L'angolo del libro: Il Capitale di Piketty

Il capitale di Piketty e' un nuovo libro che sta avendo un discreto successo tra l'intelighenzia liberal americana.
Parla di ineguaglianza intrinseca nel capitalismo, del potere del grande capitale e di un trend verso l'accumulazione di capitali sempre piu' vasti nelle mani di sempre meno individui. Insomma, quasi un libro di sinistra.

Il problema e' che e' un libro di 700 pagine. E io faccio fatica a finire Le Carre' oltre le cento. Ci vuole motivazione. Qualcuno qui e' interessato ad un club di lettura? Leggiamo un capitolo ogni due settimane e postiamo discussioni e approfondimenti?
Non credo ci sia una traduzione in Italiano.
Due giorni fa ho letto quest'articolo del NYRB e ho pensato anche io di prendere il libro, ma si tratta effettivamente di un testo imponente e, sebbene non abbia difficoltà con libri di 700 pagine, non rientra nel solco delle mie attuali ricerche e non potrei dedicargli l'attenzione che sembra meritare.
L'idea del club di lettura mi sembra carina, quasi quasi te la rubo per un'altra sezione del forum
Terrò d'occhio il thread, in bocca al lupo.
da un commento su amazon:



oppure ignoranza sulla rivoluzione dell'automazione degli ultimi 10 anni, o ignoranza sull'informatizzazione del bureau, e delle transazioni finanziarie, speculazioni borsistiche ( vedere: IA dell'IBM )

è un francese ed è indietro almeno di 20 anni come mentalità.
l'ordinateur
Io lo comprerò a breve ma credo che se ne starà per un bel po' di tempo sullo scaffale...
per i più pigri c'è il gigariassunto qua http://piketty.pse.ens.fr/files/Piketty2014Capital21c.pdf
io lo sto iniziando su kindle ma avendo gia letto i suoi articoli ed avendo capito piu o meno quello che dice mi skippo le parti che gia conosco. vi faccio sapere ( l idea del club di lettura non è per niente male cmq )
Volevo giusto parlarne sul topic in filosofia dove si è finiti a parlare di economia. Appena esce in italiano lo compro, mi sembra estremamente interessante.

Appoggio in piena l'idea del club di lettura, se potrò contribuire lo farò con estremo piacere.


Ogni volta che ti leggo mi convinco sempre di più dell'opinione che ho di te.

+1 per il club di lettura.
Ho letto l'introduzione.

Non ho le conoscenze specifiche per contestare quel che scriva sulla metodologia dei suoi predecessori storici, ma fondamentalmente l'evidenza è posta su:

David Ricardo che ha individuato un meccanismo corretto nel principio di scarsità, ma l'abbia applicato in maniera errata alla realtà del periodo - e abbia non quindi predetto accuratamente alcune dinamiche, ma abbia introdotto la questione dell'inuguaglianza nel pensiero economico;

Marx che ha fatto lo stesso col principio di accumulo infinito (traduzione molto liberale...) per cui i meccanismi dell'economia post-rivoluzione industriale favoriscano molto più l'accentramento dei capitali rispetto alla crescita dei salari, ma che le sue previsioni non si siano realizzate per una serie di fattori non presi in considerazione - da cui la previsione di apocalisse economica mai avverata;

Simon Kuznets che invece, avendo a disposizione dati utilizzabili, ha meticolosamente analizzato la ricchezza dal 1918 al 1948 e concluso che "basta aspettare e poi il capitalismo ci farà stare tutti bene", cosa che effettivamente è successa dalla fine della guerra agli anni '70 - Piketty identifica nella definizione di questa tesi il momento in cui abbia definitivamente perso spirito pessimistico la questione della disuguaglianza economica.
Kuznets ha tirato fuori assunzioni, anche consapevolmente, molto ottimistiche sull'effetto della crescita sulla disuguaglianza: il frutto delle dinamiche economiche nel mondo occidentale sono in realtà frutto di fattori esterni (2° guerra mondiale, guerra fredda) e non di meccanismi automatici del capitalismo.

A questo punto, prende forma la tesi: non è il sistema economico che stabilisce come si evolva l'inuguaglianza, sono le scelte politiche a farlo.

Per Piketty, istruzione e cultura sono i fattori principali che combattono l'inuguaglianza, e ci sono due fattori che invece la alimentano:

il primo è legato alla possibilità che ha la classe dirigenziale di poter stabilire arbitrariamente i suoi livelli di retribuzione, invece che costretta da un sistema basato sulla produttività;
il secondo è un fenomeno che avviene quando attraverso l'interesse un capitale può crescere ad un tasso maggiore rispetto a quanto cresca un salario secondo lo stato dell'economia in cui entrambi si trovano.

