problema alcol

posto con fake per privacy, short version sotto.

long version:
mia sorella (35 anni) ha una dipendenza dall’alcol. quando vivevo ancora dai miei, vedevo mia sorella sin dai tempi del liceo/università bersi sempre qualcosa la sera mentre guardava (tele)film. l’ho sempre interpretato come un vizio, ma onestamente non me ne sono mai preoccupato perché non la vedevo mai sbronza. aveva solo questa abitudine.

fast forward di 10+ anni, si mette con un tipo, va a vivere da lui in un posto sperduto in italia. un 2-3 anni fa costui scopre di avere un tumore, e muore circa un anno fa. in questa vicenda, lei lo segue fino alla fine (portarlo dai dottori, vivere con lui, etc.), perché la famiglia di lui era meglio perderla che trovarla, e l’assistenza sanitaria lì era indecente. quindi vive un periodo estremamente pesante/stressante, che termina col decesso di lui.

quindi torna a vivere coi i nostri genitori, va dallo psicologo (di fatto è come se soffrisse di PTSD, ed è estremamente fragile/sensibile su alcuni temi. poi soffre anche di depressione, e prende farmaci di conseguenza), e lavora 2 ore al giorno. da un punto di vista economico la sostengono i nostri genitori, fortunatamente questo non è un problema.

circa sei mesi fa, di sua spontanea volontà va in una clinica statale per smettere di bere, e questi insistono perché presenziasse anche un suo familiare. fa il mio nome, vado lì una volta, e partecipo alla chiaccherata tra lei e la dottoressa. mia sorella molto sulla difensiva, perché ovviamente cercano di farla smettere di bere, e a lei stanno tutti sul cazzo (penso perché cercano di spingerla in una cosa in cui lei non vuole, data la sua dipendenza). a un certo punto la dottoressa fa presente che la dipendenza dal bere è una cosa che va curata come un tumore, lei scoppia a piangere e se ne va. da lì in poi non torna più nella struttura, perché “ha intenzione di smettere da sola”.

le faccio presente che dovrebbe parlarne con i nostri genitori (con cui lei convive), perché loro bevono abitualmente vino quando mangiano, ma lei non vuole per non togliere questa e per non farli impensierire. inizialmente era dell’idea di parlarne con nostro padre, ma non con nostra madre. aspetto.

passa qualche tempo, diminuisce il bere fino a 2-3 bicchieri al giorno. un paio di settimane fa nostra nonna sta male e finisce in ospedale, quando arrivo a casa la vedo che sta bevendo. aspetto che passi la notizia di nostra nonna, le faccio presente di nuovo che non sta smettendo e che bisogna parlarne con nostro padre, ma glissa/cambia argomento/non vuole.

tra un annetto dovrebbe liberarsi un appartamento e lei potrebbe andare a vivere da sola, ma onestamente a sto punto non so se sia meglio (acquisce indipendenza, non convive con persone che bevono giornalmente) o peggio (soffre di solitudine e si attacca a bere perché non c’è nessuno che controlla).

tl;dr: mia sorella (35 anni) ha una dipendenza dall’alcol, e non so bene che fare. è andata in un centro specializzato, e ha mollato il colpo. dice di voler fare da sola, ma non vedo chissà quali progressi. il mio prossimo step è quello di parlarne con nostro padre, ma lei non vuole. quindi se lo facessi tradirei la sua fiducia. ma anche parlargliene senza dirlo a mia sorella cosa porta? se smettono di bere vino a casa è palese perché ci ho parlato io.

Fare da sola => non fare.
Ma se non vuole fare, sarà ben dura che tu la convinca.
Purtroppo con le dipendenze non esiste il “bevo di meno”.
O smetti, o vai avanti.
Un abbraccio enorme.

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la mia ex ha avuto un problema di questo tipo, il vero malessere sottostante era la depressione, nel suo caso oltre a vari episodi che le hanno fatto capire ovviamente che era sulla strada per auto-distruggersi, sono stati fondamentali sia psicofarmaci prescritti da psichiatra che analisi con psicologo. Nel suo caso il giusto mix di serotonina e litio l’avevano stabilizzata per la depressione e a quel punto non le interessava più l’alcol.

