LP dio kane se non mi invacchi il thread mi fai una cortesia, ho bisogno di aiuto
Questa meriterebbe un topic intero di portata cosmica secondo me.
questo topic è fenomenale, anche questa merita un topic cosmico.
Stabilire se siamo vivi o morti mi sembra il sondaggione del secolo.
e ti dirò di più, il tempo non esiste: presente, passato, e futuro per come li intendiamo noi sono perfettamente sovrapponibili
sarebbe anche uno spunto di conversazione interessante se non fosse che, di nuovo, sto parlando coi morti
perché i tramonti son pupazzi da legare?
perché altrimenti sarebbero albe da slegare
nel mentre leggo questo topic fenomenale, oserei dire definitivo, sto ascoltando questo pezzo, che mi sta procurando grande appagamento interiore, sto già viaggiando con la mente, mi sto immaginando di essere a bordo di un pulmino del 69, giallo, con 4 bidoni d’acqua, 500 scatolette di simmenthal, e due secchi di datteri, sulle strade per Tozeur, con gnr seduto nel sedile in fondo che scruta il tempo che scorre, che fa le foto mosse al venditore di tappeti, seduto su una sedia con i fili di plastica, esposti per strada vicino la porta di una casa fatta col fango e le pietre, dove la sua donna sta cucinando un couscous fenomenale, fatti per dormire sul pavimento, che gli occidentali comprano per abbellire un salotto vuoto, o fare in modo che il sound si senta con meno riverbero quando va di lusso, mentri i bambini pensano che sia un tappeto volante, attraverso il parabrezza sporco di sahara rosso, guardo lo schermo per scoprire se quel venditore salirà a bordo per spiegarci com’è essere vivi. Se salirà saremo salvi e ci ospiterà a casa sua giusto il tempo di vedere il viso cosmico di quella donna mentre ci porge il mangiare, se non salirà la foto verrà esposta al moma col titolo “c’era un tappeto” e faranno la fila eserciti di genti che la pagheranno a peso d’oro per sentirsi vivi.
Io da grande spero di diventare come Hans
@gnr , capisco benissimo il tuo problema, che mangia dentro anche me.
Ho da sempre oscillato tra i due estremi, tra voler fare qualcosa benissimo e volermi totalmente identificare con essa, e il totale opposto, voler andar piano, fare le piccole cose, solo per il piacere di farle.
Ho capito che per me la prima opzione deve necessariamente essere guidata dal senso della cosa in sé, quello che scelgo di fare deve avere un valore intrinseco. Ma non ci sono mai riuscito a renderlo permanente: Ho avuto brevi momenti in cui ero tutt’uno con quello che facevo e dicevo ‘cazzo, la mia vita è perfetta’, ma sono inevitabilmente finiti.
Ho cercato di raggiungere traguardi esterni, e sono risultati totalmente effimeri.
Oggi, cerco - quantomeno nel tempo libero dal lavoro - di concentrarmi sulle piccole cose. Ma il fuoco dentro arde, perché dentro di me so di non essere l’average Joe - e sono fottutamente bravo nella maggior parte delle cose in cui metta impegno.
Non so quale sia la strada giusta: Oggi la mia scelta è cercare di scappare dalla schiavitu del lavoro il più presto possibile per essere davvero libero di fare quello che voglio, ma spesso, troppo spesso, ho l’impressione che sia un rimandere eterno che non sarà mai realizzato
IMHO la vita è il più grande e perfetto sandbox survival stile minecraft mai realizzato.
Ti devi scegliere tu perché giocare, ma il sistema ti fornisce delle fastidiose coordinate come fame, sete, sonno. Poi gli altri giocatori ti spingono a fare tuoi i loro obiettivi, ma puoi anche impippartene e trovare dei tuoi, o giocare senza, finché hai qualche quoricino, perché sfortunatamente il respawn non è implementato.
Scherzi a parte, io ho sempre oscillato attorno ai due estremi:
- fare cose nuove per il piacere di imparare a farle, sperimentare, il brivido di padroneggiare una nuova abilità, addentrarmi in una terra per me inesplorata. Mi dava ancora più soddisfazione farle da solo, senza manuali e guide o istruttori, mi dava l’impressione di essere il primo uomo arrivato fin lì. Ovvio che i risultati erano quelli che erano per cui poi a volte nasceva l’esigenza di
- farle bene, migliorarmi costantemente, padroneggiarle alla perfezione.
