Se tu fossi una vacca (CLICK BAIT)

[Son8erg ... perché continui a chiamarmi "z4nz4r0", vorresti che fossi lui?]

Si tratta sempre di scegliere che cosa tenere stretto e che cosa lasciare andare per la sua strada. Sono i due atteggiamenti fondamentali che fanno la vita: uno di attenzione e di sforzo, l'altro di distrazione e rilassatezza. Per mantenere qualcosa è necessario uno sforzo, per lasciarla basta non fare quello sforzo e rilassarsi.

Dedicandosi a raggruppare ciò che sta bene insieme, su ogni piano in cui si può intelligentemente distinguere e distribuire l'immaginazione, disponendosi nell'ordine che si vuole, si fa uno sforzo. Senza sforzo le cose capitano un po' a caso come in un sogno, più che essere scelte.

Ora dissociarsi dal sentimento di pietà a che cosa porta in fin dei conti?
Tecnologie certamente, dove spirito e virtù riposano comodamente.
Ma quanta comodità di ogni genere abbiamo già e di quante fregature dispone già la cultura capitalista, quanto è profondo il sonno dell'intuizione, in che genere di mondo ci si vuole risvegliare?

Incubi di numeri enormi che continuano a crescere inflazionando qualità.

Sogni di unità che integrano qualità.



Ora, qui ti voglio:
se tu fossi certo che, quando quello che ora è il tuo corpo comincerà a decomporsi e la tua presa attiva sulla realtà presente verrà meno, vivrai la stessa costrizione di una vita allevata in funzione di alcune tue attuali scelte di cui ora percepisci solo la parte di esperienza che ti piace ma la quale è causalmente legata a una parte di esperienza per te ora inconscia che si suppone non ti garberebbe altrettanto ... se ti sentissi certo di ciò (e lascia perdere il fatto che evidentemente ti senti certo del contrario o che non hai mai voluto affrontare il discorso per non curarti "troppo" della vita in generale) ... non faresti più attenzione nelle tue valutazioni, scorgendo una maggior profondità in ogni scelta che coinvolge gravemente la vita da cui il tuo, ora potente, sguardo si distrae?

Semplificando:
Dal momento in cui fossi certo che ti toccherà rinascere nelle forme che ora sei abituato a sfruttare impunemente, non sosterresti, ora, lo sforzo necessario per cambiare questa abitudine?
Negli ultimi giorni ho avuto le mani un po' piene e non sono riuscito a trovare il tempo per risponderti. Rimedio ora.


Ma ultimamente ti sei fissato su di una sorta di etica emotivista come qualche anno fa eri fissato sull'utilitarismo?

Comunque non c'intendiamo. Io la mia risposta te l'ho già data, e prescinde dal patetico e dall'assurdo del tuo ragionamento (se rinascessi mucca...). Io sono contrario all'inflizione di sofferenze materiali e psicologiche negli animali; ovviamente nei limiti logico-trascendentali di un'accettazione della vita come pratica che costantemente produce sofferenza come propria esternalità ovvero per il mantenimento di se stessa (vedi sopra, e anche le discussioni degli anni passati).
Il punto è che, come anche ti ho già detto, alla mucca "non gliene frega niente di essere mangiata". E, se io rinascessi mucca e dovessero mangiare me, conseguentemente non me ne fregherebbe niente, e non me ne frega ora pensando a quell'eventualità.
D'altra parte, il mio interesse per il benessere della mucca è già attuale e prescinde dalla mia capacità d'immaginare che io possa rinascere mucca. Semplicemente non identifico il benessere della mucca con una sua (immaginaria e antropomorfizzante) volontà di non essere mangiata o di vivere in un certo modo anziché in un altro.



Queste sono tue farneticazioni in contrasto col mio atteggiamento nei confronti di questi temi, come ho anche mostrato in questa discussione. E sono la dimostrazione che a te non interessa discutere, ma solo fare il predicatore da quattro soldi, completamente avulso dalla discussione.