Il consiglio quindi è di portarla da esperti come psicologi e psichiatri , magari parlandoci prima tu e spiegando loro che certi tasti o certe similitudine è meglio non farle.

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il rifiuto del problema è tipico di chi soffre di dipendenze.
Il primo passo per guarire è accettare di avere un problema/malattia…

Conosco un collega di lavoro che è rinato con gli alcolisti anonimi, i gruppi sono in tutta italia, anche lui un grosso lutto piu un vuoto che si portava da giovane hanno fatto piombare nel baratro… per darvi un idea del livello è stato ricoverato piu volte tra tentati suicidi e crisi di astinenza quando cercava di smettere (deliruim tremens).

Parlandoci mi diceva che quando vai li nessuno ti giudica e dice cosa fare, molti bevono ancora durante le riunioni…ma piano piano sentendo e facendo gruppo capisci che non sei solo con questo problema e capisci che lo hai anche te…è pur sempre un percorso psicologico che aiuta persone che magari di fronte allo psicologo si bloccano e scappano.

Ora questo collega è ritornato sano ed è ritornato ad essere una figura centrale come lo era prima del crollo totale …ora tua sorella non so che livello sia ma alcune persone fino a quando non si devastano totalmente non si fermano a chiedere aiuto

A me pare tua sorella usi gli alcolici come un dispositivo strumentale per abbattere i livelli di stress una volta questi raggiungano il livello critico in cui altri e precedenti strumenti di compensazione falliscono, perchè serve vedere pure con quale ciclicità e frequenza, ed eventualmente in corrispondenza di quali accadimenti e situazioni, questi episodi si verificano.

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Ho letto tutto il tuo post e ho solo compassione per la situazioen di tua sorella, ma vorrei puntare una luce su questa frase.

Non è “come se” avesse la PTSD, HA la PTSD. Come, purtroppo, è giusto che sia visto quello che ha sofferto.

Non so che aiuti ci siano in Italia, temo pochi, ma voi come famiglia statele vicino perchè quello che lei sta passando è indescrivibile a chi non lo ha subito personalmente (che imo è la migliore descrizione della PTSD).

Purtroppo non posso aiutare per il resto, quindi vi auguro il meglio. <3

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sì ho scritto “come se” perché non è che sia stato ufficialmente diagnosticato PTSD, però sì di fatto il comportamento/reazioni sono quelle.
da noi c’è un centro statale, e un centro di suore per la gestione dell’alcol. lei ha provato (senza successo) il primo, e non vuole neanche tentare il secondo perché le sta sulle palle la religione.

sì diciamo che la similitudine alla tizia è sfuggita, poi mia sorella è particolarmente sensibile sul tema ed è come camminare su un campo minato. tieni conto che si saranno viste 3 volte in tutto una volta al mese, la dottoressa vedrà N persone, non può ricordarsi il dettaglio di tutti e cosa dire/non dire, soprattutto all’inizio.

lei sa di avere un problema, ma è entrata in modalità “faccio da sola”. nel centro di terapia dove è andata qualche mese e poi ha abbandonato, le avevano proposto di fare sedute di gruppo (e anche ricovero per una/due settimane per darle alcuni medicinali per togliere effetti dipendenza fisica dallo smettere di bere, poi ovviamente una volta tornata a casa doveva smettere di bere da sola), ma ha sempre rifiutato.
così come ha rifiutato di parlarne con i nostri genitori. loro ovviamente sanno che ha questa dipendenza, ma hanno sempre pensato che prima deve tirarsi su con il resto (depressione, lavoro, indipendenza, crisi che ogni tanto ha), e poi affrontare il problema alcol. nel centro invece dicevano che il problema alcol le impedisce di migliorare con il resto (e lei non vuole smettere perché sul breve termine attenua le paranoie, quando invece smette di bere soffre di vertigini/sta male), quindi è un cane che si morde la coda.

boh sicuramente c’è un problema (grosso), ma non ne esce. non so se col tempo la cosa andrà migliorando o peggiorando, quindi onestamente non so bene che fare.