Il passo 2 in genere capitava solo su un ristretto numero di abilità/passioni e cmq se cerchi di essere il migliore, va tutto abbastanza bene finché il metro di misura è il circondario o i conoscenti. Appena allarghi l’orizzonte diventa un grosso problema, perché c’è sempre qualcuno più bravo di te.
Alla fine ho seguito l’obiettivo 2 solo nella scrittura dei libri e ricerca sulla storia dei videogiochi/computer e qui posso dire senza falsa modestia che sono uno dei ricercatori migliori al mondo, anche perché seguire questa passione in particolare mi ha portato inaspettatamente a risolvere un problema esistenziale.
[tldr] In pratica mi sono dato l’obiettivo di lasciare un segno del mio passaggio su questo mondo un po’ attraverso mio figlio, che amo alla follia e che riempie di felicità ogni giorno della mia vita (al punto che ho chiesto a mia moglie di darmene un altro :P) e un po’ attraverso i miei libri. [/tldr]
La parte curiosa della scrittura dei libri e delle mie motivazioni è veramente molto intima e non so se riuscirò a spiegarla bene.
Come ricercatore e appassionato di storia dell’informatica, mi capita spesso di girare musei o anche collezioni private. Una delle cose più tristi è quando un vecchio collezionista si ritira (magari perché malato, troppo vecchio o, nel peggiore dei casi, perché morto) e la sua collezione passa ai figli, se va bene, o rimane abbandonata e finisce letteralmente nella spazzatura. E’ questo il destino di ogni nostra cosa. Finire nelle discariche. Anche le cose più preziose, alla fine andranno lì, un po’ come i libri di Don Ferrante.
Questo rende bene la caducità di ogni esperienza e passione umana.
E io a questo fato mi sono ribellato, mettendo nero su bianco le storie di persone che spesso non ho mai incontrato e nemmeno sfiorato. Alcuni sono morti decenni prima che io nascessi. Mi riempie di una soddisfazione incontenibile figurativamente parlando aprire le tobe di gente perita decenni fa, quasi dimenticata, e raccontare le loro storie, dare loro una voce.
Per i più attenti, il mio nickname è la variazione leet di Ender, il protragonista di una serie di romanzi di FS. Alcuni potrebbero pensare che mi sia ispirato a lui perché era un grande stratega, vinceva le battaglie spaziali e bla bla bla. No, in realtà nel secondo libro della serie, da generale diventa Araldo dei Defunti. Racconta la storia vera, senza veli e ipocrisie, di chi è morto e non può spiegare cosa ha fatto e perché.
Io faccio questo per passione e ormai quasi per lavoro. Racconto le storie dei tante persone scomparse che nel loro piccolo (o meno) hanno plasmato il mondo di oggi. Avevano passioni, difetti, aspirazioni e hanno subito sconfitte e portato a casa qualche vittoria. Ma della loro vita è rimasto poco, a volte quasi nulla, ed è inebriante poter dire “ecco, non siete dimenticati. Vi ho ridato la voce.”
Di quel che sarà di me quando sarò morto mi interessa poco. Lascerò un bel ricordo, spero, in chi mi è stato vicino e tanti libri spero interessanti con cui ho contribuito a non dimenticare altre persone. A me va bene essere ricordato così.
Colpito e affondato.
Mio papà ha fatto il collezionista per tutta la sua vita, ciò che ha collezionato non sembra interessare a nessuno nonostante l’aver contattato diversi musei ed altri collezionisti privati.
È un senso di colpa debilitante non sapere che farci, lui quando era incazzato diceva esattamente questo, che gli butteremo via il lavoro di una vita.
Si ma te ne sei andato a 80 anni senza un piano per nulla, senza documentare, senza trovare qualcuno di interessato, cosa dio santissimo dovrei farci?
E’ una guerra persa in partenza.
Guarda il mercato collezionistico dei computer vintage. E’ decollato dopo la pandemia e sta già rallentando, ma poi collasserà come un bolla. Quanti Apple II ci sono in giro ancora funzionanti? Centinaia di migliaia. Molti più di quanti ne servano per i musei. Ma ci sono milioni di ex utenti di Apple II che vorrebbero averne uno per ricordo, perché quell’oggetto ha un valore affettivo enorme e allora i prezzi salgono.
