Questa è una domanda complicata e la risposta è difficile perché bisognerebbe prima inquadrare lo psicologo come un agente politico, anche se si vuole farlo passare come una figura “scientifica” (v. discussioni sul patriarcato ste settimane) e quindi, superficialmente, al di sopra di certe dinamiche.
La società capitalista del lavoro e del consumo è impostata per farti vivere in uno stato di insicurezza umiliante sistematica per funzionare. Lo psicologo “etico” dovrebbe disinnescare le insicurezze sistemiche costruite ad hoc per farti stare male, ma cosa ne esce fuori? Diventi un contadino-solarpunkabbestia che si isola dalla società? Diventi un depresso totale (kras-mazovian socioeconomics) perché metti le lenti di They Live? Vai contro la società che ti ha dato una posizione professionale, che ti chiama in tv, ti chiama sui giornali a gonfiare di prestigio la tua materia?
Per questo lo psicologo è formato per sentirsi uno scenziato (si fa così perché è scienza) che osserva l’individuo in una misura circoscritta (famiglia, padre, madre, colpe tue, natura individuale), dove certe osservazioni ad ampio spettro non vengono mai fatte o vengono lasciate in mano all’individuo che non ha strumenti per capirle. Vai dallo psicologo ma per vivere sufficientemente bene per i prossimi tot anni, per farti produrre. Se la psicologia applicata alla clinica fosse stata una pratica anticonformista non avrebbe mai raggiunto storicamente la posizione che ha raggiunto.
Per dire, la strada della consacrazione è stata solcata dalla psicanalisi prima come pratica esclusiva dalla borghesia e poi pavimentata come pratica di iperconformizzazione culturale in ottica di contenimento socaile dei movimenti radicali di sinistra nei 50s.