dire di no, dire di sì

:kiss:

Torno oggi a casa con 8kg in meno, a un peso che non vedevo sulla bilancia dal 2016.
A quanto pare ho creato un po’ di scompiglio, mi è stato detto, e cito “allora hai fatto innamorare mezzo ospedale eh?” :rotflfast:
C’è stato anche un abbozzo di storia con una ragazza, ma non c’erano i presupposti per andare avanti, non riesco a togliermi la sensazione che abbiamo entrambi schivato una pallottola.
edit. siamo rimasti che ci sentiamo e vediamo come va :smile: alla fine non abbiamo avuto il tempo di conoscerci reciprocamente e vogliamo entrambi darcelo, pallottola o no :rulez:

1 Like

In due mesi sono passato da 5mg a 1mg di lorazepam al giorno. Altre tre settimane e lo elimino del tutto :sisi:
L’ansia c’è ma le sensazioni relative ad essa sono cambiate, sono meno violente e più gestibili. Ho una percezione della realtà migliorata, sono più lucido e presente, non sento più quel “velo” fra me e le altre persone e il mondo che prima mi dava una sensazione di estraniazione praticamente costante e insuperabile. Il tutto con la mia psichiatra assente da due mesi abbondanti per infortunio, quindi con la supervisione del solo psicoterapeuta (anche se mesi fa la psichiatra mi aveva dato il benestare perché io provassi, quando me la fossi sentita, a ridurre la dose), il quale a mia domanda diretta mi ha risposto espressamente che non ho un disturbo d’ansia “strutturale”, ma che le mie problematiche in tal senso sono solo contingenti a fattori esterni.

Ah, la tipa di Piancavallo non ci sentiamo da mesi, pallottola schivata confirmed, era più pazza di me :joy:

Pochi giorni dopo l’ultimo mio post qui dentro mi è arrivata un’offerta che non potevo rifiutare: candidarmi per un bando come coadiutore amministrativo nella pubblica amministrazione. Sono stati 4 mesi di lavoro intenso sulle motivazioni, sull’ansia, sulle fobie, sulle risorse, sulle relazioni. E sono arrivato preparato alla giornata di ieri: ho timbrato alle 8:24 e sono uscito alle 16:00. Dieci anni fa in questi giorni dell’anno ero in reparto psichiatrico.
Ho fatto tutto a modo mio, ed è la cosa più importante, perché è vero che ho dovuto sforzarmi di modificarmi nell’intimo per arrivare a questo che è il più grande risultato degli ultimi 12 anni, ma ci sono arrivato in modo naturale, perché le cose che ho vissuto e ho scelto sono cose che sento che mi appartengono, che non ho fatto solo perché qualcuno mi ha indicato la via.
1 giorno di lavoro di per sé ovviamente non significa che è tutto fatto e che posso sedermi sulla situazione per come è ora, è un tirocinio formativo e fra sei mesi si vedrà se sarò stato capace di guadagnarmi la fiducia necessaria perché venga convertito in tempo indeterminato. Non è quindi ancora tempo di sbocciare la bottiglia buona.

Mi ero ripromesso di scrivere post in questo thread solo quando avessi realizzato dei risultati concreti, e il fatto che stiate leggendo queste parole è perché PER ME la giornata di ieri significa moltissimo, PER ME la giornata di ieri è l’inizio di una vita in cui la concretezza è la normalità e non più solo una condizione immaginaria di cui qualcuno mi ha promesso l’esistenza, di cui qualcuno mi ha detto che un giorno sarei potuto essere così.
Oggi SONO cambiato, e questo è un cazzo di fatto.
W la vita

8 Likes

Bravo Face, continua così. Fa sempre piacere vedere gente che riesce a tirarsi fuori dal fosso che si sono scavati da soli con la forza di volontà e l’impegno. Mi permetto di dirtelo perchè ho fatto un percorso simile.

