Ma anche no, i soldi che girano in occidente sono più che sufficenti per garantire non solo le pensioni ma anche un welfare migliore per tutti, che l'età pensionabile necessiti di venire alzata in base all'aspettativa di vita mi va bene, ma sta storia che ci propinano secondo cui i soldi non ci sono è una cagata pazzesca, ci sono decine di modi per prenderre più soldi o per spenderli meglio per tutti, lo stesso crollo dell'attuale economia è soltanto un affare da multinazionale e gentaglia che ci guadagna e non certo un problema di produttività delle industrie.
tanto per rendere una "diversa interpretazione" di quanto sta accadendo in questi anni e di come ci fanno mangiare la merda chiedendoci pure di ringraziare perché almeno ci danno da bere anche il piscio, piazzo qui un articolo a riguardo, giusto perché magari qualcuno potrebbe trovare perfino il tempo di leggersi un wot gigante
Spoiler
“Su le mani. Questa è una rapina”. Atto secondo
La seconda rapina s’avvicina alla perfezione. Avviene, come la prima, a manbassa e, pur essendo stata resa possibile dalla prima, sembra diversa. Ma gli effetti saranno ancora maggiori di quella precedente.
La prima rapina è nata dal crollo del sistema finanziario, vittima dei suoi stessi latrocini. Sistema finanziario salvato grazie ad un riscatto astronomico pagato con denaro pubblico, ossia dei contribuenti. Secondo il Ministro del Tesoro tedesco, Wolfgang Schäuble, per l’insieme dei paesi del G-20 questo riscatto ha avuto un costo di 905 miliardi di dollari che, aggiunti all’ammontare dei pacchetti destinati a stimolare l’economie dei vari Stati nazionali (depresse proprio grazie al latrocinio), ha aumentato in un anno il debito pubblico della eurozona di quasi dieci punti: dal 69,3% del 2008, al 78,7% del PIL nel 2009.
La prima rapina è stata propedeutica alla seconda. Per perfezionare la fase preparatoria, è stata seguita da un atto di magia mediante il quale si è fatto scomparire (ossia dimenticare), quale fosse la ragione dell’aumento del deficit, per concentrare l’attenzione della popolazione sulle sue conseguenze. Quindi, è stato ripetuto alla sazietà, il problema è il debito, e ogni allusione sul sistema rapinatore che l’ha provocato, è passata in cavalleria. Così, grazie all’illusionismo, scomparsa l’economia da casinò è rimasto solo il debito. A quel punto, ovvio, la discussione si è concentrata sul come risolverlo. La risposta, ovvio, con una seconda rapina.
Scriveva Luciano Gallino l’11 novembre 2010: “Il presidente della BCE, Jean-Claude Trichet, in un articolo apparso sul «Financial Times» nel luglio scorso, il cui titolo suonava «è tempo per tutti di stringere la cinghia», scriveva che per sostenere la «sfera finanziaria» è stato accollato ai contribuenti UE il rischio di dover sborsare 4.000 miliardi, quasi tre volte il PIL dell'Italia, tra ricapitalizzazioni, garanzie e acquisto di titoli tossici. Il «sillogismo di Trichet» dice: voi cittadini vi siete indebitati per bilioni d’euro al fine di salvare dalla crisi il settore finanziario; chi contrae debiti deve ripagarli; dunque voi dovete rinunciare a bilioni di spesa pubblica per consolidare il bilancio degli Stati. Il che significa tagliare pensioni, sanità, scuola, università, diritti” (“Europa, il modello sociale perduto”, “La Repubblica”).
La seconda rapina, infatti, punta alla scomparsa dello Stato sociale perché il debito, dicono saggi e benpensanti, deriva dall’eccessiva spesa sociale. Quindi, meno soldi per la cassa integrazione, peggioramento delle politiche sociali, più privatizzazioni, diminuzione ulteriore delle politiche pubbliche e dei beni comuni, diminuzione dei diritti dei lavoratori, più soprusi e più disuguaglianze.
Insomma, oggi i ladri della prima rapina sono ritornati sullo scenario del crimine per rubare di più. A loro, la crisi fa un baffo e le banche continuano a generare utili, in Europa e dovunque. E non solo le banche.
