Pubblicare un Libro

Con consigli come quello che "basta aver qualcosa da dire", non si va da nessuna parte e sono cose che danneggiano qualunque aspirante scrittore professionista.

Il mondo dell'editoria è duro. Non vengono fatti sconti a nessuno. E già così sono fin troppi gli autori che si avvicinano a questo mondo senza averne il polso, con illusioni di lavoro facile e che basti "aver qualcosa da dire" per essere accolti come eroi.

Il più grande flagello della letteratura è l'autodidatta.

Il corso di formazione è imprescindibile per qualunque autore professionista come lo è per l'ingegnere, il fisico, il professore di letteratura e via dicendo. Che almeno un esordiente abbia chiaro questo, quando si presenta a un editore.
Anche perché saper distinguere dove si sbaglia è l'unico modo per poter crescere e migliorare. Se manca questo, non si cresce. Semplice. E non è una qualità che vien da sé, non si ottiene altro che con la pratica, la conoscenza tecnica di come si scrive, sia dal punto grammaticale che da quello della struttura di un testo (vedi Vogler).
La Troisi è autodidatta. Pessimo risultato.
Paolini è autodidatta. Pessimo risultato.

E non a caso, questi autori subiscono il pesantissimo intervento di un editor. Chi è l'editor? E' quello che ha le conoscenze tecniche.

La Rowlings è autodidatta. Mai chiesto il perché della differenza di volume e struttura narrativa tra i primi tre libri e gli ultimi quattro?
I primi tre libri sono relativamente brevi, hanno una trama e una sottotrama. Sono un insieme di tecnica e ambientazione e personaggi così perfetti da esser stati il successo letterario più grande del '900.
Ovviamente il credito per personaggi e ambientazione è tutto della Rowling, ma la tecnica, quella è stata messa dall'editor che, dal quarto libro in poi, la casa editrice non ha più ritenuto necessario (e con ragione: il colpo ormai era messo a segno, la Rowling ha potuto avere carta bianca e le vendite non sono calate, anzi).
Dal quarto romanzo in poi, il volume dei libri triplica, quasi quadruplica. C'è una vaga trama, dieci sottotrame confuse. Sempre ottimi personaggi e ambientazione sopraffina, ma la tecnica... puff! Sparita.
Fino ad arrivare a un settimo libro conclusivo che fa pena sotto tutti i punti di vista possibili. Incongruente, incoerente, inconclusivo, noioso, lento, senza ritmo, scialbo, sciatto, grigio, piatto, privo di eventi.

Harry Potter, deve il suo successo immenso alla fantastica idea del mondo e ai personaggi. Ma il risultato finale, dal quarto libro in poi, è davvero letteratura di second'ordine.
Perché? Perché la Rowling aveva davvero tante cose da dire, ma non sapeva come.
Non ha mai avuto le basi tecniche.


Non ho mai detto che si acquisiscano altrimenti che dalla formazione, anche perché sarebbe un pastiche logico. Semplicemente non serve un corso apposito che le insegni. E, bada bene, non sto affermando che i corsi sono fatti male, non insegnano niente, etc.
Tuttavia la formazione dello scrittore dovrebbe essere altra cosa. Per acquisire le conoscenze tecniche c'è a disposizione una pletora di testi che su tali tecniche sono fondati: semplificando, non serve un corso che mi spieghi come scrivere quando posso tranquillamente leggere un classico e vedere da me come si scrive.

EDIT: ora ho un po' da fare, rispondo al messaggio qui sopra nel pomeriggio.


Quindi neghi il beneficio di un autore più esperto che ti spieghi le cose.
Purtroppo leggere un testo non significa capirlo e il numero di quelli che leggono "Il viaggio dell'eroe" (o qualunque altro manuale di scrittura) e sono convinti che basti quello a saper scrivere è alto, altissimo.
Sono quelli che, respinti dalle case editrici, si affannano a mettere su un blog dopo l'altro, denunciando a squarciagola che le case editrici non capiscono nulla e che pubblicano solo i raccomandati. Opzionale la sezione recensioni dove far trasparire tutta la bile di vendicativa neequizia su chi invece è stato, per una ragione o per l'altra, pubblicato.
La domanda che pochissimi si fanno, in questo percorso è: ho capito davvero tutto quel che c'è da capire?
Se non l'ho fatto, chi può spiegarmelo?