Forza di volontà e impegno, sì ci sono stati e ci saranno. La svolta però è arrivata quando ho capito che potevo e dovevo cambiare disposizione d’animo, nei confronti di… quasi tutto direi: le persone che mi stavano intorno, i terapeuti, le mie problematiche, le mie aspirazioni, me stesso, in ultima analisi. Ho poi cominciato a sostituire il “è impossibile, non c’è la farò mai” con il “vediamo fin dove arrivo, mal che vada rimane tutto così com’è”. Certo ha aiutato la maturata consapevolezza che in fin dei conti il mio problema è “solo” una sfera emotiva compromessa e delicata, per cui nei momenti di sconforto, come anche in quelli di esaltazione, mi sforzo di realizzare che è tutto nella mia testa, che le sensazioni che provo, e che mi condizionavano fino all’impotenza, sono reali solo fino a un certo punto. Ora riesco sempre più spesso a osservarle in maniera critica, so che posso sopportarle indenne nei momenti acuti e che devo fidarmi delle indicazioni e dei suggerimenti che mi sono arrivati nel tempo dalle persone che sono state disposte ad aiutarmi. Ho sempre una certa difficoltà a percepire emotivamente l’affetto degli altri, ma ho imparato che c’è anche se non lo sento “a pelle”, e non sentirmi più solo (non lo sono mai stato in realtà, ma certe ferite mi hanno fatto sentire davvero isolato) è stato ed è un grandissimo aiuto.
Il problema principale, comunque, è stato credere. Credere che nella mia vita potesse ancora accadere qualcosa di bello. A un certo punto ho anche smesso di desiderare che questo qualcosa di bello fosse per sempre, sono “sceso dal pero” e ho iniziato ad accettare che i miglioramenti della mia condizione fossero temporanei: sei mesi di tirocinio e poi chissà, contratto a tempo indeterminato ma chissà con quali mansioni e sotto quale capo, situazione economica migliore ma non certo sovrabbondante, situazione abitativa che forse potrò cambiare ma chissà come e quando… Insomma, meno mania di controllo nell’assicurarmi una condizione stabile, e più riconoscenza di quel che c’è OGGI.
Questi i cambiamenti interiori. Per quanto riguarda l’operatività c’è ancora molto su cui lavorare, in primis il peso corporeo e la forma fisica in senso generale. Sono colpito da quanto sia ostico il disturbo alimentare, pensavo che riprendere a vivere in mezzo alla gente mi avrebbe motivato quasi per magia, ma non è così, c’è qualcosa di molto profondo nel mio rapporto insano con l’alimentazione. È la risposta sbagliata a problemi reali, mi viene spesso da dire… Ma mentre lo scrivo qui ed ora mi viene anche da pensare che prima ho scritto che “è tutto nella mia testa”, e che forse questi problemi cui imputo la mia situazione di forte obesità così reali non siano. Sicuramente reali sono le emozioni che mi spingono a cercare pace e tranquillità, ma il meccanismo per cui mangio in risposta a questa spinta è probabilmente innescato da un cortocircuito mentale, che però mi sa che sta in una dimensione di comprensione cui da solo non ho accesso, ne parlerò (ancora) con lo psicoterapeuta.

1 Like

CHE DIRE
da un mese ho lasciato il lavoro :argh:
non ho retto la situazione, li ho contati: 15 giorni effettivi di lavoro.
ma in questo ultimo mese nella mia testa e intorno a me sono successe cose, spero che a posteriori potrò confermarle come progressi quali al momento sembrano essere. progressi principalmente nella sfera emotiva, quella parte più debole della mia persona.
nella mia vita sono accadute e mi è successo di fare molte cose molto brutte, veri e propri traumi alcuni una tantum altri trascinati e perpetrati per anni. queste cose hanno lasciato un segno dentro di me, e ci è voluto davvero molto molto tempo per ricostruire quasi da zero una sfera affettiva letteralmente devastata, e intendiamoci, c’è ancora molto lavoro da fare.
ho però iniziato a realizzare veramente quanto vero amore incondizionato c’è nei miei confronti da parte delle persone che mi circondano, in primis i miei genitori, i miei fratelli e via via allargando il cerchio alla cerchia dei parenti (siamo una famiglia “allargata” a zii e cugini molto unita) e amici/amiche. dicevo in primis i miei genitori perchè hanno reagito al mio fallimento lavorativo senza crocifiggermi come mi sarei aspettato (oddio, mia madre aveva pronta la sparachiodi :asd: ma poi ha capito la situazione e si è decisamente ammorbidita) ma supportandomi al punto che in poco tempo erano già pronti a concedermi qualcosa che avrebbe significato molto per me, ovvero una situazione abitativa dove poter vivere in autonomia. lì mi sono reso conto che la fase di stallo alla messicana in cui eravamo arrivati a infilarci convivendo noi tre sotto lo stesso tetto poteva risolversi, contemporaneamente mi sono reso conto quanto erano disposti a darmi, solo perchè mi vogliono un bene che va al di là di tutto. al che, finalmente, ho percepito una sensazione di calore da parte loro, una sensazione che le cauterizzazioni emotive, i traumi di cui sopra, avevano schermato per troppo tempo. al momento la questione abitativa è in stand by, ma è un’opzione sul tavolo, uno spiraglio mentale che mi aiuta a non percepire questa situazione attuale come asfittica come invece era prima.
il video che ho linkato ad Hans