Ma questa gente sta invecchiando. Ora ha i soldi per comprare un computer a 1000, 2000 dollari. Un domani sarà vecchia, malata o morta. Ci saranno tanti Apple II in vendita e nessuno che vorrà spendere quelle cifre.
Alcuni finiranno in un museo, gli altri nella spazzatura, come già successo mille altre volte.
Mio bisnonno era uno dei primi fotografi della bergamasca. Ha fatto delle foto bellissime nel primissimo 900, ha documentato l’ascesa del fascisimo, la sua caduta. Ha fotografato le giovani del paese e anche ragazze di Milano che venivano in valle a farsi fare una fotografia, a volte anche un po’ osé con la spalla scoperta, i seni che si intravvedono dalla scollatura. Sono foto bellissime.
Tante sono finite su ebay, rubate da gente che per decenni è entrata nella sua casa abbandonata.
Poi mia sorella è andata a raccogliere migliaia di fotografie e lastre e le ha donate a un museo bergamasco.
Ora sono in cantina, in una cassa chiusa. Invisibili a tutti. Pure io che sono erede per vederle devo compilare un modulo e aspettare.
erano meglio su ebay.
Si, ma non ha senso, nulla è mai perso, non c’è rischio di non lasciare un solco nel mondo, ma l’impossibilità di non farlo, il cruccio non è quindi questo, ma il desiderio, in qualche modo, di controllare il futuro.
innanzi tutto sposto su addio, che mi pare più adatta come sezione per qualcosa di riflessivo
per il resto, partendo dal presupposto che il senso della vita non esiste e ognuno gli da il senso che vuole, come ha già detto qualcuno quello che ho sempre cercato io è “serenità” , nelle relazioni dove non potrei mai vivere in una di quelle relazioni dove c’è il dramma ogni mezza giornata, nel lavoro, dove ho sempre pensato che finite le 8h deve essere “finito” soprattutto a livello mentale, e anche nelle passioni, le ho sempre approfondite (ancora oggi so dirti per fare un esempio la differenza tra saurischi e ornitischi tra i dinosauri, passione di quando ero 10enne) senza però farne una malattia e neanche una “ragione di vita” .
per il fare “qualcosa di speciale” , certo, è un po’ quello che nell’antichità si intendeva per immortalità, personalmente ho capito appena mi sono confrontato con miei pari da bambino che non avevo nulla di “speciale” e che non ho neanche lo spirito e la predisposizione, la costanza, la determinazione per voler puntare a eccellere in qualcosa, una vita serena, facendo semplicemente ogni giorno quello che ho voglia di fare e che mi piace fare, è già di per se uno scopo e un arrivo del tutto sufficiente.
Gli ultimi post in qualche modo evocano un po’ il post che volevo fare ieri.
Riparto dall’inizio però.
Come te gnr ho un sacco di hobby e passioni, alcune più brucianti di altre. Leggere, scrivere, videogiocare, correre. Quando mi ci butto devo capire tutto, devo informarmi, documentarmi, studiarci sopra, approfondire, espandere.
La mia compagna invece è il contrario di me, nel senso che la cosa che la fa stare bene è la socialità, stare con gli altri, fare cose con gli altri, camminare nella natura.
E’ evidente che spesso non capisce perché io mi chiuda nel mio antro a fare le mie cose, perché voglia stare da solo a fare le mie cose, perché preferisco lasciare mio figlio 1 ora in più al doposcuola piuttosto che andarlo a prendere subito.
Io ho bisogno di coltivare le mie passioni, sono parte di me, e se non lo faccio soffro e mi sento compresso e più il lavoro comprime le mie passioni più mi sento in trappola.
Questo è il motivo per cui nel 2017 mi sono licenziato (lavoravo a Milano) senza un piano B ed è il motivo per cui sono andato a fare il cammino di Santiago, questo è il motivo per cui mi sono preso non 1 ma 3 anni “sabbatici” in cui fare quello che volevo.
Questo è il motivo per cui nel momento in cui ho dovuto tornare a lavorare purtroppo ho deciso di lavorare sì, ma per la prima volta alle mie condizioni. Non avrei lavorato allo sfinimento, avrei lavorato quel tanto che basta per vivere e avrei lasciato il resto del tempo libero per me (e per la famiglia che avevo intenzione di avviare con la mia compagna) e per le mie passioni.
