Singolari strappi alle regole


L'importante è conoscere se stessi. (cit)



Oh, si tratta di un concetto più semplice di quello che può sembrare dal contesto e dalla mia scelta dei termini: volevo semplicemente dire che pare non ti sia chiara la funzione del linguaggio e le ragioni che rendono opportuna la sua chiarezza. Soprattutto nell'ambito di un discorso scientifico o filosofico, la chiarezza del linguaggio è fondamentale per varie ragioni. Anzitutto per esigenze comunicative: non dico che la conoscenza scientifica e filosofica sia necessariamente il prodotto di uno sforzo corale, ma anche tu qui vuoi comunicare, sembri voler conseguire un risultato conoscitivo con l'apporto di altre persone, e inoltre fai impiego di strumenti e di presupposti concettuali che ti provengono da altre persone; quindi la chiarezza è essenziale al discorso scientifico o filosofico, chiarezza ch'è del tutto assente dai tuoi contributi.
Ancora, se la conoscenza è prodotta all'esito di un fenomeno discorsivo, non ci si può accontentare di un linguaggio raffazzonato, allusivo, impreciso, nebuloso, etc.: se la conoscenza appartiene alla sfera del discorso, l'imprecisione del linguaggio significa l'imprecisione ed, eventualmente, il mancato conseguimento di alcun risultato conoscitivo.
Ancora, sembra che non ti sia chiaro quello che dirò rispondendo alla seconda parte del tuo messaggio.



Questo dipende da argomento ad argomento, ma non sono sicuro che la risposta alla tua domanda sia così interessante come magari ti aspetti. Facciamo un esempio. Un discorso scientifico non può essere articolato solo come affermazione di principio: se io dico che i vescovi del V secolo contribuivano alla persecuzione degli eretici, non ho prodotto una conoscenza scientifica, ma ho espresso solo un mio pensiero. Se io invece allego una serie di evidenze e ne deduco che, ragionevolmente, i vescovi del V secolo contribuissero alla persecuzione degli eretici, allora ho prodotto una conoscenza, cioè una verità discorsiva, la cui portata è limitata dai presupposti del mio discorso (per esempio le evidenze che ho allegato) e dai criteri di validità del medesimo (per esempio i miei criteri di ragionevolezza). Questo significa che la portata della mia verità discorsiva sarà tanto più limitata quanto più scadenti siano i miei presupposti e i miei criteri (più in là significa anche che la mia concezione di 'verità discorsiva' non pretende di corrispondere alla verità ontologica, poiché i presupposti sono sempre limitati dal e al linguaggio; ma questo punto qui non c'interessa). I migliori presupposti quindi variano da argomento ad argomento: essi tendono a consistere nella quanto più completa considerazione delle fonti, nella completezza e consistenza dell'approccio teoretico, nella padronanza degli strumenti concettuali necessari ad analizzare un determinato fenomeno, e così via.
La bottom line, per cercare un po' di riallacciare queste banalità al tuo caso, è che la scienza (e la filosofia) non è fatta di intuizioni strampalate e male articolate, ma di argomentazioni. Le intuizioni e le frasi fumose e ad effetto non appartengono al dominio del discorso filosofico o scientifico.

Con parole tue quale diresti che sia la funzione generale del linguaggio?

E le finalità?




E se la fonte pare empiricamente inaccessibile?
Se precedesse ogni possibile oggettivazione strutturale e fosse pura e semplice immaginazione?
Che cosa sceglieresti di immaginare prima di interagire - con quale atteggiamento ti avvicineresti all'altrui immaginazione - misurando ed essendo misurato e con ciò determinando, secondo aspettative, proprietà /qualità /comportamento?
Il Conte mascetti zanzaro ve l'ha di nuovo infiocchettata per bene


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Siete fissati eh!

Il linguaggio non ha funzioni o finalità generali. E' curioso che tu imposti la questione in questi termini. Quale che sia la funzione del linguaggio in questo caso, invece, mi sembra di averlo più o meno già spiegato.