Negli Stati Uniti, ad esempio, uno studio del Institute for Policy Studies di Washington ha rivelato che, nel 2009, i compensi degli amministratori delegati delle 50 aziende che hanno tagliato più posti di lavoro dall’inizio della crisi economica sono aumentati un 42% in più della media raggiunta dai loro colleghi dell’insieme delle aziende incluse nell’indice S&P 500: “Quelli che hanno eliminato almeno 3.000 posti di lavoro tra novembre 2008 e aprile 2009, hanno percepito una media di 12 milioni di dollari in salari ed altri benefici, contro una media di 8,5 milioni ricevuta dai loro colleghi nel S&P 500. Gli amministratori delegati (AD) tagliano posti di lavoro per aumentare i profitti a breve scadenza e i propri stipendi (…) Tra gli esecutivi con maggiori redditi, Fred Hassan della farmaceutica Schering-Plough, ha ottenuto 33 milioni di dollari dopo avere eliminato 16.000 posti di lavoro. Il suo reddito complessivo, quasi 50 milioni di dollari nel 2009, equivale al sussidio medio di disoccupazione dei 16.000 neodisoccupati per oltre dieci settimane. William Weldon, AD di Johnson & Johnson, si è portato a casa 25,6 milioni di dollari dopo avere tagliato 9.000 posti di lavoro. L’ex AD della Hewlett-Packard, Mark Hurd, implicato in uno scandalo di corruzione, ha ricevuto oltre 28 milioni di dollari per andarsene, più 24,2 milioni di normale compenso, dopo avere eliminato 6.400 posti di lavoro” (“CEO Pay and the Great Recession”, 8 settembre 2010).
In Europa, nel febbraio 2010 l’AD della Fiat, Sergio Marchionne, si è aumentato lo stipendio del 41% (da 3,4 a 4,8 milioni d’euro annui), ed i dirigenti della Fiat del 72% (da 11 a 19 milioni d’euro annui). In Spagna, nell’aprile 2010 il consiglio d’amministrazione della banca Santander mandava in pensione il suo AD con 85,7 milioni d’euro e il suo presidente con 24,6 milioni, destinando alla pensione dei sei consiglieri esecutivi della banca altri 251 milioni d’euro. Ne potranno usufruirne subito se hanno compiuto 50 anni e lavorano da oltre 10 anni nella banca ma, nel peggiore dei casi, potranno accogliersi volontariamente al prepensionamento a 55 anni. Nel contempo, ha chiesto l’aumento dell’età pensionabile per i lavoratori (Serrano P., “¡Cómo sufren los banqueros!”, Rebelión, Madrid 10 maggio 2010). Il quotidiano spagnolo di centrosinistra “El País”, apriva subito un’inchiesta tra i suoi lettori con una sola domanda: “Siete d’accordo con aumentare l’età pensionistica per rendere sostenibile il sistema?” e, che coincidenza, “il 9 settembre, il Parlamento spagnolo ha approvato la riforma del lavoro più regressiva della storia recente (…) polverizzando diritti fondamentali e mettendo in piedi un contesto lavorativo caratterizzato da licenziamenti a buon mercato, condizioni di lavoro precarie, non protezione del lavoratore, penalizzazione delle malattie e svalutazione dei contratti di lavoro collettivi. L’unico scopo è aumentare in modo scandaloso i profitti degli imprenditori sulla pelle dei lavoratori e del denaro pubblico di tutti. La dittatura del capitale si è imposta nella forma più evidente” (Bernardo D., “El Congreso endurece el decreto del gobierno PSOE y aprueba la reforma laboral más reaccionaria de la historia reciente”, “Rebelión”, Madrid 15 settembre 2010).
