Gibo, che Nazionale era?
"Allora il problema era scegliere i corridori, adesso trovarli. Ma c’è anche un altro problema: alcuni corridori hanno sempre avuto il posto in Nazionale stampato di diritto sulla maglia, invece io me lo sono sempre dovuto guadagnare con tutte le forze. Anche quell’anno, in cui volavo".
Il c.t.?
"C’era confusione. Il c.t. era Franco Ballerini, nominato dopo lo spostamento di Antonio Fusi, ma forse la Nazionale la faceva ancora Alfredo Martini. Chi fosse il commissario tecnico non era in cima ai miei pensieri, così come non è mai stato in cima ai miei pensieri chi fosse il direttore sportivo della mia squadra".
Ordini di squadra?
"Eravamo in tanti ad andare forte. C’era Michele Bartoli, c’era Francesco Casagrande, c’erano Davide Rebellin e Paolo Bettini, c’erano anche Danilo Di Luca e Ivan Basso... La punta era Bartoli, ma io mi sentivo comunque un protagonista, non un gregario".
Il percorso?
"Strano. Non si capiva se fosse da volatona o da selezione".
La corsa?
"La nostra strategia era per un tipo di gara dura, che però non si è realizzata. L’Italia non è mai mancata nelle azioni più importanti, però poi la corsa si chiudeva. Tant’è che all’ultimo giro il gruppo era ancora compatto".
Allora?
"C’era una salita, una salitella, poca roba. Jan Ullrich l’ha presa a tutta e ha messo in fila indiana il gruppo. Avrà fatto, sì e no, un quinto di quella salitella e poi si è spento. Io ero alla sua ruota e, già che ci sono, ho insistito. Gli altri si guardavano. E io me ne sono andato, da solo, e ho fatto la differenza. Ho scollinato con una ventina di secondi, ho tenuto duro, e ho guadagnato ancora qualcosa".
Poi?
"Ripreso all’ultimo chilometro. Magari sarebbero bastati soltanto altri 10" di vantaggio per arrivare al traguardo".
Dietro?
"Non so. Io so quello che è successo davanti, dove c’ero soltanto io".
Però lo sa.
"Mi hanno detto che dietro hanno provato a chiudere, senza riuscirci, che poi in cima hanno rallentato, che poi...".
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Poi?
"Poi Paolo Lanfranchi ha rimesso in moto il gruppo finché sono stato ripreso".
Quello che viene definito "il tradimento di Lisbona".
"Al traguardo erano tutti arrabbiati, gridavano allo scandalo. Io non capivo, non sapevo. Ho rivisto tutto in tv, uno o due giorni dopo, quando sono tornato a casa".
E si è arrabbiato anche lei?
"Ma no. Ho capito, e basta".
Che cos’ha capito?
"I giochi".
Quali?
"I giochi delle squadre. Oltre le Nazionali, un po’ dentro e un po’ di traverso, c’erano le squadre. E la squadra più forte era la Mapei. Basta guardare l’ordine d’arrivo: primo Oscar Freire, della Mapei, secondo Bettini, della Mapei, e anche Lanfranchi era della Mapei".
Insomma?
"La Federazione italiana avrebbe potuto, e dovuto, chiedere spiegazioni. C’era stato un comportamento anche sanzionabile. E c’era stata una figuraccia mondiale. Però, alla fine, il secondo posto di Bettini ha salvato la situazione. Senza quello, la Nazionale sarebbe stata commissionata. Eppure c’è stata un’altra occasione in cui ci sono rimasto peggio".
Quale?
"I Mondiali 2004, a Verona. Andavo forte, ma i giochi erano già fatti, e non sono stato neanche convocato".
Gibo, la diplomazia non è mai stata il suo forte.
"Perché non sono mai sceso a compromessi. Ci avrei guadagnato, in vittorie e salute. Ma io sono fatto così".
http://www.gazzetta.it/Ciclismo/21-09-2010/melbourne-8simoni-711207460876.shtml
Gibo