Ho detto che stavo semplificando, ma senza attaccarsi troppo alla forma si può intuire il senso.
E d'altra parte quali sono i limiti entro cui l'esperienza si trasforma continuamente? E cosa rende propria un'esperienza se non una contiguità di scelte e di responsabilità che si conservano nella memoria?


Ma perché ricamare sulla "lotta per la sopravvivenza"? (o anche semplicemente tirarla in ballo).
La vita è in buona parte avventura e rischio, se non è parte di un allevamento artificiale. Si prende la vita di cui si ha bisogno e si cerca di scampare alla morte finché ne vale la pena. Il punto è che una certa vita, che si fatica anche a chiamarla tale (essendo più una mera sopravvivenza in cui la varietà degli stimoli è ridotta al minimo), con un piccolo sforzo si può facilmente intuire che non vale mai la pena di essere vissuta.
O ti andrebbe?

Infatti non mi sono attaccato alla forma, al di là di un commento legittimo, dato che il contenuto è anche la forma; ti ho risposto.



Non sono sicuro della pertinenza di queste osservazioni. Se ti aspetti una risposta in relazione a queste osservazioni, potresti esplicitarne il nesso rispetto alla questione della quale stiamo discutendo?



Perché la "lotta per la sopravvivenza" è reale. La pila di teschi sotto i tuoi piedi tu non la vedi?



Col mio cervello, no. Col cervello di una mucca, non farebbe molta differenza.

Facciamo rispondere lo zio Henri.
Secondo lo zio Henri (che trovo sempre molto convincente e persuasivo), gli estremi dell'esperienza sono da una parte il "ricordo puro" e dall'altra la "percezione immediata" (o pura). Sono limiti ideali che esistono più di diritto che di fatto poiché nell'esperienza concreta si trovano sempre allo stato misto, mescolati in qualche grado. Il ricordo (che è percezione passata, che non agisce più nel presente) non si dà mai puro nell'esperienza concreta in quanto per riemergere alla coscienza e prender parte come guida all'azione che si prepara nel presente deve essere rivitalizzato dalla percezione (che lo richiama per contiguità e somiglianza, come un'apertura adatta al suo passaggio); la percezione (che è una realtà colta intuitivamente) in quanto azione virtuale che resterebbe indeterminata se non traesse dal passato la sua direzione - sicché prende dal ricordo, (che è in concreto ricordo-immagine) la sua forma.
La pertinenza di queste osservazioni segue...


Di queste osservazioni non vedo io la pertinenza.


Il cervello, sempre in accordo con lo stimatissimo zio Henri, non è altro che un sistema di meccanismi motori: un organo o strumento che accumula abitudini. Con il resto del corpo è strumento di azione e solo questo. È ciò che tiene lo "spirito" (l'intuizione) aggrappato alla realtà del presente. Un sistema di meccanismi motori o, in altre parole, di azioni nascenti. In nessun caso genera percezioni e rappresentazioni, si limita ad organizzarle nella "memoria motoria" (che per inciso non è la vera memoria).
Ora, che il tuo cervello, insieme al resto del tuo corpo, sarà soggetto a decomposizione, significa niente di più che le tue personali abitudini (o meccanismi motori) saranno smontate (almeno fino a livello molecolare), che quindi la peculiarità di un'esperienza che ora non riesci a concepire diversamente, sarà liberata da questi meccanismi di azioni nascenti; e ancora, ciò significa che l'emergere dei ricordi ora regolato e tenuto a bada dal meccanismo cerebrale, non seguirà più alcuna logica attuale. L'esperienza di decomposizione sarà verso un'estremizzazione del sogno.
Il sistema di abitudini che ora caratterizzano l' "umano N6" si saranno squagliate e insieme ad esso l'esperienza caratteristica che accompagnavano.
Ma chissà, in questa visione di "materia e memoria", che luogo potrebbero avere il tormento di non aver fatto la giusta scelta o la tranquillità di averla fatta; l'aver difeso certe abitudini o l'avergliene voluto opporre altre, poiché un'ampia popolazione di complesse abitudini continuerà ad esistere e ordinerà a modo suo quel che resterà di ognuno di noi, ciò che consisterà per lo più nell'esempio dato.
Il ricordo sarà che una certa realtà ci va bene così / non ci va bene così.

