[Hans Win] Il senso della vita

(Mi piace che non apro mai topic ma quando lo faccio sono mattonate)

Vi butto lì un pensiero che mi rimbalza in testa da mesi. Ho sempre notato che tante persone che mi circondano in “real” non hanno vere e proprie passioni: al massimo qualche hobby intercambiabile, che potrebbe benissimo esserci o meno, e la loro vita procede liscia lo stesso. Per come mi hanno cresciuto, in particolare lato paterno (lui è mancato due anni fa), ho invece sempre avuto l’idea che ci fosse l’obbligo morale di trovare qualcosa che ami davvero, spenderci la vita, lasciare un segno. Questo, un po’ paradossalmente, mi ha messo una forma d’ansia che però è (forse) positiva, perché mi spinge ad approfondire tutto quello che tocco.

Risultato: ogni volta che mi appassiono a qualcosa, ci vado a fondo fino a farmi venire il mal di testa. È successo con la fotografia, con l’informatica, con il design (anche se in maniera piuttosto pratica, artigianale: non ho mai amato l’approccio troppo teorico, preferisco fare con le mani). Ora ho una piccola agenzia che ho costruito proprio per riuscire a lavorare con tutte queste competenze che ho accumulato.

La mia dolce metà, invece, dipinge: è un suo hobby, ma non la “divora” come fa una passione vera e propria. Se decide di non prendere in mano il pennello per un mese, non ne fa un dramma. Io, al contrario, vado fuori di testa a pensare di arrivare a casa la sera, spararmi qualche ora di TV e dichiararmi soddisfatto. Questa differenza di mentalità un po’ ci fa “scontrare”: lei non capisce perché io abbia sempre un fuoco costante che mi brucia dentro, e io non capisco come si possa stare senza.

Poi, però, guardando mio padre e tutti i suoi limiti (non era per niente un esempio da seguire, a parte i discorsi teorici su “lasciare un segno”), comincio a chiedermi se non mi abbia trasmesso una specie di “virus mentale”. In fondo, non è forse giusto vivere alla giornata, godersela senza sentirsi in missione speciale, e basta? Non c’è niente di male a condurre una vita “normale” – fare figli, crescerli, passare il tempo su un forum o su TikTok, e stop.

Nell’ultimo periodo, ho pensato più volte di mollare tutto e dedicarmi completamente alla fotografia, con l’idea di creare qualcosa di davvero grandioso e che lasci un segno. Eppure, mi assale il dubbio: non è che questa fame di realizzare qualcosa di importante finisca per togliermi il puro piacere di fare foto? Forse chi vive senza “grandi aspirazioni” campa meglio, libero da questa pressione costante, o magari è proprio la passione che rende tutto più intenso. Alla fine, mi chiedo se davvero valga la pena puntare così in alto, o se stiamo tutti esagerando nel voler “fare la differenza”.

Boh, volevo sapere cosa ne pensate anche voi. Siete più per il “sacro fuoco” che non vi lascia dormire la notte o per il “vivi e lascia vivere”? È una questione di carattere, di educazione, di paranoie personali? Se uno un domani scegliesse di non fare nulla di “importante” e semplicemente godersi la quotidianità, sbaglierebbe? E viceversa, chi si sente costantemente in dovere di “fare qualcosa” ci guadagna davvero in felicità o vive in uno stato di ansia perpetua?

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A volte il sacro fuoco, a volte la tranquillita. Non tutto e’ bianco o nero.
Quando impari a gestire l’equilibrio la tua vita e’ completa.

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Penso che la cosa più importante in assoluto nella vita sia la serenità.

Credo risponda anche alla tua domanda.

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Il problema è l’arbitrarietà con cui si determini il significato ed il criterio con cui si voglia effettivamente lasciare un’impronta di se nell’ambiente, perchè da esso poi sia possibile stabilire il processo decisionale alla base del fine ed il percorso da intraprendere in conseguenza per raggiungere il fine, semprechè ve ne sia uno.

Quindi a seconda della personale inclinazione nell’interpretare la scala dei rapporti tra il singolo e l’ambiente, ed in ciò il quadro delle possibilità automaticamente si amplia notevolmente, si cerca di definire pure il valore delle azioni del singolo sul resto, e non è facile e forse neppure deterministico correlare i risultati agli sforzi con un criterio univoco.

La soddisfazione personale intesa come positivo riscontro tra le aspettative e gli esiti è importante ed un valido scopo, ma lo è perchè lo si considera tale, non lo deve necessariamente essere obbiettivamente.