Sostenere l'importanza che si abbia qualcosa da dire, non devi prenderla come un'affermazione da talk show, del tipo 'basta volerlo', 'con la passione si arriva ovunque', etc. Neanche lontanamente. Come poteva suggerire la citazione non casuale di Schopenhauer (sostenitore di una concezione altamente elitaria e selettiva della scrittura), idee, contenuti, etc. non sono termini che riferisco a qualsivoglia stronzata partorita dalla mente del teenager o dell'adulto di turno che pensi d'avere qualcosa da dire a mezzo stampa per la sola ragione di quel 2% di corredo cromosomico che ci distingue dalle scimmie. Nient'affatto: idee e contenuti degni di questo nome, difatti, sono ben più rari delle capacità di scrittura. E' una sorta di argomento a fortiori: se ci sono le idee, a maggior ragione (a fortiori) si possiederanno le capacità di scrittura. Non è una legge scientifica universale, sia ben chiaro; è solo una massima d'esperienza di chi assume nel novero delle idee meritevoli d'essere diffuse a mezzo stampa non qualsivoglia fumosa fantasia della cui concezione siamo tutti capaci, bensì compiuti e consapevoli progetti o tesi cui prima guida sia stato il pensiero, conseguentemente la scrittura. Ragionando in senso inverso, chi provi a mettere per iscritto una di tali fumose fantasie non mancherà semplicemente delle capacità di scrittura: mancherà delle capacità di scrittura e della qualità delle idee; dell'una in funzione della mancanza dell'altra. Da questo punto di vista, insomma, la capacità di scrittura è cartina tornasole della qualità delle idee, assunto che quella non possa fallire dove il pensiero sia stato prima guida efficace.
E' anche chiaro che l'acquizisione della prima tramite corso apposito non potrà sopperire alla mancanza delle seconde.
Capirai che una posizione del genere, che a ragione potresti definire estrema, è ben lungi dall'invogliare inesperti autodidatti a cercare le strade dell'editoria.



Tutte cose tanto vere che le possiamo incorniciare. Tutte cose per le quali, d'altra parte, non serve il corso.




Mi parli di scrittori che non ho letto, però mi dici cose interessanti sulla Rowling: ti credo, non lo metto in dubbio. D'altra parte ho già sottolineato di non sostenere che i corsi sono fatti male e non insegnano nulla. Sono senz'altro convinto che la Rowling avrebbe potuto migliorare le proprie capacità di scrittura con un buon corso. Ma sono altrettanto convinto che avrebbe potuto migliorarle fosse stata una buona (o migliore) autodidatta.

Senza risalire troppo indietro nel tempo, Calvino era di fatto un autodidatta, nel senso che non ha frequentato alcun corso di scrittura, la qual cosa non gli ha precluso di diventare uno dei più grandi narratori del secondo Novecento. Come mai? Semplice: perché aveva qualcosa da dire e sapeva come dirlo. Peccato che i corsi possano al più insegnare quest'ultimo aspetto, mentre il resto discende da un personale e insostituibile percorso di formazione (del tutto capace di produrre autonomamente le medesime e fors'anche migliori capacità di scrittura).

Capisco che le mie posizioni non possano essere molto popolari e forse neppure comprensibili in una civiltà come quella postmoderna, così attenta a postulare relazioni dirette, funzionali e ripetibili fra un intervallo di nozioni e l'acquisizione delle medesime. Il che andrà forse bene per le scienze empiriche non tanto per l'arte e la creatività che, senza mettere da parte le indispensabili nozioni, dovrebbero però svilupparle attraverso processi più complessi e personali, che non possono essere oggetto di un corso specifico di formazione e che comprendono una molteplicità di saperi non nozionistici: saper fare, saper vivere, saper ascoltare, saper capire; saper, in ultima analisi, creare.