Oggi sono una persona che in questo ha trovato un buon equilibrio, cioè se potessi lavorerei ancora meno, ma con 32 ore a settimana e il venerdì sempre libero mi sento senza costrizioni, con del tempo per me e che dedico a quelle passioni di cui sopra.
Penso che questo sia un primo punto importante, trovare un bilanciamento tra quello che dobbiamo fare e quello che vogliamo fare.
Parliamo ora del fuoco dentro, io penso innanzitutto che non tutti debbano averlo per forza. Per alcuni non c’è, o c’è e poi si assopisce. Oppure sono nati in una condizione particolare che non gli ha permesso di svilupparlo proprio, penso a tutti quelli che tirano a campare con stipendi da fame e che non hanno il tempo manco di pensare a quello che gli piace.
Io sono più fortunato, non ho problemi economici e ho il tempo di preoccuparmi del senso della vita e allora al senso della mia ci penso spesso.
Ma non perché ci sia un fine misterioso, alla fine quello che dicono i Monthy Python è vero, essere gentili con gli altri ed essere positivi e non negativi.
Mi basta? No, non mi basta.
Io, come ho già avuto modo di scrivere altre volte, sono terrorizzato dalla morte, dall’oblio. Terrorizzato proprio.
Non c’è modo di evitarlo, non c’è. Ma quel solco nel mondo di cui parlavi mi tocca moltissimo, perché a mio modo cerco di lasciarlo con una delle mie passioni, che è la scrittura.
Ho scritto un libro per diletto, ci ho messo 4 anni, e me lo sono auto-pubblicato su Amazon (magari ci aprirò anche un thread) e anche se lo hanno comprato solo amici e parenti è un qualcosa che mi ha dato un grande senso di sollievo. C’è un piccolo pezzetto di me da qualche parte che POTREBBE sopravvivere alla mia scomparsa. Potrebbe, non è detto.
Qualcuno potrebbe riconoscersi in quello che ho scritto, qualcuno, forse. Un mio pensiero potrebbe sopravvivere a me.
Ora sto scrivendo ancora, di cose che interessano a me, del mio vissuto diciamo. Non perché potrebbe interessare ad un pubblico, ma per cristallizzarlo.
Il fatto che interessi ad un pubblico non è tuttavia ininfluente, il sogno dell’immortalità attraverso le proprie opere penso che sia una cosa che sfiori chiunque voglia fare qualcosa in cui ci mette del suo.
Ma se già i miei pronipoti, quando io sarò sepolto, leggeranno cosa pensavo, forse sarò contento.
Anche se non lo saprò mai.
mi rispecchio molto nelle tue parole, vivo la musica più o meno nella stessa maniera in cui tu vivi la fotografia.
sento quel disagio dentro che mi dice “devi fare qualcosa con la musica”. l’ho sempre vissuta come un “devi farla diventare il tuo lavoro” in modo da abbandonare completamente la mia carriera nel mondo tech, carriera che ho intrapreso un po’ per passione un po’ perché mi veniva facile ed era un porto sicuro per poter portare a casa la pagnotta.
ecco, questa mentalità mi ha portato solo problemi perché le grandissime aspettative e la grande pressione che mi sono creato non ha fatto che distruggere il fuoco che avevo dentro.
con la musica qualche successo e soddisfazione me la sono cavata, fatto tour in giro per l’europa, i dischi della mia band son finiti un po’ in tutto il mondo e sicuramente trovare per caso il proprio disco in un negozio a berlino così puramente a caso mi ha dato un appagamento incredibile.
però ecco, questo senso di dover superare poi quello che avevo già fatto ha distrutto tutto. ha distrutto il piacere di fare le cose per il gusto di farle, ha annientato la vena artistica e la confidenza del proprio gusto personale.
morale della favola ora che ho un progetto da solo tiro fuori un brano all’anno se va bene, che è una cosa che mi fa piangere il cuore.
io addirittura sono arrivato anche a contemplare la possibilità di mollare definitivamente la musica, di non fare più un cazzo e rimanere solo un grande ascoltatore appassionato ma cristo no. il pensiero mi faceva forse più male di quello che già provavo.
