei sommersi e dei salvati sarebbe stato il Divo.
Venute alla luce a Lisbona gli archivi della fantomatica agenzia di stampa internazionale che aveva reclutato, addestrato, e offerto supporto logistico ai terroristi neri nostrani, il Guerrigliero, il direttore della “Polizia politica” Lucullo, e i movimenti di estrema destra Ordine Nuovo e A.N. risultarono particolarmente compromessi. Il Guerrigliero si diede alla latitanza in Sud America, dove oltre a lavorare per i servizi segreti cileni, argentini e boliviani, si organizzò per l’esfiltrazione degli altri camerati. Lucullo, essendo de facto il raccordo operativo tra la CIA e le istituzioni italiane, non poté essere né licenziato né tantomeno incriminato. Fu mandato a dirigere la Polizia di frontiera. Un modo come un altro per mettergli un freno restando comunque operativo. Sarà difatti d’obbligo per ogni nuovo ambasciatore statunitense o nuovo direttore Cia in Italia essere invitato in uno dei rinomati pranzi organizzati da Lucullo prima di prendere l’incarico.
Il Partigiano Franco fu arrestato per qualche giorno per l’organizzazione del suo tentato golpe. Il Divo mandò però le carte del processo al Tribunale di Roma, il Porto delle nebbie, dove controllando alcuni magistrati suoi amici stretti riuscì a far arenare l’inchiesta in un nulla di fatto.
Al colonnello Profeta spetteranno svariati giorni di carcere e una lunghissima sequela di indagini a suo carico che ne stroncheranno la carriera. Sarà comunque riutilizzato dai Servizi come informatore nei movimenti di destra.
Erodoto e Tucidide riusciranno a scampare alle indagini sulla strage di Brescia almeno per diversi anni a seguire.
Il Geometra, il Facchino e Dinamite saranno processati per gli attentati ai treni. Il Geometra continuerà ad uccidere nelle carceri informatori e presunti collaboratori di giustizia.
Godzilla, grazie all’aiuto fornitogli dal tenente colonnello Federico Barbarossa, riuscirà a rimanere latitante in Sud America e rifarsi una vita.

Chi riuscirà ancora una volta a non affogare grazie alle proprie picaresche abilità è il Maestro. Anzi, se c’è un vincitore fin qua in questa storia è proprio lui.
Le dimissioni oltreoceano del presidente americano, travolto anch’egli da un proprio scandalo, fecero venir meno i presupposti per un’insurrezione armata stile Grecia 1967. La caduta dello stesso regime greco e di quello portoghese poi, rendevano improponibile un governo autoritario speciale seppur temporaneo in Italia. Per il nostro paese c’erano in programma nuove soluzioni più sottili e meno drastiche. Una presa del potere bianca, senza golpe (il che non vuol dire senza spargimenti di sangue), senza deportazioni di presunte quinte colonne di Mosca, senza fanfare di militari e soprattutto senza leggi speciali che mettessero fuori legge determinati partiti. Il potere non andava preso ma controllato. Accaparrandosi poltrone chiave, favorendo nomine solo dei propri protetti, garantendosi l’assoluta lealtà di chi avrebbe ricoperto ruoli chiave nel paese. E per fare questo c’era già una struttura idonea: la Loggia.
Essere iscritto alla Loggia avrebbe rappresentato la patente di atlanticità e fedeltà ai programmi dell’alleato occidentale. Una valida lista da cui pescare nomi e andare sul sicuro. Un ruolo contemporaneamente di burattino e burattinaio che il Maestro avrebbe accettato di buon grado. Prima però bisognava prendere il controllo totale della Loggia.
Il Vicepetroliere (a cui abbiamo già accennato nell’episodio 3) dopo un alterco imprenditoriale con la famiglia torinese più importante di sempre si era ritirato a vita privata in Svizzera lasciando l’intero comando della Loggia nelle sole mani del Maestro. Nel frattempo però, questi aveva dovuto ingaggiare una battaglia col Vecchio Maestro della Loggia e la restante parte della Massoneria italiana restia ai poco nobili intenti della Loggia. A suon di ricatti il Maestro uscì vittorioso da questa battaglia, ottenendo nel 1975 il riconoscimento della propria loggia come “coperta”.