Poi certo, gli esempi da te citati cadono a fagiuolo e mi riallaccio in questo alla mia prima risposta e al primo manico dal quale ho cercato di prendere la tua opinione: in un mondo nel quale milioni di persone scrivono per professione, con risultati per lo più terribili, ben venga che costoro, quantomeno, imparino a scrivere con un corso apposito. E' questo il modo ideale per lo Scrittore? Assolutamente no.


EDIT per rispondere all'ultimo messaggio:



Se leggere un testo non significa capirlo, non c'è corso che tenga. Seriamente. Leggere un testo senza essere in grado di capirlo nella pienezza dei suoi elementi costitutivi di forma e contenuto andrà bene quando si hanno sedici anni. Forse non va più bene dai vent'anni in poi, per chi voglia fare a propria volta lo scrittore. Anche questo è un minimo sindacale per il quale vale l'argomento a fortiori: se non si possiede questa capacità, a maggior ragione dubito si possa fare lo scrittore.

Stante questo presupposto, non nego il beneficio del supporto di un autore più esperto: per restare sull'esempio precedente, Calvino era amico di Pavese (suo amico e suo primo lettore), oltre ad avere contatti con i maggiori esponenti della cultura italiana dell'epoca (Bobbio, Vittorini e altri). Quello che nego è la validità dell'impostazione corsistica.
Sempre nello studio degli anni '60 che ho menzionato in precedenza, si formula la cosiddetta 'legge dei colleghi invisibili' secondo la quale, in reazione alla saturazione delle pubblicazioni scientifiche e degli ordinari canali d'informazione delle istituzioni scientifiche, i veri aristrocratici del sapere tendono a formare delle reti di comunicazione interpersonale che coinvolgono al massimo un centinaio di membri per cooptazione.
Fenomeni analoghi sono spesso avvenuti nel mondo delle belle lettere che, ripeto, non sono democratiche e non si prestano alle generalizzazioni impersonali dei corsi.
Non sono d'accordo, mi spiace.
Per esperienza, so che un corso ha un valore formativo enorme, nell'ambito della crescita di uno scrittore. Enorme.
Tu lo ritieni "impersonale" e mi dici che uno può usufruire dei testi, dei manuali di scrittura senza un corso. Mi dispiace, ma non è così. I manuali sono integrativi all'esperienza pratica che è un corso, dove sei seguito da un professionista, dove produci lavori che vengono corretti e portati a un miglioramento e dove ti confronti con altri che hanno il tuo stesso livello di esperienza.

Per farti un esempio: tu la porteresti la tua macchina a un meccanico che ha letto tutti i manuali su tutti i motori del mondo, ma non ha mai fatto apprendistato? Io non lo farei.
Se permetti, l'esempio del meccanico non è del tutto appropriato: lo scrittore autodidatta non si limita infatti a leggere i manuali, ma scrive egli stesso e si migliora costantemente. Quindi, se il meccanico autodidatta in questione, oltre ad avere una biblioteca di manuali, passasse il resto del tempo libero a smontare e rimontare auto dello stesso modello della mia, probabilmente potrei anche fidarmi
Peraltro tu mi parli di manuali: vorrei sottolineare che, parlando dell'apprendimento personale sui testi, ho principalmente in mente i 'classici', non i manuali di scrittura. 'Manuali' sul tema delle forme letterarie potrebbero intervenire in via suppletiva e marginale, quale mera integrazione o sistemazione delle conoscenze acquisite (o 'acquisende') sulle 'fonti' dirette.