La realtà colta intuitivamente (la percezione che evocherà quel ricordo-immagine) potrà essere in buona parte quella che in un modo o nell'altro, coscientemente o no, avremo scelto.
Ti chiedo scusa se non ho potuto rispondere prima, ma negli ultimi giorni sono stato molto impegnato (lo prova il fatto che mi sono perso questo interessantissimo topic di Forum Feedback, prima che fosse chiuso ).



Eh?
Ho sostenuto che l'inflizione della sofferenza su altri esseri sia parte ineliminabile dell'esistenza, e in quanto tale risulta in certa misura e in un certo senso giustificata. Questa situazione alla quale ho fatto riferimento mi sembra che tu la chiami "lotta per la sopravvivenza", o sbaglio? E mi chiedi perché ci ricamo sopra. Be', mi sembra ovvio, perché è quello di cui stiamo discutendo: l'inflizione della sofferenza è immanente alla pratica dell'esistenza. Non consumare prodotti di provenienza animale elimina solo una piccola parte di quella sofferenza, e questa stessa eliminazione è peraltro controbilanciata dalle sofferenze legate all'alternativa, cioè al cibo vagano, che non è mica pain-free. In altre parole, discettare sulla libertà della mucca mentre si siede inevitabilmente su una pila di teschi è miope e/o ipocrita. A me sembra pertinente.

Proverò a spiegarti questa cosa in un modo che possa risultarti più comprensibile
Tanto tempo fa, in una terra lontana, un re vide un bovaro che conduceva un bue, e gli chiese se il bue fosse destinato al sacrificio nel contesto di una cerimonia che si sarebbe tenuta di lì a poco. Era proprio così. Mosso da pietà nei confronti dell'animale, il re ordinò che il bue fosse salvato. Tuttavia, non volendo cancellare la cerimonia, decretò che al suo posto fosse sacrificata una pecora.

Ora, quel che a te probabilmente piacerebbe, è che il re della storia siamo noi uomini moderni che (il più delle volte) non tolleriamo di vedere ammazzati gli animali davanti ai nostri occhi, ma ci andiamo a comprare la bistecca già pronta al supermercato, incapaci di intuire la violenza che ha prodotto quella bistecca. Ti piacerebbe.

Io invece ti dico che il re della storia sei tu, che cerchi di salvare le mucche che i pastori conducono al supermercato, senza renderti conto di quelle legioni di pecore che sono costantemente sacrificate per mantenere quella cerimonia che tu non intendi cancellare ch'è la tua esistenza.



Rimarremo col dubbio. Comunque, se vuoi parlare di cervello nel 2018, ti consiglio di leggere, che so, Kandel, oltre a Bergson. Io ho letto entrambi. Il fatto che tu ora infili Bergson in ogni discussione (vedi l'ultimo esempio su Agorà qualche minuto fa) mi fa anche dubitare che sia sempre realmente pertinente.
Non c'è da sbrigarsela. Serve ben altro.


