Siamo degli "scrittori"?

ok facciamo un 3d dove si postano SOLO i link ai racconti che avete scritto.
In altri 3d si può discuterne

Iniziamo con
The Magnificent ed il suo racconto
http://www.3wstyle.net/public/files_upload/utenti/magnific/Albero.doc
e con il sottoscritto ed il mio raccontino
http://www.neteditor.it/opere/leggi.php?opera=14547

suggerimento per gli scrittori:
www.neteditor.it vi pubblica online i racconti proteggendoli con copyright
Oro Nero. Un piccolo racconto di fantascienza
Umilmente sarei un poeta... posto lo stesso?


Non vedo quale sia il problema.

concordo.. posta ...posta
bello sto 3d! dopo le vacanze contribuirò!
Ok, ma non distruggetemi!




Al mio amore


Ti ho amata, come amano i poeti.
Ho voluto vedere oltre l’apparenza,
oltre le tue follie, i tuoi malumori.
Oltre l’incanto biondo ho trovato…
una valle fiorita e sterminata,
su cui il vento sfiorava con le sue dita dolci,
e da cui sgorgava il profumo dell’amore,
e la mattina era diversa da quella precedente,
la notte gridava di dolore ed io ti cullavo.

Ti ho amata, come nessuno ha mai avuto il coraggio di amarti.
Mi sono imposto di entrare nella tua anima,
e vedervi l’universo intero e il miele che sgorgava,
ho sciolto le tue catene e me le sono addossate,
ho sofferto il freddo e la febbre ardente d’amore,
e quando mi abbandonavi, mi rifugiavo nella poesia,
dedicata ai sorrisi che mi regalavi ogni tanto,
quelle dolci mattinate a stringerci nel calore di un abbraccio,
e di un timido bacio inesperto, soffiato con inusitata dolcezza.

Ti ho amata, come un nessuno sa più amare,
come neppure il tuo principe ha mai saputo amarti,
ho conosciuto uno stadio pieno di tifosi diversi,
che gridavano mille verità, e tu eri al centro del campo.
Lì ho cercato di raggiungerti, ho annaspato e sono rimasto ferito,
ancora una volta, siamo riusciti a stringerci e ancora una volta…
ho rivisto il tuo sorriso dolce ed assaporato le tue labbra.
Abbiamo scritto insieme, abbiamo dato alla luce dei figli,
che nessuno vedrà mai morire, e sono tutti nostri.

Ti ho amata, come il sole ti riscalda la pelle bianca,
e la luna ti culla un po’ mentre hai paura la notte.
Ho sempre parlato nella mia vita, detto insulsaggini,
ma con te ascoltavo solo. Ore e ore imparavo a conoscerti,
ed anticipavo da veggente tutte le tue parole seguenti,
le leggevo dai tuoi denti bianchi, quando mi sorridevi,
mettevi l’accento sul mio amore e lo esaltavi.
Ho vissuto con te una felicità che è pari solo al dolore,
che mi hai dato nel lasciarmi.

Ti ho amata, come una freccia appena scoccata ama il suo bersaglio,
e il mio bersaglio era il cuore sensibile della donna che amo ancora,
con la quale mi sono illuso di poter dividere la vita,
per la quale ho lottato più di Davide contro Golia,
e sarei stato capace di lottare ancora, senza mai fermarmi.

Ti ho amata, e ti amo ancora, sono folle.
Forse non meriti il mio amore, forse dovrei cancellarti,
prendere la candela che arde del mio sentimento puro e delicato,
metterla in un angolino, ed aspettare che il vento della notte senza luna,
la porti via, come la morte porta via i parenti più cari,
e come tu sei scappata via da me.

Ti ho amata, senza una ragione precisa,
senza chiedermi troppo, senza pensare.
Tanto biondi erano i tuoi capelli e tanto chiare le tue carni,
che mi accecasti come Dalila fece a Sansone.

Ti ho amata, mentre gettando un urlo contro il cielo,
gridavo alle stelle le mie angosce,
e piangendo scrivevo le mie poesie più belle,
guardavo le tue foto in cui eri incantevole,
trovavo parole così astruse e balorde,
che solo la follia dell’amore perso poteva affibbiarmi.
Il destino scherza con me, e per questo tu non le leggerai mai.

