Creazione universo

Non so se il tema sia già passato per questi lidi, però leggendo un passo di Dante, da Paradiso XXIX, vv. 10-21, che riporto:

Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto
là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. 12

Non per aver a sé di bene acquisto,
ch’esser non può, ma perché suo splendore
potesse, risplendendo, dir "Subsisto", 15

in sua etternità di tempo fore,
fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. 18

Né prima quasi torpente si giacque;
ché né prima né poscia procedette
lo discorrer di Dio sovra quest’ acque.


Parafrasando succintamente il passo, D. afferma che Dio creando l'universo per amore, in una condizione fuori dal tempo, creò anche il tempo e lo spazio.
La mia domanda è: quanto può essere visto questo passo come quello che ora chiamiamo teoria del big bang? Ponendo come primo motore Dio medesimo.

Sono a secco sulle teorie scientifiche e filosofiche più recenti sulla questione, per cui se qualcuno ha interesse a farmi il punto gli sarei grato


Dal punto di vista scientifico, le forze che fanno muovere le cose ora in ultima analisi devono essere le stesse che hanno fatto partire il Big Bang.

Nella teoria più in voga devi vedere l'universo come un blocco a 4 dimensioni, una roba così giusto per buttarla in caciara:



Il tempo è l'asse verticale, poi vedila come vuoi vederla. Ci sono molti problemi concettuali: che vuol dire "creazione atemporale", se il tempo "inizia" alla base in che senso è stato "creato" ecc...

I fisici si intrippano più con XXXIII,85-91 per via delle teorie unificate delle forze che hanno (dovrebbero avere) una forma concisa ed elegante, ma che danno vita a un universo caotico.

Più o meno è l'idea che mi ero fatto, da profano della materia, sulla facenda.

Però appunto, al di là dei problemi concettuali, io ci vedo un parallelismo tra la creazione dello spazio-tempo con queste teorie e la risposta che dà Dante, anche nel punto: "le forze che fanno muovere le cose ora in ultima analisi devono essere le stesse che hanno fatto partire il Big Bang." direbbe che è l'amore con cui ha creato l'universo, è lo stesso che lo muove e che lo fa tendere a Lui.
Risposte "medioevali" fin che vuoi, però per me è sempre affascinante vedere come la poesia abbia tentato di arrivare dove l'intelletto (per ora) non può.



Interessante abbiano letto quei versi così, mi piace.


Eh ma così Dio non è motore primo in particolare, è anche motore ultimo e motore in mezzo non è la concezione di causa prima.

Infatti volevo limitare il ragionamento sul primo punto, senza allargare al resto, sennò non si finisce più.

Anche perché non è che si possa facilmente applicare il principio di non contraddizione ad un ente uno e trino senza passare per dogmi di fede e senza fiondarsi, per l'analisi, nella coppia virtù informante/virtù morale; però, ecco, questo è un altro discorso.
Non sono idee di Dante. Guarda il libro XI delle Confessioni di Agostino. Credo che Agostino sia stato il primo a concettualizzare (almeno per esteso e nel dettaglio) l'idea della creazione del tempo da parte di Dio, e dunque l'idea di un Dio che precede il tempo ma in realtà non precede un bel niente perché, fuori del tempo, non può esserci un prima o un dopo.
E' possibile che Dante in quei versi avesse anche in mente qualche referente più prossimo tratto dalla scolastica (il passo suona un poco scolastico, in particolare il subsisto), ma non ho una chiara idea della nozione del tempo nella filosofia scolastica.

Grazie per lo spunto, vedrò di leggere con calma.

Le teorie moderne con cui comparare la faccenda mi sono un po' oscure, però mi consolo che, alla fine, siamo nell'ambito delle domande senza risposta.

Rimane la curiosità di confrontare le intuizioni dei secoli passati e le ricerche contemporanee
In generale i risultati scientifici (non il metodo però) mi sembrano più affini al buddhismo che al cristianesimo, al massimo.
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Molti anni fa, con l'ausilio di un amico cipriota che attualmente insegna filosofia a Londra, ci riproponemmo di tradurre la parola "universo" in greco. Tanto nel greco classico quanto nel neogreco.

