4 novembre - Il giorno delle elezioni midterm USA 2014 è giunto. Nella giornata di oggi gli statunitensi si recheranno al voto, anche se per questioni di fuso orario si conosceranno gli exit poll solo nella notte e i risultati domattina. Barack Obama rischia grosso: certo di perdere la Camera, potrebbe veder cadere in mani repubblicane anche il Senato, situazione che azzopperebbe pesantemente gli ultimi due anni di presidenza. Ci ha provato a ribaltare le sorti, il presidente USA, picchiando sul tasto della diseguaglianza tra lavoro maschile e femminile, provando a tornare sui temi della speranza che avevano fatto la sua fortuna nel 2008, provando a trasmettere un po’ di orgoglio a un elettorato di sinistra profondamente deluso.
“Se credete che gli sgravi d’imposte debbano andare alle famiglie dei lavoratori, non ai milionari, se pensate che dobbiamo investire di più nell’istruzione, dagli asili nido all’università, dovete andare alle urne”. Ma non basterà tutto questo, stando ai sondaggi impietosi: giovani, neri e ispanici (ovvero le colonne portanti dell’elettorato di Obama) si asterranno in percentuali molto importanti; pesano anche gli errori tecnici all’esordio della riforma sanitaria (che poi ha però preso a galoppare); pesano le paure e gli errori di fronte al virus Ebola; pesano le crisi internazionali che si sono moltiplicate, facendo dubitare che gli Stati Uniti siano ancora lo sceriffo del mondo (e infatti nell’ottica di Obama non lo sono più); pesa il fatto che la crescita economica non ha ancora portato vantaggi nelle buste paga. Il voto per i repubblicani non è un voto “per” il GOP, ma un voto di protesta contro Obama. Che rischia di buttare all’aria gli ultimi due anni di lavoro.
Elezioni Midterm USA 2014: due giorni al voto per rinnovare interamente la Camera dei deputati e 33 dei 100 seggi senatoriali (oltre a svariati governatorati). I sondaggi sulle elezioni di medio termine continuano a essere sfavorevoli ai democratici di Barack Obama, che con tutta probabilità si troveranno ancora contro la Camera ma che rischiano di perdere anche il Senato. Se lo scenario si realizzasse, per Obama gli ultimi due anni di presidenza sarebbero un vero calvario, trovandosi contro entrambi i rami del congresso e quindi nell’impossibilità di emanare alcune delle leggi che ancora il presidente ha in cantiere, su immigrazione, lotta al cambiamento climatico, innalzamento del salario minimo.
Lo scenario per quanto riguarda il Senato al momento è assolutamente in bilico, e secondo alcuni gli scenari più negativi sono fin eccessivi: è vero che i Repubblicani sembrano destinati a vincere i seggi senatoriali di Montana, West Virginia, South Dakota (prima in mano ai Democratici), ma è anche vero che i Repubblicani rischiano di perdere Kentucky, Kansas e Georgia. Insomma, per riuscire a vincere, gli esponenti del GOP dovrebbero vincere in tutti gli stati che al momento pendono dalla loro parte ma che sono ancora considerati in bilico: Alaska, Arkansas, Colorado, Iowa, Louisiana e North Carolina. Secondo le ultime proiezioni ai conservatori dovrebbero andare 49 seggi, ai democratici 46. Cinque seggi sono troppo in bilico anche per i sondaggisti, ed è proprio lì che si concentrerà il grosso della partita.
Barack Obama sta tentando le ultime mosse per provare a raddrizzare la partita e nel suo discorso di ieri ha rievocato alcuni dei toni che hanno fatto la fortuna della sua campagna elettorale del 2008: “Queste elezioni sono troppo importanti per restare a casa. Non lasciamo che qualcuno scelga il futuro per noi e che il cinismo e lo status quo vincano sulla speranza. La speranza è quella che ha sconfitto il fascismo, che ha dato ai giovani la forza di marciare per i diritti di neri, gay, immigrati e donne. Il cinismo è una scelta. La speranza la scelta migliore”. La chiave per una possibile vittoria, a quanto pare, è tutta nelle mani del voto femminile. Non è un caso, infatti, che Obama abbia parlato del problema del lavoro femminile: “Basta alle donne pagate meno degli uomini”.
Le donne, l’ultima speranza di Obama nel momento in cui i giovani e le minoranze etniche, in generale, si recano alle urne molto meno volentieri nelle elezioni di medio termine; nel momento in cui gli afroamericani sembrano in parte aver voltato le spalle al “loro” presidente; nel momento in cui tra gli ispanici solo il 50% appoggia Obama, contro il 71% del 2012. Scendendo più nello specifico della composizione elettorale, alcuni hanno sottolineato il peso che potrebbero avere gli elettori nativi americani, mai presi in considerazione dalla politica nazionale, ma molto presenti in South Dakota, due stati chiave per la composizione del Senato, dove rappresentato rispettivamente il 9 e il 15% della popolazione. Un voto, quello degli “indiani”, che in passato ha sempre premiato i democratici ma che adesso pare essere diventato molto più mobile.
Ma com’è possibile che Obama (visto che queste elezioni vengono lette comunque come un referendum sull’amministrazione) venga così penalizzato dall’elettorato nel momento in cui gli Stati Uniti si trovano al quinto anno di ripresa con la disoccupazione che ha raggiunto il valore minimo del 5,9%? Se un presidente avesse raggiunto risultati del genere in Italia probabilmente si attenderebbe un plebiscito. Soprattutto se si considera che l’economia è il tema più importante per il 91% degli americani (il 78% la sanità e il 74% la questione del virus ebola), ed è proprio l’economia il fiore all’occhiello della presidenza Obama. Sicuramente pesa l’attendismo e la poca decisione di Obama in politica estera, mal vista in un paese abituato a essere lo sceriffo del mondo, ma - secondo quanto riporta anche Federico Rampini su Repubblica - pesa soprattutto il potere d’acquisto in busta paga, che è fermo dal 2008 e che rende molto meno visibile la ripresa economica. Il risultato è che un presidente che, per quanto portato a casa in termini di crescita e occupazione, in Europa verrebbe probabilmente osannato, negli Stati continua a scendere nel tasso di “job approval”, che ormai lo inchioda al 42%, minimo storico della sua presidenza e livello molto basso anche in termini assoluti.
La probabile sconfitta dei democratici e il modo in cui si ripercuoterà sulla presidenza e sulle politiche di Obama secondo alcuni analisti potrebbero però avvantaggiare i Democratici in ottica USA 2016. Una considerazione solo apparentemente paradossale: se i repubblicani prendessero il controllo di entrambi i rami del congresso, ecco che le colpe della probabile mancata efficacia politica degli ultimi due anni di presidenza democratica potrebbero venire interamente scaricati sui Repubblicani, colpevole di bloccare ogni iniziativa con il loro immobilismo. In un paese abituato all’alternanza, potrebbe essere un ottimo viatico per la probabile candidata Hillary Clinton, che a quel punto avrebbe gioco facile ad addossare sui conservatori le responsabilità di quanto non fatto dal governo.