Ti ho amata, essendo l’uomo che ti conosce di più,
e sa le cose che nessuno conosce,
le tiene strette al cuore come un fazzoletto abbandonato,
camminando sotto la pioggia nera in una giornata inutile,
e respira i tuoi sorrisi e sente i tuoi pensieri,
su quei gradini di pietra che sono stati il nostro nido.
Ed ora scrive ancora, mentre dovrebbe odiarti.

Ti ho amata, quando avrei dovuto odiarti.
Ma quel tuo viso imperiosamente reclama amore,
le mie dita sul tuo corpo era tanto leggere,
che spesso mi chiedevo se ti toccavo o sognavo,
e i tuoi baci così dolci, che pareva di mangiare miele.
Così come un contadino coltiva al terra e aspetta il raccolto,
io attendo la buona stagione ho raccolto solo amarezza.

Ti ho amata, ma tutto il mio amore ora è sofferenza.
Tanto più io sono stato felice, quanto più ora sto soffrendo.
Non ho avuto la forza di tenerti con me nel mio tenero mondo,
così tu sei scivolata via dalle mie dita, e fuggita nella realtà.

Ti ho amata, e a volte mi chiedo se anche tu l’hai fatto.


Fabio86
Il mio sito personale
Dopo Natale spero di potere contribuire anche io (sempre che rispetto i tempi prefissati)
nn sono uno scrittore ...solo ogni tanto quando sono la pc mi viene voglia di buttare giu qualcosa (che inizio e ovviamente nn finisco mai...)

bè...questo è uno di quei pezzi:

Piove….come sempre…..Dal piano di sopra giungono le grida di due persone che stanno litigando e dalla portineria sale un fortissimo odore di cavoli che si mescola al delicato profumo di umido e muffa delle scale creando improbabili miscugli di odore di bosco marcio e fogna intasata. Mentre fuori….bè fuori…non è diverso da tutti gli altri giorni: piove, centinaia di macchine si ammassano nelle strade in un concerto di clacson e motori con qualche assolo di scooter o sirene di ambulanza che rompono la monotonia e altrettante centinaia di persone si accalcano nelle entrate della metropolitane o dei fast food. Non è cosi brutto come sembra, devi soltanto farci l’ abitudine.

Anno 2008 , ottobre, un giorno qualunque.

Avete presente “Blade Runner”? Bè, oggi è praticamente lo stesso, il cielo sembra una coperta di piombo che avvolge la città e la pioggia incessante ti tiene chiuso in casa più di quanto vorresti, sembra quasi consigliarti di non mettere il naso fuori dalla tua porta, in quello schifo di mondo che c’è la fuori. “Stattene fuori ragazzo, è meglio per te.”
Purtroppo non ho imparato in tempo ad ascoltare i consigli della pioggia e una volta aperta la porta quello “schifo di mondo” entra dentro. E ci resta.
Ma veniamo a me: probabilmente vi starete chiedendo chi sono, cosa faccio qui… se devo essere onesto è quello che mi sto chiedendo anche io, tutto quello che vi so dire è dove mi trovo, non perché. In fondo, ora, non ha molta importanza.
Al momento mi trovo in una stanza, un ufficio, al secondo piano di un vecchio palazzo che sa di cavoli e muffa. Uno dei due litiganti se ne è appena andato sbattendo la porta e continuando a imprecare per tutte le scale e il concerto proveniente dalla strada, grazie ad un autista particolarmente ignorante di come si guidi in questa città, si è arricchito di svariate decine di clacson. Il resto è rimasto esattamente come qualche paragrafo fa.
Mi guardo intorno.
La poca luce fredda e pallida che passa attraverso i vetri delle finestre e lo strato di unto e sporco che li ricopre è appena sufficiente a distinguere un paio di schedari e una libreria alle pareti, straripanti di libri, vecchie rivisti, cartelle e fascicoli ricoperti di polvere. Davanti a me, al centro della parete c’è una porta con un vetro decorato e davanti a lei, vicino alla parete opposta c’è una grossa scrivania di legno anche lei ricoperta di fogli, audiocassette, libri, penne e cd. Su un lato della scrivani troneggia lo schermo a cristalli liquidi di un computer mentre sull’ angolo opposto, semisepolto da un fascicolo aperto c’è un telefono nero; sotto la scrivania, probabilmente, si troveranno il computer e una stampante/scanner/fax piuttosto voluminosa e anch’essa nera, a giudicare dallo scatolone di cartone con la sua foto e il nome della marca sopra uno degli schedari.
Dietro la scrivania, probabilmente ve la sarete gia immaginata, c’è una grossa poltrona girevole di pelle imbottita piuttosto invitante, peccato che sia occupata da un uomo sulla quarantina chino sulla tastiera. La luce azzurrognola dello schermo gli illumina la faccia creando un effetto quasi spettrale: i lineamenti duri e segnati dal tempo o da una vita non proprio rilassante e l’ espressione è quella che le persone normali preferirebbero vedere sulla faccia di un amico, che su quella di un nemico.