Riprendo questo punto per non disperderci nell'assurdità dell'off topic.
Accanto alle precedenti osservazioni metafisiche, voglio aggiungere delle considerazioni propriamente etiche.
Una durata è una durata. Non è qualcosa di relativo ma di assoluto.
Relativo può essere l'interesse per una durata che sia esterna alla propria. La durata di un altro vivente chiaramente non è la tua e non ti è così spontaneo intuirla ma non è neanche del tutto inacessibile e con un po' di sforzo qualche barlume lo si può anche recepire.
Il discorso che tu proponi per la maggiore pare essere che dato che "la mucca" (o qualsiasi altro animale "da allevamento") non ha modo di immaginarsi una vita diversa, che non è consapevole del fatto che la vita può essere ben altra cosa e alla fine dei conti pare che tanto ti basti: non può soffrire nel constatare la sua situazione nel confronto con suoi parenti selvatici o perlomeno decentemente liberi. [Decenza stabilita naturalmente dal non vedersi impedita la (umilissima) volontà di muoversi, di pascolare liberamente all'aperto, di accoppiarsi liberamente (anziché essere inseminate artificialmente) e di spostarsi dove più gli aggrada, giocandosi eventuali rischi e partecipando alla varietà di stimoli che solleticano i loro istinti. Di vivere la loro vita, insomma, e non di esistere meramente in funzione dell'uso e consumo di un'altra specie che fa come gli pare perché può, senza tanti scrupoli finché non si sente in qualche modo toccata].
Qualsiasi schiavo che sia sempre vissuto in certe condizioni di schiavitù potrebbe non saper concepire una vita diversa. Dunque non insorgerà, non si ribellerà, non darà problemi. Tutto a posto quindi?
Dici che per un animale non umano, benché complesso, c'è poca differenza, quanto a qualità di vita, tra vivere libero nella sua nicchia ecologica naturale e vivere nella costrizione di un allevamento artificiale. Ma come ti viene? Con che serietà stai considerando l'estrema diversità di questi due scenari?
Allora non sarebbe più onesto ammettere implicitamente, come fanno i più, che la faccenda interessa ben poco, che non ti sembra "affar tuo", se proprio non vuoi ammettere che sarebbe, in effetti, contro il tuo attuale interesse di conservare certe abitudini fare lo sforzo di considerare seriamente la diversità, sia in sé stessa che degli scenari possibili?

Hai un cervello che è diverso da quello della mucca. Vivi in uno scenario che è diverso da quello della mucca. Decidi che alla mucca (o chi per lei) va bene così perché non ha il tuo cervello. Non fa proprio una piega!

A tal riguardo non ho letto Kandel, però ho letto Edelmann e Ramachandran. Hai chiamato in causa tu il cervello, e comunque nel 2018 indicami pure se puoi una filosofia della mente che superi quella dello zio Henri.

Il paragone fra lo schiavo e la mucca non è pertinente alla mia posizione.
Io non ho affermato che la mucca non è consapevole del fatto che la vita può essere ben altra cosa. Se io avessi affermato questo, il tuo paragone con lo schiavo avrebbe senso. D'accordo: anche lo schiavo umano non sarebbe in grado di concepire una vita diversa, questo è persino un cliché. Ma non è quello che ho detto io della mucca.

La mucca, semplicemente, ha una limitata coscienza di sé. Cioè, non è che la mucca non sia capace di costruirsi l'immagine mentale di una vita diversa da quella, attuale, in allevamento (limitatamente a questo scenario, vale l'analogia con lo schiavo: neppure lo schiavo ne è capace), ma non è neanche in grado di costruirsi un'immagine mentale di sé e della propria vita attuale
E puoi anche venire a chiedermi che ne so io di quello che pensa la mucca, ma qui ti voglio. A parte il fatto che le ricerche sulla mente degli animali ci sono, l'onere della prova spetta a te. Io quello che vedo è che la mucca trae godimento dal benessere fisico immediato, e infatti su questo non ci piove: gli animali negli allevamenti devono stare bene; alle torture sono contrario anche io (e ci mancherebbe). Se tu però ritieni che la mucca abbia altre volizioni particolari, tipo che vuole correre libera nei prati verdi come lo sfondo di Windows XP, la regola della distribuzione dell'onere della prova impone che sia tu a dimostrare convincentemente che la mucca vuole questo, o quel che sia, però senza antropomorfizzare e senza proiettare la tua idea umana e linguisticamente costruita di mucca.
Ed è per questo che, fin dal principio, ti ho detto: chiedilo alla mucca.