Comunque sia, non puoi paragonarmi la formazione dello scrittore al corso dell'impiegato del servizio assistenza Canon, che in sei mesi deve imparare a smontare e rimontare gli apparecchi in commercio. O al meccanico, per quel che importi. Vedo il nesso che vuoi istituire, ma stai sminuendo. Ho detto che i corsi di formazione vanno benissimo per le scienze empiriche, tanto più andranno bene per queste cose. Resto invece assertore delle peculiarità delle belle lettere per le ragioni sopra espresse (sommariamente: non si può scindere la formazione delle capacità di scrittura dalla formazione di altri saperi che soli le precedono, le includono e le giustificano).
Peraltro, se i corsi sono questa base assoluta e imprescindibile di cui parli, dovresti spiegarmi come hanno fatto gli scrittori negli ultimi tremila anni prima che inventassimo i corsi di formazione.
Guarda, secondo me parli di una serie di situazioni di cui non hai il polso né esperienza diretta e io potrei stare pagine e pagine a porti argomenti a supporto di quello che ti dico. Però mi rendo conto che ognuno ha le sue convinzioni e che, proprio perché sono tali, esistono anche tonnellate di ragionamenti a favore delle stesse.

In sostanza: tu non sostieni la validità dei corsi di formazione per uno scrittore. A questo punto non mi resta altro che prenderne atto.
Forse sei tu che parli di qualcosa di cui non hai polso né esperienza. Visto che non stiamo parlando semplicemente dei corsi (dei quali probabilmente saprai anche qualcosa): stiamo parlando della scrittura, insieme assai esteso, per il quale non puoi limitarti a sostenere l'assoluta imprescindibilità di quel poco che ti è dato conoscere.
Già, molto divertente soprattutto il fatto che tu non mi abbia potuto dire come se la siano cavata gli scrittori fino a trent'anni fa, visto che - ohibò - a quanto pare il corso è assolutamente necessario
Come ti ho già detto, questa discussione non sta andando da nessuna parte, non è interessante, non avrà una conclusione e io sono già stato fin troppo indulgente a dare corda a quello che puzza di tentativo di trollaggio.
Ti potrei rispondere che prima dei corsi specifici c'erano gli studi accademici, gli autori avevano frequenti scambi epistolari (quando potevano), per imparare la tecnica da gente più esperta.

Ti potrei rispondere che fra i due, sei tu a non aver portato nessun esempio pratico a sostengo dei tuoi argomenti.

Ma non mi voglio dilungare ulteriormente su un discorso che per te ha la chiara finalità di sentirti dire che hai ragione.
Come ti ho già detto: da quel che dici non credo tu abbia alcuna esperienza diretta di come funzioni il mondo dell'editoria, né alcuna idea di che cosa significhi vivere di quello che si scrive (e fin qui non è una colpa, se uno non è addentro alle cose, non le può conoscere tranne che per sentito dire) e palesemente non hai interesse a sentire opinioni diverse dalla tua (qui invece sei colpevole, avendo iniziato tu la discussione).
E non dimentichiamo i dictat di Schopenauer. Ipse dixit, del resto, è stato per secoli rifugio retorico impervio a qualunque ragione, e resta un glorioso sempreverde.

Hai esposto le tue opinioni, io ho ribattuto. Non siamo d'accordo, pace, non è una tragedia. Solo non pretendere di avere ragione a tutti i costi, perché allora la discussione diventa tutt'altro che civile.
No, guarda, non pretendo che tu riconosca le mie eventuali ragioni, sei del tutto autorizzato a conservare la tua opinione. Tentativo di trollaggio?
Non ti sei neanche reso conto del vicolo cieco nel quale ti sei infilato parlando di assoluta imprescindibilità dei corsi. Esempi pratici? Ma qualunque scrittore che non si sia servito di un corso di formazione è un esempio pratico... vuoi l'elenco? Perché c'erano e ci sono altri modi, che tu non sembri ammettere, poiché apparentemente sei una sorta di zelota dei corsi di formazione. Sono altresì convinto d'aver portato molte più e più valide argomentazioni delle tue, ma evidentemente non ti hanno raggiunto, amen. Poi, guarda, lascia da parte gli atteggiamenti da sedicente reuccio dell'editoria, che la sa lunga mentre tutti gli altri non capiscono e non hanno esperienza se non concordano con lui: altro che ipse dixit, questo sì che è un procedimento logico degno delle migliori tradizioni.
Sei tu quello che vuole avere ragione a tutti costi, perché sei tu quello che sta facendo il manicheo. Poi, da parte mia, ti ho sempre risposto nella forma più civile fin tanto che tu hai fatto altrettanto: non mi risulta che proseguire la discussione con ulteriori argomentazioni sia di per sé deprecabile. Prendo atto che a te non piace il dialogo.