mi ha fatto capire un po’ di cose. la prima è che da solo non vado da nessuna parte (e rendermi conto davvero di non essere solo è stato un passo importante, cruciale direi); la seconda è che certi miei disagi (non tutti eh, questo lo so bene) non sono colpa mia: se sono “rotto dentro” è perfettamente normale e comprensibile visto il mio vissuto; la terza (conseguenza della prima) è la direzione da prendere: cercare un contesto di socialità in cui poter vivere esperienze significative, che mi facciano un po’ sentire che la mia vita ha senso, in un contesto magari protetto come un gruppo di supporto o anche non protetto ma friendly nei confronti delle persone con problemi (pensavo tipo a un corso di batteria nella scuola dove mio fratello insegna il suo strumento o con un altro maestro amico per vie traverse del suocero di un altro fratello… insomma contesti dove poter essere introdotto con un occhio di riguardo e magari spiegando un po’ la situazione); la quarta cosa che ho capito è quale errore ho commesso nel lasciare il lavoro: non mi sono confrontato con il mio tutor interno.
qui apro un nuovo paragrafo. ero talmente “assediato” dalle mie paranoie e ansie e fobie dovute alle sensazioni di solitudine e isolamento, direi proprio alienazione, da non riuscire nemmeno a immaginare e capire che in realtà tutte le pressioni, aspettative, stress e condizioni che mi creavano disagio non fossero reali ma solo nella mia testa. era un cazzo di lavoro per categorie protette per invalidi psichici, e lo sapevano tutti. NESSUNO si aspettava NULLA da me, solo che facessi quello che riuscivo a fare. tutta l’ansia da prestazione e la sensazione di impotenza di fronte a chissà quali problemi erano unicamente frutto delle mie paure. non riuscivo a percepire colleghi e tutor come figure amiche, mentre li vedevo invece come giudici inflessibili che aspettavano solo di sottolineare i miei eventuali errori e scartarmi dal “programma”. non era così ovviamente.
di batoste ne ho prese tante, e sono fragile: mi dico che era una bella occasione persa, ma che l’importante a questo punto è l’esperienza per la prossima occasione che arriverà.
la quinta cosa che ho capito, quindi, è che lì fuori ci sono persone che mi possono aiutare e che lo vogliono anche fare, alcune lo hanno addirittura scelto come lavoro o missione, ma devo tendere una mano e afferrare la loro mano tesa, e fidarmi di più di dove mi vorranno condurre. e se non faccio io il passo di tendere la mano, non succederà mai nulla.

Dire di sì a quella cosa che somiglia davvero tanto a quella scatola di cioccolatini. Accettare tutti i gusti e sentirli per bene. Imparare a scegliere i cioccolatini, ad alcuni dire di sì, ad altri dire di no, secondo i propri criteri dettati da possibilità e preferenze. Quando trovi un gusto nuovo è strano, magari ti piace, magari no. Sicuramente in entrambi i casi ti ci devi abituare, che quando trovi quello buono davvero, è strano forte. Ma solo perché è nuovo, perché non hai mai assaggiato niente del genere prima.

mando un caro abbraccio a tutti gli utenti che hanno contribuito a questo thread in questi 12 anni, siete una squadra fortissimi e so che molti hanno partecipato con un certo affetto.
Chiederei di lockare e lasciarlo cristallizzato, perché la risposta alle domande d’apertura alla fine è emersa, dentro di me, ma forse qualcuno vorrà rispondere, non so, vedete voi :smile:

sei una persona speciale, di quelle rare.