Sì, e mi sembra di averlo chiamato in causa in termini che hanno assai poco a che fare con Bergson
Quanto alla filosofia della mente che superi Bergson, ma che vuol dire... Io non mi occupo di filosofia della mente, ma posso dirti che naturalmente la filosofia della mente è andata avanti dopo Bergson. Per esempio, in relazione a un campo col quale lavoro a più stretto contatto, vale a dire quello della filosofia del linguaggio, posso dirti che ragionare in termini bergsoniani ti porta probabilmente a fraintendere il rapporto fra linguaggio ed essere, intendendolo secondo termini che sono stati praticamente contraddetti da quasi qualunque cosa decente sia stata scritta da Heidegger in poi Infatti Bergson non è proprio un filosofo particolarmente in voga; alla fine Bergson è un esponente del filone per così dire 'metafisico' della filosofia occidentale, che, sì, è stato in un certo senso 'superato' dall'approccio post-moderno che ha essenzialmente superato il problema della presunta differenza fra il fenomeno e il noumeno.

Ma, assai più semplicemente, non è che uno si legge un paio di libri di Bergson, e poi prova a descrivere qualunque cosa in termini bergsoniani Cioè, ok, ma dici cose che hanno senso soltanto per te, che assumi per vere tutte le premesse bergsoniane del caso. Ma non è così che funziona la filosofia. La filosofia è un dialogo continuo, che si costruisce tenendo conto di quello ch'è venuto prima e di quello ch'è venuto dopo Bergson. Non è che siccome magari mi piace Platone, allora mi metto a descrivere tutto secondo la cosmologia, la psicologia, e la logica platoniche, convinto di dire cose intelligenti e di aver trovato la necessaria chiave d'interpretazione delle cose. Sì, magari 2'500 anni fa.

In soldoni, la mente della mucca non te la spiega Bergson.


Questo significa che la sua (della mucca o chi per lei) capacità di contrarre il passato nel presente non è intensa come quella di un umano medio e quindi si suppone che soffra meno la depressione. Questo pare evidente, non ho mai tentato di negarlo; e no, non ho abitudini antropomorfizzanti alla Disney.
Eppure in quelle condizioni un velo di tristezza lo trasmettono e chi non si tronca la sensibilità empatizza e coglie un'infelicità.
In pari condizioni di impotenza qualsiasi scemo soffre la depressione meno di una persona che vuole essere seria. Quindi va bene farne uno schiavo? Produrne a miliardi tenendo in bassa considerazione tutto ciò che non riguarda l'utilizzo che se ne può fare?


Ci vuole poco, basta togliere le barriere architettoniche e vedere se non si spostano.

L'aderenza del genotipo e fenotipo con l'ambiente in cui si è venuto a formare in coevoluzione (tratto di selezione artificiale a parte, come diverso motivo di infelicità) conterà qualcosa no?

Be', no, dipende. Io ho visto allevamenti in cui gli animali non sembravano sofferenti. E sì, erano a stabulazione libera Magari per te, dalla risposta che hai dato prima a catvet, sono depressi pure quelli, perché vogliono correre liberi nei prati, ma questa – disneyana o meno che sia – per me è una visione antropomorfizzante.

E comunque non dimenticare la mia premessa trascendentale, perché è fondamentale: l'esistenza è una pratica necessariamente immorale; i cibi vegani, e la quotidianità in genere, non sono pain free. Quindi, il mio obiettivo qui non è quello di dimostrarti che le mucche in allevamento vivono la migliore esistenza possibile, ma semplicemente argomentare che non vivono neppure le sofferenze inimmaginabili che tu sembri concepire.
Gli allevamenti inumani ci sono, certo, e quelli non vanno bene. Come ho già detto, sono per la regolamentazione e per la tutela del benessere degli animali da allevamento. Ma la pratica dell'allevamento, regolamentata e purgata dei suoi aspetti più barbari, comporta un fattore di malessere moderato e dunque accettabile una volta che si sia sottoscritta quella pratica tutto sommato barbara che prende il nome di esistenza.