Punto primo, e su questo non ci torno: esigo il rispetto. E questo non ha nulla a che vedere con l'essere d'accordo o meno. Così come io non ti attacco, non ti dileggio, tu cerca di fare lo stesso. No, le illazioni di "fare il reuccio" non mi piacciono, non corrispondono al vero e se perseveri su questa linea, la discussione si chiude qui.
Rispetto significa che, quando parti con una discussione dando direttamente torto all'altro, tu non ti dia a illazioni del genere qualora l'altro (che ha le sue idee e, probabilmente, diverse valide ragioni per averle) non si mostri in accordo. Ti ripeto: per ora l'impressione che dai è quella di esserti offeso per il mancato coro di sostegno a favore delle tue idee.

Per la cronaca, dato che mi rendo conto che la cosa possa esser stata fraintesa, non intendevo il fatto di "non avere il polso della situazione" come un attacco, né un insulto (e te l'ho anche detto chiaramente), ma semplicemente è un'impressione mia, derivante dalle cose che dici e da come le dici. Non ha nulla a che fare con l'essere d'accordo con me o no.
Se queste mie interpretazioni sono errate, fammelo sapere, non ho problemi a scusarmi dell'eventuale errore commesso.

Tu dici che tutti gli scrittori che non hanno un corso di formazione alle spalle sono argomenti a tuo favore. E io ti rispondo che per ogni grande scrittore "autodidatta" c'è un editor che, formato professionalmente in quei corsi che tu disprezzi, ha saputo metter mano al lavoro dell'autodidatta e correggere dove ce ne fosse bisogno, rendendo il lavoro iniziale un qualcosa di anche solo vagamente leggibile.

Detto questo faccio un'altra precisazione: non nego il valore della formazione personale. Un consiglio che do spessissimo è di leggere, leggere, leggere, documentarsi, sentire storie, guardarsi attorno. La prima fonte di un autore è la sua esperienza personale.
Ma questo, pur necessario, è solo una delle componenti fondamentali necessarie a un professionista. L'apporto, il confronto e lo scambio con altri professionisti è un altro elemento altrettanto importante e altrettanto imprescindibile. E i corsi di formazione forniscono precisamente questo.

Mandare un proprio lavoro a un editore e riceverne un commento dettagliato. Quella è un'altra tappa della formazione. E' il confronto con un altro professionista (l'editor) che può aiutare l'opera e l'autore a migliorare infinitamente e questo è tanto più vero quanto più in gamba è l'editor.

Le storie, i romanzi, i fumetti, sono come impianti elettrici, condutture idriche o edifici (scegli pure la metafora che rpeferisci). Le storie hanno le loro regole, le loro strutture, i loro punti di equilibrio e il loro flusso. E questi sono tutti elementi che non basta osservare per saperli padroneggiare.
Sì, se li osservi, alla lunga li riconosci, ma non è abbastanza. Bisogna saperli usare. E questo lo impari a fare al meglio quando un altro professionista più esperto ti aiuta. Cercare di usarli senza aver imparato a metterli in pratica, sarebbe come tentare di scimmiottare un affresco di Michelangelo. Sì, puoi vedere dove ci sono i punti di equilibrio, i punti di fuga, puoi imparare a distinguere le strutture delle figure senza alcun aiuto.
Ma quando si tratta di creare un nuovo affresco su una struttura diversa?
Serve saper usare le strutture, i punti di fuga, serve saper gestire gli equilibri grafici.
E lo stesso vale per le storie. Saper scrivere una storia è solo in parte una questione di aver osservato le cose. Per una gran parte è questione di aver fatto tentativi corretti da gente più esperta (è questione, in definitiva, di saper usare gli "attrezzi" della letteratura, così come il meccanico deve saper usare gli attrezzi dell'officina e il chirurgo gli strumenti medici). E' il normale apprendimento, in qualunque cosa.