L'analisi del secondo fattore, mi sembra di capire, è il grosso del libro. Secondo analisi storiche, gli interessi sui capitali non si sono mai trovati ad avere flessioni forti quanto le crescite di salari - anzi, i salari alle volte vanno in crescita negativa. Di conseguenza, in una prospettiva temporale sufficientemente lunga, il dominio economico è destinato ad andare verso i capitali accumulati/ereditati, perché quelli crescono sempre "meglio e di più". Sono un po' grezzo nell'espressione della cosa, ma il senso quello è.



TLDR: per Piketty il capitalismo non ha un sistema di incentivi/disincentivi che tolgano l'enorme vantaggio nell'affrontare i mercati che ha chi erediti grossi capitali, a prescindere dal reale merito. Solo il fatto che ci siano state due guerre mondiali di mezzo ha evitato che il mondo tornasse ad un'economia pseudo-feudale/oligarchica, ma ora stiamo ricominciando ad andare in quella direzione.

La cosa interessante, per me, è che non si leggono toni particolarmente "schierati": dall'analisi sommaria non è "CAPITALISMO MALE!!!!" ma, appunto, un'analisi interna. Da quel che leggo però l'autore è consapevole di non proporre soluzioni reali, per la difficoltà oggettiva della cosa: mette solo in evidenza il grosso difetto. La prima soluzione è tassare globalmente la ricchezza, per poterla ridistribuire in maniera più controllata. Cosa che lui stesso ammette essere politicamente impraticabile.
Cominciamo dall'introduzione, allora.

Capital parla della distribuzione del reddito. Descrive i meccanismi che alimentano o indeboliscono l'inuguaglianza. Lo fa con una caterva di dati.
La tesi principale del libro e': "quando il tasso di rendita sul capitale supera il tasso di crescita del reddito, il capitalismo automaticamente genera inuguaglianze arbitrarie ed insostenibili". Direttamente dalla prima pagina.

L'introduzione comincia con un breve riassunto storico. Per ogni autore citato Piketty indica una lezione da imparare.

  • Da Ricardo, Piketty cita il "principio di scarsita'". Praticamente l'idea che se il capitale (la terra) e' limitato, allora finche' la popolazione aumenta cosi' aumentano anche il prezzo e la rendita del capitale. Piketty crede che sia una semplice analisi che spiega alcune rendite odierne come il petrolio.
  • Marx scriveva tra la meta' e la fine del 1800. Era un periodo di profonda miseria urbana e disuguaglianze estreme. Verso la fine del secolo i salari cominciarono a migliorare ma sempre piu' lentamente di quanto si accumulasse il capitale. L'inuguaglianza non smise mai di aumentare fino alla prima guerra mondiale.Piketty non ha niente di buono da dire su Marx, tranne citare il "principio di accumulazione infinita". Principo che spieghera' poi nella terza parte del libro.
  • A Piketty piace Kuznets. Kuznets e' citato per avere usato i dati correttamente. Il suo contributo e' l'U invertita. Nelle prime fasi del capitalismo la crescita economica aumenta l'inuguaglianza. Una volta raggiunto un certo livello di benessere pero' la continua crescita economica diminuisce l'inuguaglianza."Growth is a tide that lifts all boats". Questo nel 1950. La morale da guerra fredda era ovvia.Gli USA dovevano solo mantenere le nazioni "libere" abbastanza a lungo perche' il capitalismo facesse la sua magia.
    Il problema e' che la diminuzione nell'inuguaglianza che Kuznets misurava (1913-1948) era soprattutto accidentale. Una compressione temporanea frutto delle due guerre e la grande depressione che Kuznets estrapolava nel futuro. Ora sappiamo, soprattuto dall'inizio degli anni 80, che l'inuguaglianza e' tornata al galoppo.


L'introduzione parla continua descrivendo i dati. Il libro si basa su lunghe serie storiche prodotte per il libro stesso o gli articoli accademici che lo precedono. Questi dati sono ora parte del World Top Incomes Database. E' un bellissimo sito e se questo e' l'unico buon risultato da questo libro ne e' comunque valsa la pena.