La filosofia si è occupata per millenni di questioni empiricamente inaccessibili, elaborando opportuni strumenti logici e percorsi argomentativi. E, a maggior ragione, è fondamentale la chiarezza del linguaggio e l'impiego di una logica ineccepibile: un'accozzaglia di impressioni espresse con un linguaggio fumoso e banale non è filosofia.
Insomma la realtà è calcestruzzo, ho capito.
Ok, continua a impiegare parole a caso per descrivere sensazioni che sono chiare a te solo e probabilmente manco a te. Ma hai mai letto qualcosa – che so – di Heidegger, di Wittgenstein, di Derrida? Insomma, di gente che ha fatto la filosofia negli ultimi 100 anni, con approcci molto diversi. Ma nessuno dei suddetti si esprime come te. Oppure l'unica filosofia che conosci sono i pamphlet di Mill e qualche robaccia New Age?


Tempo fa era fissato con Dennett
6, è che tu parli di argomentazione ma poi ti limiti a sentenziare. Mi stupisce che non riconosci una funzione generale del linguaggio; banalmente guidare l'immaginazione dirigendo l'attenzione in un senso o nell'altro (traducendo l'esperienza in un codice capace di attraversare mezzi extracerebrali per saltare da cervello in cervello sincronizzandone dapprima le funzioni immaginative, rendendo così possibili, per esempio, forme di collaborazione o funzioni collettive). Insomma convergere nelle visioni che ci portano a realtà accettabili. ...E la singolarità?

Mi sembra di avere argomentato, in questo thread. Quindi l'accusa del fatto che mi limiti a sentenziare è soltanto un ad hominem Il punto sul quale non ho argomentato e al quale qui in effetti ti riferisci (senza che per ciò sia giustificata la generalizzazione) è il seguente:



Ma: 1) lasciare alcuni punti della discussione senza una dovuta argomentazione è del tutto normale nello sviluppo di un discorso (anche perché il discorso e il dialogo si sviluppano secondo scansioni progressive che ammettono e talora richiedono argomentazioni successive); ma soprattutto: 2) il principio di distribuzione dell'onere della prova richiede che un'allegazione sia provata da chi la afferma, non da chi la nega; quindi, sebbene io potessi senz'altro allegare argomenti tali da rafforzare quella mia osservazione, all'interno di una discussione spetta a te argomentare che il linguaggio abbia una funzione generale, se lo affermi, e non a me argomentare che non l'abbia, se lo nego.

In ogni caso, non credo che il linguaggio abbia una funzione generale perché la nozione di funzione (generale) implica una caratterizzazione teleologica del predicato ch'è del tutto estranea alla mia impostazione di questo genere di problemi: quella che tu hai descritto mi andrebbe al massimo bene come uno dei modi d'essere del linguaggio, una delle sua possibilità, ma non come la sua funzione.
A proposito di teleologia, hai trascurato di rispondere a questo:
Mi sembra di avere risposto.
Funzione del discorso filosofico e scientifico:


Funzione del linguaggio nel contesto del discorso filosofico e scientifico:


Che altro dobbiamo chiarire?
Mi fai un esempio di uso del linguaggio che non rientra nella funzione astratta che ho descritto prima?
Ma non serve andare molto lontano: l'immaginazione stessa presuppone il linguaggio, più che essere guidata da esso. Quindi la tua definizione non mi può affatto andare bene, salvo che tu ti premuri di definire l'immaginazione in qualche modo particolare che preceda il linguaggio. Altrimenti l'immaginazione segue, non precede il linguaggio.
Che cosa è per te l'immaginazione?
Potresti anche definirla te, se ti preme usare il concetto. Per quanto mi concerne va bene la definizione del dizionario. Se tu vuoi usare il termine con un'accezione particolare, dovresti anche definirla.
ma zanzaro voi lo pronunciata zànzaro o zanzàro?

Le parole sono importanti
Io lo pronuncio zànzaro