Tu dici che questi paragoni con altre professioni o forme d'arte non sono validi. Io te ne chiedo la ragione, perché, detta così, pare un'affermazione un po'fine a sé stessa.
Quanto al primo punto, guarda, non ho quindici anni, mi so controllare e non mi sale il sangue alla testa quando qualcuno non concorda con le mie posizioni; però ho questa regola aurea di replicare con toni analoghi a quelli che sono usati nei miei confronti: pertanto, se hai ricevuto certe risposte, a torto o a ragione ho creduto che le meritassi. A torto per te e a ragione per me, suppongo. Ad ogni modo l'aria risentita per le altrui mancanze non ti si addice.

So come funziona il mondo dell'editoria e conosco le figure professionali delle quali parli. Nondimeno adottiamo punti di vista molto diversi nel considerarle.
Piccola premessa storica: mi chiedi perché mai la scrittura sarebbe diversa dalle altre professioni... presto detto. L'idea che la scrittura creativa potesse essere insegnata è molto recente (diciamo pure di matrice positivista, anche se, nella struttura dei corsi di formazione, è ancora più recente, corrispondente alla sistemazione postmoderna del sapere). Ma non è sempre stato così.
Per cogliere i caratteri distintivi della scrittura, non c'è bisogno di chiamare in causa le professioni e le scienze empiriche, tradizionale oggetto d'insegnamento in forme svariate (individuali e collettive): persino le altre arti (musica e arti figurative), erano oggetto d'insegnamento specifico, per lo più individuale fin tanto che le strutture sociali l'hanno permesso, ma non per questo inidoneo ad essere espresso nelle forme istituzionali della scuola.
L'arte delle belle lettere, invece, non era oggetto di un insegnamento analogo... per una semplice ragione che tu probabilmente stenterai ad ammettere, visto che i miei appelli al non settorialismo della formazione della persona sono passati del tutto inosservati. Ebbene, l'arte dello scrivere 'professionalmente' non era oggetto di un insegnamento specifico perché, mentre le altre arti richiedevano l'apprendimento ex novo di tecniche pratiche e di linguaggi specifici, l'arte dello scrivere ('professionalmente' o meno) non richiede il possesso d'altro linguaggio che di quello materno: lo studio delle arti liberali forniva la base della formazione di qualunque uomo istruito, che fosse medico, giudice, teologo o... scrittore 'professionista'; pertanto non si sentiva la necessità d'istituire un percorso di formazione che sarebbe stato soltanto ridondante rispetto alla formazione di base, poiché si riteneva che l'arte della scrittura non fosse altro che la perfezione di un linguaggio accessibile a tutte le persone istruite, e non un linguaggio diverso.

Tu dici che per ogni grande scrittore "autodidatta" c'è un editor che, formato professionalmente in quei corsi che tu disprezzi, ha saputo metter mano al lavoro dell'autodidatta e correggere dove ce ne fosse bisogno, rendendo il lavoro iniziale un qualcosa di anche solo vagamente leggibile. Neanche per sogno. A parte il fatto che la qual cosa dovrebbe essere provata. Ma, avendo davanti agli occhi l'intero arco della storia umana, dovresti considerare che i corsi di formazione per formare gli editor neppure esistevano fino a qualche decennio fa, e il lontano corrispettivo dell'odierno editor al più si formava con gli stessi criteri e gli stessi percorsi formativi dello scrittore. Da come metti tu le cose, sembra quasi che per ogni grande scrittore ci fosse un editor ancora più grande. Non scherziamo. Kafka non aveva un editor, Caraco non aveva un editor; a maggior ragione non lo aveva Leopardi, non lo aveva Orazio e non lo aveva Platone.