negli ultimi boh, 10 mesi c’è però stato uno shift di mentalità, forse un ridimensionamento delle aspettative: ho iniziato a fare le cose per me, solamente per me. non ho più la pretesa di arrivare a camparci con la mia “arte”, non ho più la pressione di dover fare certe cose per far vedere che sono figo e per attrarre un fantomatico pubblico. se il pubblico arriverà sarà perché apprezza la mia visione e il mio gusto e non viceversa. non arriveranno soldi? chissenefrega. non avrò un successo mondiale? in fin dei conti non l’ho mai voluto, non me n’è mai fregato un cazzo di fare grossi live con migliaia di persone, preferisco di gran lunga riempire un localino da 50 persone.
ho risolto completamente? no ma sto pian piano cercando di far ardere il cuore come ardeva una volta.
tutto questo anche perché forse ho fatto i conti col fatto che il senso della vita è forse semplicemente vivere, affrontare i momenti e le vicessitudini che il cosmo ti propone. siamo alla fine stagioni di carne, cicli di abisso e di luce. sta a noi sfruttarle al meglio. ti trovi in un momento in cui non ti senti di fare nulla di importante e stai vivendo col pilota automatico? bene è la vita che ti propone un momento di riflessione per raccogliere quello che hai e capire come prepararti al prossimo ciclo dove potrai fare qualcosa che senti veramente tuo e che senti veramente importante.
dopo ogni maratona hai bisogno di fermarti per raccogliere le energie per potre iniziare la prossima. se hai sempre corso senza mai fermarti, stai veramente correndo?
ah e vi ricordo sempre questo (imho video magnifico, vale tutti i 30 minuti), ogni tanto fa bene mettere le cose in prospettiva (e fa anche male allo stesso tempo sentirsi così inutili)
Sacro fuoco.
Nel tuo caso è dipeso anche da tuo padre, ma nel mio non riesco a ricondurlo a uno o più fattori (di certo non mio padre). Quindi suppongo che possa essere un mix ampio di cose, compreso il carattere.
In ogni cosa a cui mi sono interessato, ho sempre cercato di padroneggiarla meglio della media, anche tentando di competere e primeggiare.
Che fosse il calcio con gli amici, giocare a Magic, fare IrcWar e tanto altro da giovane, fino a quando, a 30 anni, ho scoperto la fotografia. A cui mi sono dedicato negli ultimi 17 anni.
Da quando faccio il fotografo, cerco di lasciare un segno.
All’inizio in piccole cose, a livello locale, cercando di farmi notare per la qualità dei miei lavori.
Poi espandendomi a livello più nazionale.
Successivamente, occupandomi sempre di più di fotografia documentaria, approfondendo fenomeni sociali extraordinari, raccontando dittature straniere, seguendo proteste, ecc. soprattutto in Europa e Asia.
Mi manca solo la fotografia in zona di guerra, ma avendo famiglia mi trattengo.
Sono abbastanza sicuro che se avessi scoperto la fotografia da giovanissimo (invece che a 30 anni), sarei finito col fare anche quella pur di sentirmi al centro della Storia.
Oggi invece, quando vedo da vicino il pericolo, penso a mio figlio e cerco di essere prudente nell’evitare fermi, arresti, ecc.
Nonostante questo, provare certe botte di adrenalina e condividerle con colleghi fotografi o giornalisti, per poi ritrovarsi alla notte a parlare di quanto abbiamo visto e documentato e a bere in qualche locale malfamato, è una delle cose più appaganti. Anche perché ne vedi i frutti sui giornali.
A volte, anche pensando a mio figlio, mi domando cosa resterà di me quando non ci sarò più.
Gli sto lasciando tanti album-diari fotografici di famiglia, con fotografie ma anche molti appunti, aneddoti, ecc.
Qualche libro con i miei lavori fotografici.
Immagino però che, familiari a parte, il resto del mondo si dimenticherà di me nel giro di qualche settimana
E’ un po’ nichilista e non voglio buttarla in caciara, ma per me lo scendere a compromessi col fatto che a nessuno interessi realmente l’esistenza di un qualsiasi individuo, ma al massimo di quelli a cui tiene (elemento aggravato dal fatto che ci sono fattori spaziali e temporali), aiuta a valorizzare il perché fare cosa e per chi.
Ma hai assolutamente ragione, il mio è un bisogno che nasce dal desiderio irrazionale di sconfiggere la morte.