Secondo l'autore, il risultato principale del libro e' il rifituo del determinismo economic: "la storia della distribuzione del patrimonio e' sempre stata politica e non puo' essere ridotta a meccanismi puramente economici".
I meccanismi che riducono l'inuguaglianze economiche sono la diffusione della conoscenza, l'investimento in abilita' e la mobilita' del capitale e del lavoro. Piketty considera la diffusione di conoscenze come la forza odierna piu' potente contro l'inuguaglianze globali. Questo a me ricorda l'atlante della complessita' economica e l'articolo accademico che l'accompagnava.

Ci sono due potenti meccanismi che alimentano l'inuguaglianza.
Il primo meccanismo e' l'aumento del reddito per i lavori piu' in cima. Non per un aumento della produttivita', ma semplicamente perche' i top manager decidono il proprio salario.
Il secondo meccanismo e' piu' potente e Piketty lo chiama la fondamentale forza di divergenza: r>g. Cioe' il tasso annuale di rendita sul capitale e' piu' alto della crescita del reddito. Il capitale cresce piu' velocemente dell'economia.

Piu' il mercato dei capitali e' "perfetto", piu' velocemente il capitale cresce rispetto all'economia.

Per ora non sono convinto. Qual'e' il problema della crescita da capitale? Perche' e' insostenibile? Vedremo.

Oh, doppio post. Scusami!


Si' infatti. Quando ho letto il passaggio avevo questa faccia:


Figurati, l'introduzione stessa la devo prendere per vera perché non ho le basi per confutarla - andiamo bene.

Fino a lì io non ho grossi problemi ad accettare la tesi, però: diciamo che mi sembra ci sia un ricorso storico (a partire dalla rivoluzione industriale, almeno) nella tecnologia come accentratore di ricchezza, o sbaglio?
Si', in realta' mi sono posto la stessa domanda. Tecnologia e' la prima spiegazione sulla bocca di ogni economista. E' strano che Piketty non l'affronti. Pero' e' anche vero che la tecnologia non spiega r>g. La tecnologia aumenta la produttivita'. Dovrebbe aumentare r e g di pari passo.
Percio' Piketty sottolinea l'importanza dei processi politici oltre a quelli economici.
Quindi l'idea rivoluzionaria è che l'istruzione migliora la distribuzione del reddito? Rivoluzionaria proprio.
Considerando invece la questione r>g, bisogna vedere qual'è lo stock di capitale.
Snza considerare la dinamica degli investimenti.
Se con r si intende il tasso di rendimento del capitale (che non coincide certo con il tasso di crescita in quanto va considerato il deprezzamento dello stesso) quel che è sicuro è che l'economia deve produrre per lo meno le risorse per remunerarlo il capitale.

In un mercato efficiente r dovrebbe decrescere nel tempo, in quanto la produttività marginale del capitale è decrescente.
In presenza di tecnolgia come dice carr dovrebbero crescere di pari passo, in quanto in un mercato efficiente in ogni caso g non può essere inferiore ad r.


LoL non hai letto nemmeno l'introduzione e già spari giudizi.

Senza vergogna.
http://www.nytimes.com/2014/04/25/opinion/krugman-the-piketty-panic.html?ref=opinion&_r=0


Il libro è da 680 pagine ed una persona più istruita in merito sicuramente può trarre più informazioni di me. Quel che ho postato è quel che capisco dall'introduzione, che saranno una 15ina di pagine a malapena. La tesi non è "l'istruzione migliora la distribuzione del reddito", questo è uno dei postulati che serve a costruire la tesi.

Il mio istituto ha ancora il libro in ordine, non ce l'ho ancora a portata di mano...
Non ho letto ancora il libro (ma è nella lista delle cose da fare) ma leggendo voi e l'articolo di Krugman mi rendo conto che tratta posizioni che io stesso sto sostenendo da un po', ma sono veramente una "novità" così sconvolgente? O il fatto sconvolgente è il suo successo?

Comunque anche a me danno del Marxista, quando rispondo "no, adesso ti dico qual'è la mia critica al Marxismo" mi si risponde "si si ma figurati, non serve, non mi interessa, se fa pe ride"
La mia biblio è chiusa fino a lunedì avrò modo di darci un occhio.


Posso solo trasmettere pareri di chi abbia letto il libro: la "novità" è che usa strumentazione analitica interna al modello accademico capitalista, usa estensivamente dati documentati e la sua base di argomentazione è logica. Non assegna colpe a qualche politica particolare (debito, concezione di competitività o bolle speculative in atto), ma ad una proprietà specifica del sistema capitalista.
In sostanza, non è così facile da contestare perché dati+metodologia sono solidi e non usa strawman.

EDIT: io l'introduzione l'ho letta da qua: http://www.hup.harvard.edu/features/capital-in-the-twenty-first-century-introduction.html