Vedi, che lo studio delle discipline di base (per esempio grammatica, dialettica e retorica nel Medio Evo; oppure un normale corso scolastico e universitario in tempi recenti), unito a immensi e ulteriori studi personali sui classici, possa da solo bastare a formare lo scrittore professionista senza l'ausilio dei 'corsi di scrittura', potrà non conciliarsi con la tua concezione economica del libro, ma di fatto ha prodotto i Petrarca, i Cervantes, i Voltaire, i Manzoni, i Baudelaire. Ma anche i Bentham, i Constant, i Savigny, i Mommsen. Dunque vediamo... tutte persone che avevano scambi e confronti con altri intellettuali, che facevano e rifacevano le proprie opere, che si miglioravano costantemente nel confronto con gli altri o con se stessi, etc. E, guarda caso, facevano tutto questo senza l'ausilio del corso di scrittura.
Sì, capisco: se come obiettivo finale abbiamo in mente il piazzamento editoriale di un discreto prodotto-libro da parte di random Joe, ben venga il corso che gli insegni a scrivere e a strutturare un testo, visto che probabilmente ai tempi della scuola soffriva di ADHD, i professori non stimolavano la sua creatività, e adesso non ha il tempo di leggersi tutti i dialoghi di Platone, tutto Erodoto, Tucidide, Seneca e via dicendo. Ben venga. Io però resto ancorato alla mia antiquata e tuttavia funzionalissima idea di formazione tout court, che rende pressoché superfluo e quantomeno ridondante l'apposito corso di scrittura, del quale fino a qualche decennio fa scrittori e curatori editoriali medesimi hanno fatto a meno, servendosi d'altri canali di formazione che, a volerli usare, sono tuttora disponibili.
Questo non è il tuo modello preferenziale? Non c'è problema. Ma so benissimo di cosa parlo, e il fatto che a te non piaccia non significa che non c'è.

Oh, piccolo appunto: non sostengo che chiunque si serva del corso di scrittura debba necessariamente e invariabilmente essere un cretino. Non sono così narrow-minded. Il sarcasmo dei miei appunti sui corsi di scrittura dipende dal fatto che sono molto critico nei confronti dell'odierna sistemazione del sapere, all'interno della quale si iscrive l'idea stessa e la funzione sociale dei corsi suddetti. Ma questo è un argomento che trascende la presente discussione e che non sei tenuto a condividere.


Lo sai che mi hai fatto tutti nomi di persone che hanno avuto studi pregressi, prima di diventare grandi, grandissimi, autori, di cui oggi non esiste l'eguale nelle scuole?
Tutti, nessuno escluso.
Sì, magari a loro sono bastati i loro studi di base, che però sono su livelli totalmente differenti dagli studi di base odierni. Leopardi (pur precocissimo e geniale), prima di imparare a comporre, studiò metrica (fra le altre cose, nei "sette anni di studio matto e disperatissimo") per anni, fino ad arrivare a compromettere irrimediabilmente la propria salute, e fu in frequenti contatti, epistolari e non, con altri letterati più anziani di lui (uno su tutti Pietro Giordani) e circoli culturali (per esempio a Pisa e Firenze).
Non c'erano i corsi, è vero, ma nemmeno gli autodidatti.

Il fatto stesso, poi, che tu reputi che vada provato l'intervento dell'editor prova che non hai conoscenza alcuna di come funzioni il mondo editoriale o, dato che sostieni di conoscerlo, che questa tua conoscenza non sia poi così grossa come tu ritieni che sia.
L'editor viene sempre chiamato in causa. Non è che qualche volta interviene e qualche volta no. Possono venire fatte eccezioni solo per gli autori più che affermati, ma spesso sono questi ultimi stessi i primi a riconoscere il valore dell'intervento di un editor e non vi rinunciano tanto facilmente.

E non ho detto che l'editor sia "ancora più grande" dello scrittore. Continui a travisare quel che dico. Semplicemente, l'editor, quando necessario, è in grado di sopperire alla carenza di conoscenze tecniche narrative dell'autore.