Si spostano se stanno male. Se sono tenuti bene e in spazi sufficienti, rimangono dove c'è cibo, riparo, e comunità. E appunto torniamo al punto di cui sopra.

Io ho esperienza di contatto diretto con specie diverse a partire dall'infanzia. Mi sembra più onestamente credibile un'alienazione cittadina dal contatto con, e quindi dal trattamento di altre specie, piuttosto che una mia concezione antropomorfizzante.

E alienante è l'abitudine di conservare e "proteggere" un certo capitale. Basti pensare a quanto debbano essere alienanti certi lavori.


Se fosse così la parola "morale" non avrebbe ragione di esistere restando priva di utilizzo, e di conseguenza anche la sua negazione.


Qualche sventura capita sempre, si. Ma mi sembra un discorso ben diverso dalla vita forzata e prigionia istituzionalizzata degli allevamenti, che sono campi di concentramento (in senso "neutro") per la vita (in senso adirato).


Ma barbara un corno! Ci sono i barbari certo, ci sono stati e ci sono ancora, sempre solo però della specie "dominante". Non vedo molti esempi di prigionia al di fuori del suo "dominio".
Accettabile da chi non lo subisce perché gli giova, pare, accettarlo, certo.
La comodità è virtù, certo.


Chiaro che resterebbero in comunità, facendo questo parte della loro natura; diversamente dalla sedentarietà.
Quanto al cibo, se c'è né che gli piace accumulato/distribuito/reso accessibile in tale orario in una stalla sicuramente ci faranno dei bliz, e resteranno anche nella stalla se comincia a fare buio, ma solo dopo una giornata di pascolo nel verde illuminato dal sole (se non è nuvolo).
Queste sono condizioni che potrebbero anche scegliere, non essendoci particolari costrizioni, fino al viaggio verso il macello che almeno ha il vantaggio di durare poco.
Ma che percentuale sul totale è prodotta in questa maniera?
E tu pretendi la garanzia che la bistecca (o il formaggio, la gallina, l'uovo, il pezzo di maiale, il salmone, o qualsiasi parte di compagni di sventure) che acquisti al supermercato (o al ristorante) non provenga da quegli allevamenti che producono più intensivamente e quindi di più e con meno spazio?
Ammettendo di si, come la paghi questa garanzia?


Comunque le parti alle quali era più difficile rispondere le hai ignorate. Ora non vorrei che ti limitassi a un commento sbarazzino perché l'argomento non è agevole.

Be', no. Il fatto che una pratica possa essere intrinsecamente immorale non significa che non possano esserci gradazioni. E poi anche le scelte specifiche possono essere morali oppure immorali, a prescindere dal giudizio di valore sulla pratica di cui fanno parte. Quello che hai scritto per me non ha alcun senso.



Salvo che tu stia scrivendo, direttamente attraverso l'etere, da una caverna nella quale ti nutri di bacche e senza coltivare alcun contatto con la civiltà, coi suoi spazi e coi suoi prodotti (altrimenti è facile nutrirsi di bacche ma in realtà vivacchiare sul surplus del resto della comunità), sei anche tu un barbaro che vive sulla sofferenza di persone e animali.
D'altra parte non so e non m'interessa come vivi tu nello specifico. Semplicemente, la sofferenza non è solo quella degli animali che sono stati macellati per le bistecche di "noi altri". Ma queste ormai sono cose che ho detto e stradetto.

E non mi sembra solo un problema della "specie dominante"... Non mi pare che gli animali non sopraffacciano gli altri animali, non siano violenti gli uni con gli altri, e non si sottraggano a vicenda risorse intrinsecamente limitate. Il fatto che il discorso morale non sia loro applicabile per via dei limiti della loro mente, non rende la loro esistenza meno barbara.