Per quanto riguarda i movimenti Ordine Nuovo e A.N., messi fuori legge grazie ad un provvedimento del magistrato Occhio Lungo, nel mutato scenario italiano il proprio ruolo originario veniva meno. Non veniva più chiesto loro di colpire nel mucchio (attentati a treni, piazze, stazioni, i cui botti avrebbero poi dato il pretesto per azioni di forza da parte dei militari) ma c’era comunque bisogno di colpire singoli elementi d’intralcio alla “presa bianca” del potere. Ecco che tali movimenti riunitesi in uno storico incontro nel 1976 decisero di sciogliersi e frammentarsi, almeno all’occhio dei media, in tanti piccoli gruppi, apparentemente anonimi e isolati, tali da non far ricondurre ad una regia comune. Lo stragismo sarebbe stato relegato ai soli movimenti di sinistra, provocandoli e attendendosi da essi una reazione o addirittura infiltrandoli direttamente.

Il magistrato Occhio Lungo aveva allungato il suo raggio d’investigazione mettendo gli occhi proprio sulla Loggia e sul Maestro. Aveva notato che l’intera cifra del riscatto del rapimento del figlio del braccio destro del Maestro era servita per la compravendita di un palazzo di rappresentanza per gli affari internazionali (Sud America) della Loggia. Com’erano finiti i soldi dai rapiti ai rapitori e di nuovo ai rapiti?
Occhio Lungo convocò il Maestro in Procura ma non fece in tempo ad incriminarlo. In una splendida villa con piscina della Sardegna i vertici di Ordine Nuovo si riunirono con urgenza nell’estate del 1976. Un ordinovista romano, il Topo, fu richiamato dalla Spagna per mettere a tacere il magistrato. Gli tese un agguato in pieno centro e dopo averlo freddato rubò scientemente la sua borsa con dentro documenti sull’inchiesta sul Maestro. Dopo la solita fuga e ospitalità in Costa Azzurra, il Topo rientrò in clandestinità in Italia, a Firenze, per far fuori il magistrato fiorentino Della Vite che stava indagando proprio su di lui e sul suo attentato ad Occhio Lungo. Il Topo riesce ad ottenere la complicità di alcuni frati e progetta di mimetizzarsi anch’egli da frate, rinchiudersi in un monastero fiorentino e con tale travestimento tendere un agguato proprio al magistrato Della Vite.
A questo punto entra in gioco il tenente colonnello Federico Barbarossa. Dai suoi contatti riesce a conoscere le intenzioni del terrorista e le sue mosse. A differenza però di quanto accaduto con Godzilla questa volta sceglie di agire. Vuoi perché non approva più tali metodi, vuoi perché il Della Vite esattamente come lui è di buona e aristocratica famiglia e suo amico e compagno di caccia. Il Barbarossa fa arrivare alla Procura di Firenze l’informazione su dove si trovi il Topo. Questi viene quindi arrestato e sbattuto in cella, la stessa accanto a quella del Geometra.

I legami tra il Topo e la Loggia non verranno mai giudiziariamente approfonditi, ma tant’è, l’arresto del Topo è il primo piccolissimo colpo accordato in carriera dal Barbarossa al Maestro dal suo arrivo a Firenze.
Stiamo a metà anni settanta. Dal suo ufficio del capoluogo toscano il Barbarossa, impotente, assertivo o costretto da forze maggiori, non può far altro che vedere la rapida ascesa del Maestro.
Il Maestro sta per prendersi l’Italia. Ma è ancora il momento di tacere e assecondare

Cosa pensava il resto della massoneria italiana della loggia? Erano in competizione?

Che non era una vera loggia ma più un poltronificio :asd:
Gli iscritti, sicuramente più dei 600 di cui si vorrà far credere successivamente, non si incontravano quasi mai e vi era una scarsa attenzione anche agli aspetti più formali e folkloristici della ritualità massonica.
Ho dovuto essere sintetico sennò non se ne finiva più, ma nel post 1974 il Vecchio Maestro prova ad esautorare il Maestro dalla Massoneria. Nei circoli massonici internazionali, (i.e. americani e britannici) questa scarsa attenzione alle formalità, unità soprattutto alla partecipazione del Maestro alle operazioni eversive descritte nel racconto, generano scalpore e danno una sorta di “via libera” al Vecchio Maestro per sbarazzarsi del Maestro. A questo punto il Maestro si dimette, ma grazie all’appoggio della politica nazionale e internazionale, riesce in una sorta di colpo di stato interno alla Massoneria italiana. Il Vecchio Maestro così si arrende e fa rientrare il Maestro in Massoneria, concedendo alla Loggia poteri speciali e il grado di loggia coperta, con la possibilità cioè del Maestro di non comunicare i nominativi dei nuovi iscritti