E, tanto per dire, autori contemporanei, professionisti, che non abbiano alcun tipo di formazione?
Vabbè, non ci capiamo proprio. E' ovvio che ho citato autori con vasti studi pregressi: dove avrei detto che si diventa scrittori per infusione della grazia divina e senza alcun tipo di formazione? Si studia, tanto, lo sto ripetendo in ogni intervento: semplicemente non serve il corso di scrittura. Punto.

Poi, io avrò anche scarse conoscenze del mondo editoriale, ma tu hai scarsissime conoscenze storiche se pensi che l'editor rimaneggiasse i Canti di Leopardi o le novelle di Boccaccio: il riferimento, esplicito, era all'intero arco della storia. La ratio di quella mia posizione è che non possiamo assumere per assoluta una 'regola' recente.

Comunque, i sette anni di studio matto e disperatissimo di Leopardi rientrano non tanto nella formazione di base dell'uomo istruito quanto nelle conoscenze e negli studi ulteriori cui qualunque scrittore (magari con modalità diverse rispetto a quelle di Leopardi) si è sempre dedicato e può tuttora dedicarsi.
Petrarca ha studiato le arti del trivio presso Convenevole da Prato, assieme ad altri coetanei non destinati a intraprendere la carriera delle lettere ma semplicemente ad essere persone istruite; poi ha compiuto studi 'universitari' di diritto.
D'Annunzio ha frequentato il liceo di Prato e la facoltà di lettere di Roma.
Etc.
Questi sono gli studi di base. Diversi in ogni epoca. Poi ciascuno ha messo qualcosa di proprio, che è quel che conta, altrimenti tutti i compagni di classe di D'Annunzio avrebbero potuto diventare scrittori: vasti studi personali, contatti con il mondo intellettuale, una personalità particolare, etc.

Non c'è alcuna ragione per cui ciò non possa avvenire anche al giorno d'oggi. Guarda, da un lato concordo che l'involuzione delle istituzioni formative (scuola e università) non gioca a nostro favore, ma non esageriamo. Non solo posso dire d'aver avuto taluni (e rari) professori universitari di marcata personalità e di vasta dottrina che non hanno niente da invidiare al random Joe che possa aver insegnato questa o quell'altra disciplina al grande scrittore di turno (poi be', di molti scrittori spesso si dice: frequentava le lezioni del gran maestro tal dei tali; ma, in aggiunta ai 'gran maestri', c'erano molti random Joe; tanto più che non tutti gli scrittori hanno avuto la fortuna di frequentare gli studi universitari nei maggior atenei d'Europa); non solo. Sono altresì convinto che scuola e università offrano tuttora gli strumenti di base per affrontare quegli studi personali di leopardiana memoria che poi fanno la formazione dello scrittore. Vedi il caso di Montale, la cui formazione istituzionale non fu certo migliore di quella che chiunque potrebbe conseguire al giorno d'oggi.

Ti dirò di più: la digitalizzazione delle informazioni, la rete Internet e molte altre caratteristiche del postmoderno, offrono possibilità incommensurabili e immensamente superiori a quelle che potevano essere le disponibilità di un Petrarca ma anche di un Calvino.
La digitalizzazione delle informazioni ci consente di avere accesso a tutta la storia della musica: impensabile per l'uomo colto fino a qualche decennio fa. Il cinema ha portato nelle case di tutti spettacoli che, i per quantità e qualità, cent'anni fa non erano disponibili neppure alle famiglie regnanti. Internet offre possibilità senza precedenti alle relazioni interpersonali (quei 'colleghi invisibili' di cui parlavo prima). Per non dire, infine, del materiale di studio ordinario, i libri di storia e di scienza: economici, accessibili, numerosi e di qualità.
Le possibilità odierne offerte alla formazione dell'artista sono semplicemente immense.


Ma quando mai l'ho detto?
Quota le parole con cui dico che Leopardi aveva un editor. Quotale o abbozzala, che è meglio. Anzi, chiudi e basta, che questi mezzucci per aver ragione a tutti i costi mi fanno solo pena.
Catfight


Lol tru.