c'ya
yarrick

pork!! ...nn ho letto un tocco ti topic... comincio bene!
zorry
Ebbene, eccomi qui, come promesso (da mooolto tempo). Sfogatevi pure.

Poteva sentire soltanto il battito del suo cuore rombarle nelle orecchie, da dentro. Colpi furiosi, attutiti dal sangue che pulsava dolorosamente nelle vene della gola, impedendole di respirare come avrebbe dovuto. Corri, continua a correre. Dio, ti prego! Poteva sentire in bocca l’aspro gusto della paura più primitiva e selvaggia che avesse mai provato. E correva. Correva all’impazzata da poco, le sembrava. O da cento anni. Le gambe le dolevano fino a farla urlare, e l’avrebbe fatto se soltanto il terrore non l’avesse obbligata a respirare con tutta l'anima per sostenere il ritmo di quella folle corsa infernale.

Si voltò, nel futile tentativo di provare a sé stessa che in realtà si trattava di incubo, di un parto malato della sua troppo fervida fantasia. Non lo vide, ma sentì con certezza che lui era lì dietro, da qualche parte: si stava soltanto divertendo, prolungava il gioco che lo elettrizzava così tanto. Bastardo! Ma non si azzardò a urlarglielo; avrebbe voluto, ma non doveva sprecare fiato. Doveva correre. Correre. Scappare. Salvarsi.

Era ancora voltata indietro quando il suo piede sinistro affondò nell’aria vuota. Non fece in tempo a fermarsi. In un attimo lo stomaco le balzò in gola, i pensieri le turbinarono in testa con l’orrenda consapevolezza di star cadendo. L’impatto avvenne assai più presto di quanto avesse immaginato, poi esplose il dolore.

In un istante seppe di non poter più camminare, ma tentò ugualmente di alzarsi: doveva farlo. Le braccia le tremarono per lo sforzo, ondate di dolore le trapanarono il cranio. Sangue. Non importa. Alzati. Ricadde a terra: era completamente sudata per lo sforzo e ansimava per riprendere fiato. Sentì le lacrime salirle agli occhi e si morse il braccio nel tentativo di soffocare i singhiozzi: non doveva piangere, non doveva arrendersi. Non ora. Una specie di basso ringhio disperato le salì dalla gola mentre affondava sempre di più i denti nella sua carne. Quel dolore le ridiede forza.

Riuscì a tirarsi a sedere.

Lui era lì.

Vide che ridacchiava, fissandola, mentre le parlava. Oh quanto doveva piacergli il suono della propria voce!. Era null’altro che un’ombra indistinta, sfocata, nella quale gli occhi brillavano come schegge di malvagità. Che sciocca sono stata. Lui mi ha spinta qui, come un ragno che dà la caccia ad una mosca.
Il freddo bagliore del coltello accese il buio, ma non ebbe paura, non più: la paura serviva finché poteva salvarmi la vita.

Le vene della gola pulsavano ancora prepotentemente quando la punta tagliente le incise con crudeltà metodica. L’ombra si tinse di vermiglio sempre più cupo.

Gli ultimi istanti della sua vita furono orribili. Volle dimenticarli.

Poi vi fu solo il buio.
Testo non mio ma di un mio amico scrittore alle prime armi e sprovvisto di internet, io fornisco l'account qua e sull'upload

http://www.3wstyle.net/public/files_upload/utenti/alabarda/Richtet.pdf
Eccomi

Pensieri Artificiali
Paranoia nera
Lettino
Tagliaossa
Nuvole

(Harukina!! )


Ecco un vecchio tentativo di racconto a cui sono molto affezionata...nel Gennaio del 2003 comparse sul Writakomio..