Le “ristrutturazioni” servono per acquistare altre banche e imprese a buon mercato, mettendo fine - ad esempio - ad ogni aspetto non lucrativo rimasto nelle poche casse di risparmio legate al territorio finora sopravvissute…, e per continuare ad ingrassare. Nelle aziende, la maggioranza abbassa la testa, anche perché è difficile fare il coraggioso. Scrive Rossana Rossanda: “Per capire il rischio e la sfida di chi ha detto no, bisogna sapere a che razza di ricatto - questa è la parola esatta - si costringevano i lavoratori: o approvare la volontà di Marchionne al buio, perché non esiste un piano industriale, non si sa se ci siano i soldi, vanno buttati a mare tutti i diritti precedenti e al confino il solo sindacato che si è permesso di non firmare, la Fiom, o ci si mette contro un padrone che, dichiarando la novità ed extraterritorialità di diritto della joint venture Chrysler Fiat, si considera sciolto da tutte le regole e pronto ad andare a qualsiasi rappresaglia. L'operaia che è andata a dire a Landini «io devo votare sì, perché ho due bambini e un mutuo in corso, ma voi della Fiom per favore andate avanti» dà il quadro esatto della libertà del salariato. E davanti a quale Golem si è levato chi ha detto no? Tanto più nell'epoca che Marchionne, identificandosi con il figlio di Dio, ha definito «dopo Cristo», la sua” (“L’onore di Ciputti”, “Il Manifesto” 24 gennaio 2010)..
Una nuova paura alimenta la disciplina del si a tutto e a qualsiasi prezzo. Non c’è una linea di contenimento e persino i sindacati firmano. L’orizzonte disegnato è quello del ritorno all’antico regime assolutista, quello col diritto alla prima notte destinata al padrone. Ciò che restava della dignità del lavoratore, dell’impiegato, del professionista, va a farsi benedire. “Is the economy, stupid”, diceva Bill Clinton!
Sono stati commessi molti reati lungo questa crisi, ma non c’è nemmeno un processo in corso, da nessuna parte, a indubbia dimostrazione della grave degenerazione dello Stato di diritto il cui messaggio è: il crime paga, i criminali non pagano. Se così è, la democrazia vale poco, rubare non è reato, l’irresponsabilità va premiata. Una impunità che passerà all’incasso, senza dubbi.
In tutta Europa, infatti, acquistano forza ideologie e atteggiamenti di disprezzo verso il debole e si ridicolizzano la solidarietà, l’etica e la rettitudine (“buonismo”). Ciò ha una stretta e diretta parentela con gli atteggiamenti che trasformarono l’Europa in una fogna insanguinata ottanta anni fa.
E’ vero che nella UE bisogna coordinare le politiche economiche, ma questa necessità si utilizza per imporre più austerità e tagli in nome della “competitività”, una ricetta manifestamente sbagliata, specie nei paesi più deboli della zona euro che subiscono maggiormente l’asfissia provocata da queste politiche.
Le riforme proposte in tutta l’eurozona sarebbero destinate a migliorare la competitività dei paesi riducendo i salari ed i diritti. Quindi, si deve presupporre che la competitività dipenda in buona misura dai salari per cui, abbassandoli, la competitività aumenterà proprio grazie alla diminuzione dei costi che renderà i prodotti più a buon mercato e, quindi, più competitivi.
Ma i dati non supportano questa tesi. Ronald Janssen, nell’articolo “European Economic Governance: The Next Big Hold Up On Wages” (in “Social Europe Journal”, 2 febbraio 2001) ha dimostrato da tempo che la famosa competitività tedesca ha poco a che vedere con il livello dei salari, con la loro moderazione o con i prezzi dei prodotti esportati dalla Germania, tesi condivisa dal “Rapporto 2010” della stessa Commissione Europea (Bruxelles, luglio 2010): “La crescita delle esportazioni tedesche nel periodo 1999-2008 (+7,3% annuo) è dovuto essenzialmente alla crescita dei mercati importatori (…) Solo lo 0,3% si è dovuto al cambiamento dei prezzi dei prodotti esportati dalla Germania”. Quindi, il miracolo esportatore tedesco deriva, principalmente, dall’aumento delle importazioni di prodotti tedeschi da parte, soprattutto, delle economie emergenti. E, poiché tali prodotti sono soprattutto manufatti, impianti tecnologici per le telecomunicazioni, infrastruttura di trasporti e simili, è d’obbligo concludere che il loro successo derivi dal know how, non dai loro prezzi. D’altronde, gli stessi studi tedeschi dimostrano che una riduzione del 10% del valore delle loro esportazioni le aumenterebbe solo del 4%.
