Questo è come proseguirebbe chatgpt dopo avergli incollato dentro tutta la storia
Ramiro rimase immobile, con i pantaloni ancora calati fino alle caviglie e un’espressione di puro smarrimento sul volto. La voce che aveva pronunciato il suo nome—o meglio, il nome che non sentiva da anni, Rigoberto—aveva un tono che mescolava sorpresa e autorità, ma il suo significato era spietato: il passato che aveva cercato di seppellire stava riemergendo con una forza inaspettata.
Davanti a lui, nell’angusta penombra dell’ingresso, si stagliava una figura. Non era Fiordalisa, né un ratto. Era un uomo robusto, con una giacca di pelle consunta e una cicatrice evidente che gli attraversava il sopracciglio destro. Il suo sguardo bruciava di un’intensità che sembrava perforare Ramiro come una lancia infuocata.
“Pensavi davvero che non ti avremmo trovato, Rigoberto?” disse l’uomo, facendo risuonare quel nome con un’enfasi inquietante. “Le cose che hai lasciato a metà hanno sempre un modo di tornare.”
Ramiro sentì le gambe tremare. I ricordi che aveva cercato di ignorare per anni iniziarono a riaffiorare come bolle d’aria in un mare oscuro. C’erano questioni in sospeso, storie che si intrecciavano a quel nome—Rigoberto—che credeva di essersi lasciato alle spalle. Ma il passato non si lascia mai dimenticare così facilmente.
“Non so di cosa stai parlando,” balbettò Ramiro, cercando di mantenere la calma mentre tirava su i pantaloni con una fretta goffa.
L’uomo sorrise, un sorriso gelido e privo di umanità. “Oh, lo sai benissimo. E anche i ratti lo sanno.”
Quell’ultima frase fece gelare il sangue a Ramiro. Come poteva sapere del pozzetto, dei ratti, della… sua “soluzione” alla perdita della madre? La stanza sembrava chiudersi attorno a lui, le pareti strette come una trappola.
“Che vuoi da me?” chiese, con un filo di voce, mentre cercava disperatamente una via d’uscita mentale o fisica.
“Non è cosa voglio io,” disse l’uomo, avanzando lentamente. “È cosa vuole lei.”
Ramiro strabuzzò gli occhi. “Lei chi?”
Un rumore provenne dalla cucina. Un suono viscido, umido, come qualcosa che si trascinava sul pavimento. Il respiro di Ramiro si fermò quando una figura si materializzò dall’oscurità. Era impossibile, assurdo, ma lì, di fronte a lui, c’era… sua madre. O meglio, ciò che ne restava.
Era avvolta in un sudario di stracci, la carne imputridita che emanava un odore dolciastro e nauseante. Gli occhi, vitrei e senza vita, erano puntati direttamente su di lui.
“Rigoberto,” disse con una voce che sembrava provenire dall’oltretomba, “è ora di finire ciò che hai iniziato.”
Ramiro fece un passo indietro, inciampando nei propri piedi, mentre un urlo gli si formava in gola ma non usciva mai. In quel momento, l’uomo con la giacca di pelle chiuse la porta alle sue spalle, bloccandolo nella stanza con quell’incubo ambulante.
“Benvenuto a casa, Rigoberto,” sussurrò.