τὸ πᾶν


Giusto. O anche meglio, in neogreco, σύμπαν.
E, fino a qui, nulla di strano perché se anche le due parole non sembrano denotare concetti del tutto sovrapponibili, non sono comunque rari i casi di non perfetta traducibilità da una lingua all'altra. Da ciò in ogni caso convenimmo entrambi che l'universo, in senso concettuale, ebbe una genesi ben precisa all'interno dell'ambito linguistico latino che mancò allora nella grecità contemporanea ed in un certo senso continua a mancare tuttora.
Il termine greco moderno secondo me è una traduzione filologicamente accurata del latino uniuersus. Il latino universus deriva da unus + vertere. Ora, premesso che non ci ho fatto alcuno studio, la mia personale percezione del modo in cui questo aggettivo è usato nel latino classico, col significato generico di 'tutto', non specificamente riferito al cosmo ma a qualunque insieme completo, ebbene, la mia percezione è che uni-versus significhi 'volto in uno', nel senso di numero di cose plurali considerate come una cosa unica. Universi homines, per es., letteralmente significherebbe homines versi in unum: c'erano quaranta uomini, quanti ne hai uccisi? Universi, cioè gli uomini non sono più considerabili secondo gruppi plurimi, ma secondo un solo gruppo comprendente la totalità degli uomini in questione.

Ora, posto appunto che universus non significa cielo stellato ma significa insieme complessivo di elementi, come rendere questo concetto in greco? Ed è qui che trovo che σύμπαν sia un'ottima traduzione del significato latino reso secondo la morfologia e la semantica del greco.
Unus, anzitutto, non puoi semplicemente tradurlo con εἷς, perché l'εἷς greco non ha la tradizione d'uso che ha l'unus latino in universus. Ti serve un termine che in greco significhi l'insieme che unus indica nel composto latino uni-versus, e quel termine c'è, ed è πᾶν.
Resta da rendere il secondo termine. Ora, come scrivevo prima, l'aggettivo universus indica un'inclusione: di più, indica un'inclusione attraverso l'immagine di un movimento (verto è un verbo di movimento), coerentemente con quella ch'è la norma nella storia delle parole, che in genere passano dalla significazione di azioni concrete all'indicazione di concetti astratti. Ebbene, come rendere in greco l'idea di questa inclusione materiale, di questo movimento concreto? Il greco ha un lemma per queste cose, e quel lemma è σύν, usato in una miriade di composti per indicare una completezza, una totalità nell'azione considerata. Il movimento risultante sarà più inclusivo rispetto al movimento presupposto da universus, che invece indica un movimento da A a B, se la mia intuizione è corretta, ma questa è una conseguenza della resa di unus con πᾶν per le ragioni sopra considerate.
E πᾶν in latino?
Non ho capito
Tradurlo in latino.
Il πᾶν aggettivo semplice o il πᾶν come 'universo'? Il πᾶν (neutro singolare) come universo probabilmente lo tradurrei con omnia, cioè il neutro plurale di omnis (ogni). Sarebbe interessante andare a vedere le traduzioni latine moderne di testi filosofici greci, per vedere come i traduttori hanno risolto il problema laddove fosse implicato πᾶν come universo, salvo che siano andati direttamente per la traduzione in universum; ma omnia, di massima, mi sembrerebbe una traduzione più aderente al significato originale.
Ma ti aspettavi una risposta seria oppure prendi per il culo?
Lorix sembrava accennare alla domanda del perché i latini abbiano concepito l'universo invece di rimanere su omnia.
Mah, uno dei punti impliciti del mio discorso è che la storia concettuale dell'universo e la storia del vocabolo universus sono due storie distinte: in latino universus è un semplice aggettivo per designare un insieme o una totalità, che occasionalmente può essere impiegato anche per indicare un insieme cosmologico, ma che non possiede alcun legame preferenziale con la sfera cosmologica. La storia concettuale dell'universo moderno probabilmente non ritiene molto delle specificità del termine (col suo concetto sottostante) impiegato per designarlo (rispetto ad altri modi per designare il 'tutto'). Sarebbe da vedere quando il concetto cosmologico abbia iniziato a sviluppare un legame tendenzialmente esclusivo con il termine universus. Probabilmente si tratta anche di tempi abbastanza recenti.

Magari il vertere può aver suggestionato per via dell'immagine del movimento, collegata all'idea del movimento delle sfere celesti, ma quello non era il senso col quale il termine universus era impiegato come aggettivo, essendo impiegato per designare roba perfettamente stabile, che non si muove, fin nel tardo medioevo: insomma, era un aggettivo come gli altri per designare un insieme o una totalità, non era una 'unità che si muove'.
In realtà non vedo questo aspetto dinamico, almeno nel contesto della storia della scienza è clamorosa la fissazione per un universo statico (nonostante, a posteriori, dei semplici ragionamenti che sfiorano la fisica da liceo portano all'ovvia conclusione che non possa essere). A tal punto che Einstein forzò le sue equazioni a portare ad un Universo statico tramite la sua costante cosmologica (si rivelò essere un equilibrio instabile). Cambiarono idea solo dopo osservazioni astronomiche con Hubble, quindi solo l'evidenza empirica portò ad uno scenario nemmeno teorizzato fino ad allora.

Invece continuo a pensare all'aspetto "oggettivato" di universo, proprio come dici sembra essere la "somma delle parti" piuttosto che la totalità in senso ampio.