La deduzione sembra ovvia: la moderazione salariale messa in piedi in Germania durante questo periodo non aveva lo scopo di ridurre i prezzi (e, infatti, non sono stati ridotti), ma di aumentare i profitti aziendali che, infatti, hanno raggiunto livelli senza precedenti: 36% di profitti nel 2004, 41% nel 2008, per l’insieme delle esportazioni tedesche. Nel frattempo, i salari sono rimasti fermi. Quindi, proprio la Germania dimostra che la motivazione del discorso conservatore-neoliberista ha poco a che fare con la difesa dell’economia o della competitività, e molto con gli interessi delle grandi imprese (ivi incluse le banche, certamente). E che ciò avviene sulla pelle dei lavoratori. Detto diversamente: ciò che prima si chiamava “lotta di classe” rimane tale, ma oggi si traveste con il discorso sulla competitività. Ecco il modello che si vuole impiantare in tutta la UE.
Le esportazioni non dipendono tanto del prezzo dei prodotti, ma dalla loro domanda. Questa, a sua volta, dipende dalla crescita dei mercati domestici e importatori, che per l’Italia sono per oltre i due terzi i paesi della eurozona, e dipendono più dalla qualità dei prodotti che dal loro prezzo. Quindi, il determinante principale delle esportazioni italiane è la crescita della capacità d’acquisto dei paesi importatori, quindi dal loro livello salariale. Perciò, la riduzione dei salari in atto in tutta l’eurozona va contro l’aumento del commercio e, deprimendo la domanda domestica e quella estera, influisce negativamente sul ricupero delle loro economie.
Nessun errore d’analisi. Ciò avviene perché nella eurozona comandano gli interessi finanziari e delle grandi imprese, che si servono della crisi, da loro stessi creata, per ottenere ciò che hanno sempre voluto: la riduzione e/o l’eliminazione dei diritti sociali, dei diritti del lavoro e persino dei diritti politici dei ceti popolari in generale e dei lavoratori in particolare.
Questo lo scopo per cui una legione di tecnocrati e servitori mediatici continua a ripetere come pappagalli che “bisogna farsi carico dei propri doveri” (ad esempio lavorando nelle feste comandate), e che “non siamo competitivi” perché abbiamo troppi diritti, siamo “poco flessibili”, lavoriamo poco e andiamo in pensione troppo presto considerando la “evoluzione demografica”… Perché la crisi è un problema del sistema, di tutto il sistema, ivi incluso il suo apparato di propaganda, disciplinato e bugiardo, la Germania, ossia il direttore di questa via verso nessuna parte, è presentata come modello virtuoso e ragionevole. “Cresce perché ha assolto prima i suoi doveri”, sostengono, con profonda fede. In Italia, i politici, messi sotto pressione da una schiacciasassi che sembra privarli da ogni autonomia di pensiero, fanno gara a plaudire una politica direttamente contraria al “interesse nazionale”. Ma, sarà solo stupidità, ignoranza, masochismo…?
A mio parere, è invece in atto la rapina perfetta. Perfetta perché buona parte delle vittime applaude mentre un’altra dorme il dolce sogno che li propina la tele-rifiuto che la intrattiene. Perché persino la maggior parte di quelli che sono perfettamente consci della situazione, si rifiutano di prendere la parola. Perché quando la necessità di un energico e generalizzato rifiuto diventa imperativa, ci limitiamo ad opporsi alla operazione più retrograda possibile solo per “questioni morali” (che, certo, non sono insignificanti).
Non credo si tratti solo di stupidità, ignoranza o masochismo. Penso che Bertolt Brecht avrebbe ribadito: “Chi non sa quello che dovrebbe sapere, è stolto; ma chi lo sa e mente, è un delinquente”. E avrebbe aggiunto: “Quando avranno parlato quelli che ci dominano, arriverà il turno dei dominati. Chi può osare dire «mai»? Da chi dipende che continui l’oppressione? Da noi. Da chi che finisca? Pure da noi. Che si metta in piedi chi è abbattuto! Quello che è perso, che lotti! Chi potrà fermare quello che conosce la sua condizione? Perché i vinti di oggi sono i vincitori di domani e il «mai» diventa «oggi stesso»”. Penso che convenga ricordarlo a noi stessi nell’ora dominata da Piazza Tahrir.