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Sin da piccolo ho sempre avuto una rotazione di passioni autistiche che affronto ossessivamente saltando di palo in frasca, e se non ho una cosa da avere autisticamente sottomano in ogni momento sto male. Poi localmente alcune passioni le vivo bene e le mantengo e altre le vivo male ed a una certa me ne libero.

In ogni caso non ho mai creduto nel realizzarmi attraverso le cose, semplicemente faccio perché voglio fare, o perché i meccanismi per cui il mio cervello rilascia le molecole lo richiedono, ma io rimango io.
Tutte le persone nella mia vita che cercano di realizzarsi tramite il fare spasmodico, per essere più degli altri o lasciare il segno per avere la lapide più grossa, le vedo profondamente frustrate e incompiute. Cattivi modelli.

Penso che parte del senso della vita sia trovare un set di passioni e di attività che ti distraggono consistentemente dalle brutture della vita, farle bene, male o eccellendo is up to you ed è una scelta fondamentalmente neutrale a seconda di chi sei come persona.

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Se viene rotta la mia routine io vado generalmente in panico per un istante. Ad esempio se qualcuno mi dice “domani facciamo X\ partiamo per Y” la prima cosa che mi assale è l’ansia di non poter mettere le mani sullo strumento per tot tempo, però conosco questa sensazione da una vita e ci convivo e non mi lascio condizionare troppo. La considero una costante motivante nella mia vita (tranne boh se sono depresso come è successo ultimamnete) ma non ho l’ansia di voler diventare qualcuno, di diventare il best of the best > per me è il mio ritiro dove recuperare punti sanità mentale e nient’altro mi da quel sollievo, quindi non lo considererei per niente un “virus”.

Se sei obbligato a lavorare, l’unico modo per vivere un rapporto sano con il lavoro (per quanto possibile) è avere qualcosa che ti fa lavorare il meno possibile perché ci vuoi dedicare più tempo possibile.

Secondo me la società nella quale viviamo in generale tende a volerci in rapporto tossico competitivo\performativo\ansiogeno\produttivo anche nei confronti dei nostri hobby, però almeno in questo ambito abbiamo la possibilità di scelta di cacarci fuori e viverla a nostre regole. Sempre se abbiamo il lusso del tempo e delle energie mentali.

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Comunque una nota lulz esistenziale, una volta partecipai ad un incontro con sto psicoterapeutahippiepazzoideultraanarcoide che aveva cacato fuori sta teoria bislacca che però è divertente.

Praticamente marx scriveva poesie\racconti per hobby e sosteneva che lo spirito dell’umano è fare cose (alienazione = allontanarti dal fare cose > perdere l’umanità), quindi sto tipo sosteneva che tutta la teoria sul comunismo utopico che vuole portare la società verso le macchine che lavorano per te è frutto di una elaboratissimissima rosicata perché marx vedeva che nessuno aveva tempo libero da dedicare ai cazzi propri per colpa del lavoro.

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ma non è il “siete più”… ognuno è come è e il margine è poco.
il vero segreto è non giudicare gli altri (e tu lo fai qua)

e poi anche non giudicare se stessi e questo si vede un po’ nella seconda parte del tuo post.

tanto, non possiamo scegliere come siamo fatti, al limite, possiamo provare a sistemare la parti più disfunzionali

Uguale pure io, faccio e approfondisco le cose per il piacere di farlo. Non mi metto in gara con nessuno tranne che con me stessa perché non ho autostima. In competizione non mi ci metto nemmeno, non sono degna. A me è stato inculcato che “non è mai abbastanza” nemmeno quando eccelli, quindi nella mia mente faccio schifo per definizione. Mai potrei pensare di poter lasciare qualcosa di decente agli altri.

Credo che la mia terapista ogni tanto vorrebbe abbracciarmi perché sono un caso senza speranza :asd:

Comunque anche io faccio fatica a capire le persone che non hanno hobby, mi chiedo sempre che facciano a casa se tipo la tv si rompe :asd:

Non voglio certo sovrappormi al percorso terapeutico intrapreso, avrete affrontato questo argomento in maniera più articolata, ma la competizione è un criterio artificioso e tu sei giudice di te stessa, esistono traguardi in relazione a scopi dettati da obiettivi certo, ma non un valore di merito intrinseco nel successo; e tieni solo presente come benchè forse non sei e magari non sarai mai in grado di valutare consapevolmente e pienamente il bene lasciato nella tua scia, sii solo comunque certa di averlo fatto.