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Il problema è ben esposto nell’ultimo periodo, il ricorso agli alcolici è evidentemente un surrogato in cui cercare rifugio dai tormenti interiori, magari al momento specifici e riferiti alle più traumatiche esperienze del suo vissuto, quando troppo opprimenti per affrontarli razionalmente, ed il rischio è quello tale comportamento si generalizzi ad altri contesti fino a diventare la risorsa psicologica primaria ad ogni difficoltà.

Impossibile offrire suggerimenti validi di fronte ad una condizione clinica, vi è la concreta possibilità di incoraggiare in buona fede approcci magari persino controproducenti; per caso la vostra vicinanza nei momenti peggiori è da lei gradita o vissuta come un fastidio ?

Mando good vibes.

Una cosa che mi sento di aggiungere è di sentire ricorrentemente lo psichiatra che le ha prescritto i farmaci e che ce l’ha in cura, perché ad esempio bere + certi SSRI = sedazione maggiorata e letargia, quindi un peggioramento netto della sua qualità della vita, che equivale a più depressione e cane che si morde la coda.

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no beh i rapporti sono buoni, le fa piacere se sta con noi, il problema è quando, in buona fede, cerco a spingerla nel fare azioni verso lo smettere di bere, che si chiude a riccio e non vuole sentir ragioni/cambia argomento.

se fossi uno sconosciuto sarebbe decisamente più ostile, come appunto è successo con la struttura statale per cercare di smettere di bere.

Capisco, già notevole sia in primo luogo consapevole del suo problema, riconoscendolo come tale, non è aspetto scontato, anche se troppo caparbia o forse imbarazzata per accettare aiuto, e sia disposta ad affrontarlo apertamente almeno con le persone più vicine perché implica fiducia, non è poco; ovviamente confrontarsi con altre persone esterne alla sua cerchia con esperienza diretta in tali contesti l’aiuterebbe ad entrare in contatto con similitudini analoghe al proprio vissuto, permettendole di vedere la situazione da prospettive nuove e quindi aprire a percorsi di realizzazione adesso per lei invisibili, ma in assenza di questo il poco che potete fare è solo offrire alternative attive nei momenti più difficili.

Non castigatevi troppo personalmente, fate del vostro meglio in una situazione davvero difficile.

Smettere una dipendenza, dal mio personalissimo punto di vista, richiede un lungo lavoro personale con uno psicoterapeuta, nonché un non secondario lavoro analogo da parte dei caregiver, soprattutto in casi di presenza di un problema come la depressione. Le persone, a meno di percorsi pregressi di formazione, mediamente non sono in grado di aiutare i propri cari nel loro percorso senza un supporto specifico.
Probabilmente occorrerà da parte di tutti mettersi in gioco personalmente e farsi coinvolgere a un livello superiore, non bastano i sentimenti e le buone e oneste intenzioni. Lo dico perché ho un problema di dipendenza da cibo e un disturbo dell’umore, vivo coi miei e un’idea di queste cose mio malgrado me la sono fatta.

Ognuno vive la sua dipendenza in maniera personale, per cui mi limito a dire stando sul generico che è possibile che una strada possa essere trovare il modo di lenire il disagio di sottofondo (un buon terapeuta dovrebbe individuare senza troppe difficoltà i punti di frattura emotiva e suggerire delle strategie di cura) e trovare qualcosa di sano, funzionale e per lei altrettanto attrattivo che sostituisca l’alcool come sistema di gestione del disagio.

Ricordo anche che le dipendenze tolgono lucidità e in una certa misura finanche il libero arbitrio, e l’alcool è già una sostanza che di suo non aiuta in questo senso, per cui non si può pensare di impostare la “soluzione di questo problema” (passami il termine) in maniera convenzionale, perché i normali criteri e paradigmi sono alterati.

Un abbraccio

Questo pare un buon suggerimento, se lei mostra irriducibile indisponibilità ad un supporto professionale allora per quanto sia in vostro potere fare rimane solo l’opportunità di approfondire personalmente ed individualmente la risposta più consona ad una situazione di questo tipo.