No, non pretendo questa garanzia sulla specifica bistecca. Pretendo che ci siano organi di controllo, pretendo che le persone si rendano conto che gli animali non sono cose e che non devono essere loro imposte sofferenze; pretendo che si comprenda che gli animali sono persone, sebbene, per così dire, secondo una gradazione 'inferiore' rispetto agli esseri umani. Questo è quello che "pretendo". E lo virgoletto perché comunque mi occupo d'altro, quindi non posso dire di impegnarmi attivamente e costantemente per questo obiettivo specifico. Tuttavia, anche io porto avanti la mia missione di civiltà, ma non posso occuparmi di TUTTO nello SPECIFICO.

E tu ti sei assicurato che il computer che usi non sia stato costruito utilizzando materiali che qualche povero Cristo ha estratto lavorando sedici ore al giorno in una miniera? Ti sei assicurato che le verdure che mangi siano state prodotte senza danneggiare alcun essere senziente? No? Touché.



Se me le indichi nello specifico, magari rimedio. Io ti ho dato la mia visione. Alcune parti possono sembrare importanti a te, ma io potrei averle giudicate diversamente; magari posso averle ritenute poco importanti, oppure posso aver ritenuto di averle coperte, direttamente o indirettamente, con le mie risposte. Se me le indichi, vediamo.

Al topic su Bergson dubito di riuscire a risponderti stasera.

Per me non lo ha quello che hai scritto tu.
La vita in sé non è ne morale né immorale, morale o immorale è l'atteggiamento che adottiamo: la direzione. La vita è trasformazione e cambiamento, immorale è la forzatura, la costrizione, la prigionia, il forte squilibrio.

Non puoi dire che la vita sia necessariamente colorata di una certa direzione predeterminata. La vita è necessariamente cambiamento ma non necessariamente in peggio, tanto basta per non definirla "necessariamente immorale" come vuoi fare tu per non rischiare di scomodarti a fare lo sforzo di cambiare in meglio un'abitudine. Riconosco che a una certa età deve essere un cambiamento notevole, rinunciare a qualcosa per trovare qualcosa di completamente diverso.
Io ero molto giovane quando feci la mia scelta. Ricordo le farfalle nello stomaco.


E che potevi risparmiarti perché sono discorsi del piffero che usi per distrarti da un impegno serio.


Tutte cose e variabili registrate nel loro corredo genetico, sfide in vista delle quali sono nati, che sono istintivamente adatti ad affrontare. Così la vita, non vincolata da eccessi e da forti squilibri, si organizza spontaneamente.
Discorso ben diverso, di nuovo, dalla prigionia istituzionalizzata in cui la vita di altre specie è forzata da parametri di comodità e di vizio di una specie che ha sviluppato in particolar modo l'intelligenza (affine al capitalismo) sacrificandogli l'intuizione (affine alla spiritualità).


In realtà è un discorso piuttosto generale che si riflette anche nei rapporti esclusivamente tra umani e fa corpo con essi.


E non ti sembra il caso di appianare le enormi differenze di atteggiamento prima di affinare il discorso?


Se le hai ignorate è perché non ti sentivi di affrontarle. Ora non fare il finto tonto.
(Qui ci metterei un'asdina per sdrammatizzare ma non mi sembra il caso).



Quando vuoi, se ne hai voglia, non è un dovere.
Se riusciamo a conversare in modo onesto anche severo ma senza far polemica mi fa piacere.
Caro Son8erg, non mi sono dimenticato di questa (o dell'altra) discussione, ma mi trovo all'estero e nelle ultime settimane non ho avuto tempo per il forum (come puoi anche vedere dalla mia cronologia). Vedo che intanto tu sei rosso, quindi non c'è ragione di avere fretta, ma spero di riuscire a rispondere nei prossimi giorni.