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Io banalizzo forse un attimo il discorso, ma se non sei un top 30 under 30, raccontaci come hai buttato via la tua vita, figliolo.

Secondo me comunque è un discorso molto più facile da affrontare di quel che sembri, o almeno lo è se si è in grado di fare un certo percorso di autoconsapevolezza (quindi, mi son contraddetto da solo :asd:).

Per me funziona così, devo rispondere alla domanda “come mai vuoi ardere di una luce più intensa dei tuoi pari?”.
Posto che non ho mai sentito particolarmente questo bisogno, anche perché la vita mi ha posto addosso abbastanza pressioni a performare, sopratutto quando fisiologicamente non avevo i mezzi per gestirle, dal reagire con l’allontanare o allontanarmi qualunque entità potesse esercitare queste pressioni.

Ma la domanda rimane valida. Partendo dagli estremi dello spettro della domanda, da “cosa pensi succeda se riuscirai a fare la luce più intensa?”, a “ed invece se non riesci a fare nemmeno un po’ di luce?”, secondo me inizi a capire che cosa tu voglia dalla vita.

Thread interessantissimo, domani al posto di lavorare scrivo un papello.

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this is the way

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Hmm attenzione, perché lo vedo anche nei reply di Grismi, che non si tratta tanto di metriche di performance o rivalere sul prossimo.

Il concetto di trattare ad esempio l’arte come un lavoro, che poi è quello che la Sontag critica nel suo saggio sulla fotografia parlando di come i giapponesi in vacanza usano la fotocamera come necessità di sentirsi al lavoro, esula del tutto da questo aspetto. So prendermi dei tempi di assoluto zero.

Però poi sono in vacanza, visito un museo d’arte e mi trovo in una stanza con foto di Andreas Gursky, Jeff Wall e Gregory Crewdson, i miei tre fotografi preferiti, e niente, dal nulla praticamente scoppio in lacrime.

Perché so che ho le capacità per fare qualcosa di bello come stanno facendo loro - andrebbe bene anche meno ma il senso rimane quello, e sarebbe stupendo lasciare un mio punto di vista, ma o mi manca la forza di volontà, il commitment, magari la sicurezza in me stesso.
E invece di agire mi fermo e comincio a ragionare su cosa mi manca per ottenere quel risultato, o a piangermi addosso perché ho troppo lavoro, che vero o non vero che sia comunque la vivo molto molto male.

Ne parlo con i miei amici e proprio non riusciamo nemmeno a connettere su quel “piano”, c’è chi si gioca l’ultimo gioco ed è contento, chi si spacca l’ultima bella serie tv, il weekend da qualche parte e via andare.

O anche @khansen che è un bravissimo fotografo, nel tempo che io solo vagamente ho ragionato al soggetto di quello che vorrei fare lui si è autoprodotto un libro, un film, 200 festival. Lo invidio (con positività ed aspirazione) molto. Come ai tempi invidiavo @gnj etc.

Sono molto confuso, in generale, su come si proceda, e su come il prossimo decide di procedere. Se è un processo nel quale si prendono decisioni consci o se quel che arriva arriva.

Gnr quando parli di emergere intendi che aspiri o vuoi un riconoscimento dagli altri? Vuoi che riconoscano il tuo “solco nel mondo” e ti dicano bravo?

O solo che riconoscano che esisti?

Cioè per farmi capire meglio, gli altri, il pubblico, sono parte dell’equazione nella tua insoddisfazione e aspirazione?

Se vuoi rispondere eh.

Nessuno c’ha la formula: procedi come ti riesce a stare meglio. Se per stare meglio devi fare cose, falle. Se per stare meglio devi cercare di imparare a startene calmo, fai quello.

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Questo - tu sostieni che non sia una logica del rivalere sul prossimo, ed hai ragione, ma il taglio è più sottile di così e per me qua borzo sta facendo le domande giuste.

No zero, state ipotizzando o proiettando, siete super fuori strada.

Va bene anche che non lo veda nessuno, o mi arrabatterei sui social, voglio boh un cazzo di libro o una stampa esposta che reputo essere la fine del mondo per mio personale giudizio.

Ma astratelo a qualsiasi cosa, boh fare una scultura, fare un quadro, scrivere un libro, qualcosa di bello che ti caratterizza come umano, “gnr ah si quello delle foto interessanti, chissà che fine ha fatto”

Ritieni di poter essere l’unico giudice attendibile della tua produzione artistica? Senza alcun feedback esterno?
L’ultima frase ha un minimo di contraddizione con le prime due, elabora un pochino :asd:

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