21.01.2003 h: 01:40


THe FRaGiLE

Era uno di quei giorni in cui le ore potevano scivolargli addosso come rivoli d'acqua su una parete di nuda roccia nera.
Certo in giornate come quella lui della roccia non aveva proprio nulla. L'aspetto magari, ma non la consistenza.
Era come se, ogni volta che accadeva, tutto ciò che di più plasmabile, di più intimo, di più...fragile risiedesse in lui tornasse ad emergere senza alcun preavviso cospargendolo di una maledettamente familiare VULNERABILITA'.
Era uno di quei giorni che una volta superati si convinceva non tornassero più. Ed invece eccolo lì: l'anima di nuovo nuda nel vento di un inverno ipnotico.
Non avrebbe più smesso di guardare la Luna, quella sera.
Osservava i suoi stessi passi nel freddo della solita buia via e sapeva che sarebbe stato meglio non alzare lo sguardo.

Aveva sulla punta delle dita gli impulsi delle azioni represse. Tra i capelli le carezze non ricevute. Sotto i piedi per qualche minuto pavimenti che avevano ormai dimenticato le sue orme. Tra le braccia un calore solo immaginato.
Nella mente stordita una lucidità che faceva male. Ed in fondo al cuore...una paradossale consapevolezza che, sebbene non sarebbe mai riuscito a comprenderne il motivo, lo riempiva ad ogni respiro di un qualcosa di simile alla saggezza.

Era facilmente eccitabile..o forse era già eccitato. Era corruttibile, era esposto.
E fu lì che si chiese di cosa aveva bisogno.
La risposta era sempre stata lì, ma sapeva che sarebbe stato meglio non alzare lo sguardo.


(to be continued)



Ovviamente, non è mai stato "continued".
'Come quella notte', piccolo racconto:

http://yossariandude.altervista.org/come.doc
Racconto





Due giovani in una macchina, lui l’aveva portata lì per commuoverla e renderla più dolce e malleabile ai propri desideri, ma ad un tratto qualcosa cambiò. Fuori dalla macchina la notte, un’informe massa nera, incombeva su tutto. Su di essa si soffermarono gli occhi di entrambi e poi, alla ricerca della sicurezza della luce, si alzarono al cielo. Non una nube schermava lo spettacolo. Luci di stelle che forse non c’erano più punteggiavano la volta celeste, ed era uno spettacolo maestoso. "Che bello" sfuggì di bocca a lei.

Uno scienziato, come ogni sera, puntò il telescopio. Un breve ricontrollo sulla carta astrale che teneva fra le mani, ed i suoi occhi si avvicinarono all’oculare. Obiettivo Beta Storionis, una stella lontana. Dopo alcuni minuti di osservazione i suoi occhi si sentirono stanchi. Lo scienziato si abbandonò all’indietro sulla sedia. Ma cosa stava studiando, in realtà? Se lo chiese. Solo un granellino di polvere, un’infima parte della galassia, quell’enorme e mirabile architettura che l’uomo, dopo decenni di studio, non conosceva ancora del tutto. E si rese conto del lavoro futuro, enorme, incalcolabile, per raggiungere gli intimi recessi dell’universo. Lo scienziato, scuotendo la testa, tornò al lavoro.

Un poeta poltriva placidamente sulla sdraio del terrazzo, rifuggendo il calore eccessivo dell’appartamento. Maledetto riscaldamento, sempre rotto, imprecò fra sé e sé. Si sdraiò del tutto, rilassandosi, chiudendo gli occhi. Poi fissò il cielo. Una poesia non veniva. Nonostante tutto, nonostante la coreografia degna del più grande dei registi, nonostante lui si sforzasse alacremente per farsi venire un’idea. Non veniva, non c’era niente da fare. L’ispirazione viene da Dio, si disse fra sé e sé, da qualche punto lontanissimo dove l’uomo non può arrivare. Povero fantoccio, mortale e stupido, pieno di invidie e cattiverie, furioso, iracondo, attaccabrighe. Inutile e vano. E pensava a queste cose mentre scivolava dolcemente nel sonno.