Non ho mai avuto un vero zio finché non sei arrivato tu, Hans

L’altro è @xEnd3r

1 Like

Oddio e io che c’entro? :asdpunk:

La metafora del bosco e dei genitori uccisi e sepolti.

Ah si. Leggi il post che ho appena messo… ti aiuterà a capire cosa vuole davvero dire uccidere i genitori e nasconderli nel bosco.

Letto
Sento l’urgenza impellente di una seduta extra con lo psicoterapeuta, ma mi tocca aspettare martedì.

Io con lo psicoterapeta ho chiuso il giorno che ho accettato le mie emozioni e la loro ambivalenza: essere lieto della morte di mio padre, provare disgusto al ricordo di quello che faceva, sentire la sua mancanza e provare gratitudine per aver cercato - in modo perverso e contraddittorio - di fare di me una persona migliore di lui.

A posto allora, ambivalenza era quello che mi avrebbe detto il terapeuta. Tendo ad assolutizzare, per indole, abitudine, forma mentis. Forse nell’illusione che focalizzando all’estremo io riesca a dare tutte le risposte.

Edit e leggo ora che hai aggiunto di là quello che stavo per scrivere, ovvero che sono in fin dei conti arrivato a formulare il mantra che recita “superare, non risolvere”. Mantra che per inciso al mio terapeuta piace molto.

Alla fine è l’approccio più pragmatico e produttivo.

1 Like

Stavo pensando che, arrivati a un certo punto, l’unica dimensione temporale per cui ha senso lavorare è il futuro. Il passato è andato, il presente è effimero, il futuro ci sta aspettando.

Non concordo. In modo diverso, con tempi diversi e priorità diverse, io vivo in tutte e tre le dimensioni.
Il passato è quello che mi definisce. Io sono il risultato di quello che è accaduto, delle scelte, delle parole dette, dei risultati delle mie azioni. Come avrai intuito per me la nostalgia è un’emozione molto più costosa che per altri, ma il passato è importante perché ci spiega come siamo arrivati all’appuntamento con oggi: che carte abbiamo in mano, che partita stiamo giocando, che cosa speriamo di ottenere e via dicendo.
Il futuro per me è una dimensione che ha importanza secondaria. Ho vaghi obiettivi a lungo termine, ma non punto molto su questi. Non spero davvero di realizzarli e non lego la mia felicità al loro raggiungimento. Avevo un obiettivo, sin da piccolo, ed era diventare scrittore. Ci sono riuscito e ho scoperto che non mi ha dato quello che speravo, ma solo un vaghissimo ed effimero sentimento di realizzazione. Ogni meta sposta il traguardo più in là. Vuoi diventare scrittore? ok, ma poi vuoi diventare uno scrittore noto. E poi vuoi diventare uno scrittore famoso e poi vuoi vincere premi. Idem con la carriera o con i soldi. Nella mia limitata esperienza non ho trovato nessuno che si è mai detto soddisfatto di quello che aveva raggiunto, ma semplicemente aveva spostato l’asticella un po’ più in la.
Allora il futuro è solo una dimensione che si valuta per necessità, per scelte strategiche che avranno ripercussioni, ma non per felicità o altro.
Io vivo il presente il più possibile.
Gioco con mio figlio, gli leggo un libro. La sera massaggio i piedi di mia moglie e il suo sorriso mi da qualche cosa, subito. Vado alle fiere e presento le mie ricerche e se qualcuno nel pubblico è interessato e mi fa domande, ne traggo soddisfazione. Il mio orizzonte futuro è un futuro prossimo che valuto solo perché domani ci sia un presente piacevole. È solo nel presente che riesco a mettere le mie coordinate.