Un uomo solo, in un appartamento in disordine, guardava la televisione. Il richiamo dello stomaco lo portò al frigorifero. Fuori dalla porta-finestra stava il mistero del mondo, in attesa. La porta cigolante del frigo si aprì.

Poi, quasi per caso, quasi per guardarsi intorno, gli occhi si voltarono e lo sguardo volò oltre il vetro, nel cielo tempestato di fiaccole accese. L’uomo chiuse la porta del frigo e si avvicinò al vetro. Il mistero del mondo stava là fuori, pervadeva ogni cosa, niente si salvava da esso, niente era chiaro, ogni cosa aveva un segreto, piccolo o grande, e soprattutto il cielo. Il cielo. E d’improvviso l’uomo si trovò a notare con stupore quante poche volte si alzano gli occhi al cielo. Tutti indaffarati nelle nostre insulse occupazioni, nei nostri impegni, nelle nostre bricioline da trasportare, non abbiamo un minuto, un secondo, per capire quanto insignificanti siamo, anche soltanto per ammirare lo spettacolo più bello, il nostro mondo. Che stupidità.

La porta del frigorifero si aprì ancora, la mano si avventurò alla ricerca della lattina fresca di una bibita.



Dio decise che era il tempo di andarsene a dormire. Era un peccato che quella sera solo quattro persone Lo avessero guardato. Loro, che Lo cercavano dovunque, non si aspettavano certo, gli uomini, che fosse così vicino.

E bastava solo alzare gli occhi…

Dio si ritirò dal cielo e si sdraiò nel suo letto, che poi era Lui, sospeso nel bel mezzo dell’universo, che poi era Lui.

E le luci, sulla terra, a poco a poco si spegnevano.


11/12/1999

Nota dell’autore: Mi sento di dover ringraziare una persona che, oltre ad essere stata gentile con me (non so ancora come ha fatto a non darmi una palata sui denti), ha voluto leggere i miei racconti e darmi il suo parere.

Come segno della mia riconoscenza, ho deciso di dedicare questo racconto a lei.

Molto molto in fase bozza ma ecco i tre raccontucoli
http://spaces.msn.com/members/alepanzetta/?partqs=cat%3DRacconti&blogpart=blogview&_c=blogpart

BackDoor Man: fanta-informatica
Scorcio di vita in tribù: fantascienza incrociata a real life di quel periodo. Ispirato dal gioco StarSiege Tribes
Vecchia amica: racconto di un incontro "particolare"

Ho letto per intero solo 'vecchia amica'. Devo dire di aver avuto l'impressione che si trattasse più di una pagina di diario vera e propria che di un racconto. Segui il tuo filo logico personale, rendendo difficile al lettore starti dietro: in un paio d'occasioni passi improvvisamente dal tempo presente della narrazione al flashback, in maniera tanto brusca quanto sottile. Prova a correggere questa gestione dei tempi.
Per il resto posso solo dire che ricorri forse un po'troppo spesso al linguaggio basso (più frequentemente negli altri due). Non si tratta di una questione di puritanesimo (per carità!), ma se da un certo punto di vista le parolacce possono creare un'atmosfera più netta e cruda, dall'altro un uso eccessivo appesantisce inutilmente il testo (a maggior ragione se si tratta di qualcosa di corposo come 'scorcio di vita in tribù') tanto da renderne difficile la lettura. Cerca inoltre di evitare parti dialogiche troppo estese senza interruzioni narrative: si perde il ritmo.
Quasi quasi metterei in linea un po' di roba, che dite?

Faccio un upload su silentwhisper e metto qui i link.
ALTRA GIOIA


Solo
in una candida spiana
ovunque fugge
perdizione comunque
il vento le parla
esistono anche altri luoghi
piccola vipera
biscia del piacere
osserva il suo gioco
lasciandolo morire

Cielo bianco candido
sanguigne venature di marmo
pronto a crollare
al primo colpo
lo sento…
Come la sua aria
pesante come sabbia
di deserto qualsiasi
l’uccello di paglia
cresce il batter d’ali
lo guarda ammiccando

se cerco di salire sbatto
e la forza finisce
forse è anche un bene
sentirsi un po’ Icaro
il prezzo di sentire

ridete pure
prob l'ho già postata su addio, non me lo ricordo ed è sbattito controllare